La scienza è cosa troppo seria per lasciarla agli scienziati
di Michael Schrage - 28/09/2007
I
l grande dramma della scienza, come osservòuna volta Thomas Huxley, è una
bella ipotesi uccisa da un brutto fatto. Il
grande dramma della scienza di oggi, si lamentano
i suoi campioni, è la sua politicizzazione,
brutta e polarizzante. Gli scettici
riguardo al riscaldamento globale sono
paragonati ai negazionisti dell’Olocausto.
I ricercatori che utilizzano cellule staminali
embrionali sono definiti ammazzabambini”.
“Forse la vera tragedia, tutto sommato,
non è che la scienza sia troppo politicizzata,
quanto che lo sia troppo poco. Come la
guerra è un affare troppo importante per essere
affidato ai generali, così i conflitti sulla
scienza stanno diventando troppo importanti
perché li si affidi ancora agli scienziati.
Le politiche pubbliche ne guadagnerebbero
di sicuro se gli scienziati venissero
trattati con maggior scetticismo e un po’ meno
deferenza, (…) se gli stessi scienziati fossero
costretti a rendere più accessibile il loro
lavoro, a saper fare autocritica e a tener
presenti le scoperte nelle discipline tecniche
complementari al loro campo di specializzazione”.
“Mettere in luce le magagne della scien-
PERCHE’ VANNO TRATTATI CON MENO DEFERENZA / 1
za è buona politica e ancor più buongoverno.
(…) Il fatto è che la scienza nel suo insieme
può anche essere obiettiva, ma gli scienziati
come individui no. (…) Un singolo
scienziato merita la stessa considerazione,
in un dibattito scientifico, di quanta ne meriti
un genitore o un insegnante in una disputa
sulle politiche dell’istruzione. Istituzioni
come l’America’s National Academies
of Science (…) hanno via via abbandonato il
loro ruolo originario di consulenti scientifici
per trasformarsi in lobbisti impegnati a
promuovere i loro modelli quantitativi e le
loro previsioni di scenari per far sì che la
politica li adoperi come strumenti di governo.
(…) La cosiddetta ‘obiettività scientifica’
delle loro previsioni è in realtà raggiunta al
termine di complicate trattative nelle commissioni
di studio”.
“Il vero problema è la fondamentale confusione
circa il consenso scientifico relativamente
all’azione di governo. Un consenso
scientifico circa la tecnica con la quale ottenere
la scissione di un atomo non è un con-
senso politico relativo alle bombe o alle centrali
nucleari da costruire. (…) La storia insegna
che la cultura, l’etica, l’economia e sì,
anche la politica, determinano con forza il
modo in cui il consenso scientifico viene tradotto
in azione di governo”.
“Sia chiaro, la scienza è stata un progetto
di straordinario progetto per capire e spiegare
il mondo e l’universo. Le critiche postmoderne
e decostruzioniste che riducono la
stessa scienza a un modulo narrativo o poco
più sono insensate. Ma la storia – da Newton
a Blackett, da Watson a Crick – ci ha regalato
questa bugia per la quale le migliori politiche
di governo poggiano le basi sul consenso
degli scienziati. La verità è più vicina
al contrario: i dibattiti sulle scelte politiche
le più interessanti e importanti sono quelli
che emergono dai disaccordi all’interno della
comunità scientifica. (…) Così, gli scienziati
saranno più credibili e convincenti non
se rinunceranno ad avere una visione politica
del loro operato, ma se le loro argomentazioni
saranno più accessibili al grande
pubblico, più facilmente verificabili e, tutto
sommato, più umili. Ma anche questa non è
altro che una bella ipotesi”.
Citazioni tratte dall’articolo di Michael
Schrage, “Science must be more political”
nel Financial Times, del 26 settembre 2007