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Fmi: la crisi di liquidità, una grande speculazione

di Fulvia Novellino - 28/09/2007

 

Fmi: la crisi di liquidità, una grande speculazione


Dopo la crisi dei crediti e dei mutui subprime nord-americani, anche per il Fmi il processo di adeguamento “sarà probabilmente di lunga durata”, in quanto i rischi di un ulteriore deterioramento della situazione sono aumentati sensibilmente e i mercati sono diventati più volatili, più pericolosi e più chiusi, condanni agli investimenti delle imprese e al mercato del consumo, nonché del mercato monetario. La sfiducia sul mercato finanziario, in particolare quello statunitense, accanto alla perdita di oltre 300 miliardi di dollari, ha scatenato un effetto domino con il progressivo disinvestimento dei titoli ad alto rischio. Ciò ha provocato, non solo una fuga di liquidità dal mercato finanziario americano, ma anche un progressivo indebitamento delle banche stesse e degli istituti finanziari, che hanno perso le importanti linee di credito delle banche d’affari.
L’asimmetria dei finanziamenti è al cuore di queste turbolenze: gli attivi a medio termine, difficili da monetizzare, sono stati finanziati con fondi con scadenza a breve termine sotto forma di cartolarizzazione dei crediti nel portafoglio. Questa tecnica speculativa è stata posta in essere da molti istituti di credito e finanziari che, per far fronte poi alla propria liquidità hanno rinnovato e ampliato sempre di più le linee di credito presso le banche d’affari, fino a quando le perdite sui crediti sono divenute sempre più evidenti all’interno dei bilanci, e non più occultabili agli occhi delle istituzioni. I maggiori crediti si sono tradotti in tassi interbancari più elevati, oppure in chiusure di linee di credito in modo da conservare le loro liquidità per poter finanziare all'occorrenza altre attività. La leva finanziaria ha giocato poi un ruolo determinante nell’amplificazione delle perturbazioni, perché quanto più una banca è stata in grado di indebitarsi, tanto più ha prosciugato ancora di più la liquidità sul mercato: il risultato è stato un processo di disindebitamento forzato a prezzi bassissimi oppure il fallimento di alcuni fondi di investimento. Molti istituti di credito avevano applicato delle strategie fondate su un forte livello di indebitamento sperando che di poter giocare sulla continua rigenerazione della linea del credito, senza tuttavia considerare che la volatilità dei mercati ha richiesto l’azzeramento delle situazioni a rischio.
È questo ciò che fondamentalmente è accaduto con la Northern Rock, banca che reinvestiva i suoi depositi soprattutto in titoli ad alto rischio: dinanzi alla crisi di liquidità scatenatasi con il crollo della domanda dei prestiti immobiliari a rischio americano, la Northern Rock ha chiesto un prestito di circa 4,3 miliardi di euro alla Banca di Inghilterra, che si aggiungono ai 14,3 miliardi di euro iniettati nel sistema bancario per i prestiti a tre mesi. Nello scorso giugno 2007, tuttavia, la Northern Rock aveva inviato un avviso alla JP Morgan, chiedendo un rifinanziamento tale da evitare il ricorso alle istituzioni e agli organi di vigilanza. La JP Morgan ha rifiutato il finanziamento, e questo forse per attuare la sua strategia di acquisizione di un pesce più grande, collegato alla Northern Rock, ossia la Royal Bank of Scotland.
Sta di fatto che, come è costretto ad ammettere lo stesso Fmi, l’economia mondiale è entrata in un periodo di turbolenze che mette in serio pericolo il mercato monetario e dunque tutte le economie occidentali che presentano una bilancia commerciale in sofferenza (Italia) e hanno le proprie valute collocate soprattutto all'estero, all'interno dei portafogli Usa (sempre Italia) e nelle riserve valutarie dei mercati emergenti.
Questi infatti hanno giocato un ruolo fondamentale ed estremamente delicato perché hanno fatto l’ago della bilancia con il loro surplus di crediti, quando l’occidente era in emergenza di liquidità e di capitali: la loro relativa stabilità, nonché l’esistenza nelle loro economie di fondi sovrani che investono ingenti capitali in differenti rami dell’economica mondiale, è stato il giusto deterrente per fermare il declino ineluttabile.
La crisi del credito, sebbene sia stata spacciata come una patologia della società o delle imprese che usano il debito come strumento di crescita, si è rivelata essere il marcio che si annida all’interno del mercato finanziario e valutario, retto dalle leggi della speculazione e dell’occultamento delle informazioni su ciò che accade negli ambienti degli addetti ai lavori. I malesseri e le gravi distorsioni del mercato si ripropongono solo a cose fatte, quando cioè il crack ha già causato disastri e terribili danni al tessuto economico, che di conseguenza si ripercuotono sui piccoli risparmiatori o sulle imprese. Così, lo stesso report del Fmi è stato costretto a sottolineare sia fondamentale, in questa situazione, ricorrere alla liquidità del microcredito, del piccolo risparmio, e ancora, delle economie emergenti che sono in grado di convogliare - anche considerando il surplus della bilancia dei pagamenti e commerciale, nonché delle rimesse dall’estero - una massa enorme di capitali, che dovrebbero così in parte rientrare sul mercato statunitense. La deregolamentazione degli ostacoli al trasferimento dei capitali dovrebbero, secondo tale ottica, ridursi sempre più fino ad essere quasi inesistenti al fine di agevolare investimenti esteri.
Ciò che dunque il Fmi dimentica di dire, a conclusione della sua vasta analisi della crisi di liquidità, è la necessità di introdurre una trasparente regolamentazione sui sistemi informatici del mercato finanziario, con dei meccanismi di sicurezza che vadano immediatamente ad informare il mercato e le istituzioni sulle irregolarità in atto, in modo da permettere un intervento quanto più immediato. Se questo non può essere fatto, e né viene mai proposto, evidentemente non vi è la reale volontà di fermare le speculazioni e le crisi che rischiano di spazzare via, con una sola quotazione in ribasso, intere economie. Nulla è mai stato fatto, proprio perché il mondo è retto dalle lobbies bancarie che decidono regolamenti e normativa, sono i controllori e i controllati di un sistema che è divenuto un serpente che mangia la suo coda. Le illustre menti di questa grande roulette russa, i banchieri della Federal Reserve e della Banca di Inghilterra, devono ora stare molto attenti, in quanto, secondo molti centri di ricerca, l’economia mondiale è entrate nella “zona del crepuscolo”.
Se la crisi di liquidità dovesse continuare, il dollaro perderebbe il suo status di valuta di riserva, e gli Stati Uniti dovrebbero liquidare ai propri creditori più di 800 miliardi di dollari, in relazione al loro deficit commerciale. Per capire la gravità della situazione occorre vedere gli Stati Uniti come uno Stato che ha perso la sua produzione industriale - presto anche uno degli ultimi giganti si accascerà, la GM - diventando l’economia dell’ “offshoring”, della delocalizzazione all’estero per sfuggire ai costi dei sistemi occidentali. Le società americane, producono all’estero e importano beni allo stesso tempo: stando ai dati della bilancia commerciale degli Stati Uniti, vi sono esportazioni per 47,580 miliardi di dollari in computer, ed importano 101,347 miliardi di dollari, sempre di computer. Un’economia fondata sulla delocalizzazione è stata superata dalle sue economie colonizzate e la sua produzione non è capace di bilanciare i suoi consumi. Tutto ciò che ancora la salva è il fatto che, nonostante la dismissione delle riserve denominate in dollari, il dollaro è ancora una moneta riserva, anche se ormai eroso dai debiti e dal deficit di bilancio. Gli Stati Uniti sono ormai su una rotta di collisione, con un sistema economico totalmente delocalizzato, fondato sul rent e sul debito, la sua moneta è stata svalutata ancora e si attesta ormai a 1,40 euro mentre un barile di petrolio sale a 80 dollari e l’oro si quota intono ai 750 biglietti verdi. Il pericolo di speculazioni sempre più forti è vicino e le istituzioni monetarie cominciano così a retrocedere sui loro passi rinegoziando il rialzo dei tassi di interesse e ammettendo che vi è una mina vagante nel mercato finanziario.