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Le piccole nazioni i poveri all’attacco del modello di sviluppo globale

di redazionale - 28/09/2007

Nelle stesse ore in cui a Washington si incontrano i potenti della terra e gli aspiranti tali, all’assemblea generale dell’Onu sono di scena i più poveri, piccoli e dimenticati. E forse il più chiaro e deciso intervento è stato quello del presidente dell’Equador, Rafael Correa (Nella foto), secondo il quale il primo limite degli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo (Omd) risiede «nel fatto che fino a che la strategia sarà quella di ridurre la povertà, non rappresenterà che un quadro minimale. Aver per obiettivo di vivere con un dollaro ed un centesimo al giorno, avendo come sorte quella di vincere l’estrema povertà, o evitare una morte prematura, così come figura negli obiettivi del Millennio per lo sviluppo, non vuol dire condurre una vita decente».

Correa ha proposto obiettivi comuni che siano basati su «massime sociali» invece che su «minimi vitali» ed ha annunciato «l´impegno a non estrarre 920 milioni di barili di petrolio per evitare l’emissione di circa 111 milioni di tonnellate di carbonio dovute alla combustione di materiali fossili», questo si tradurrà «in una diminuzione dell’ordine di 720 milioni di dollari in investimenti stranieri, che non mancheranno di colpire fortemente l’economia equadoriana».

Il presidente del Madagascar, Marc Ravalomanana, ha accusato «la priorità accordata agli interessi nazionali sugli interessi comuni e le promesse non mantenute. L´aumento dell’aito internazionale limiterebbe lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dei contadini poveri». Poi Ravalomanana ha chiesto un «Piano Marshall per l´Africa», convinto che il continente potrebbe essere il fornitore di energia pulita e di prodotti naturali, ed ha proposto un «nuovo partenariato ecologico tra i Paesi industrializzati e i Paesi africani, che comprenda un programma di investimenti, la protezione della natura e la preservazione della biodiversità».

Il presidente malgascio prevede che l’aggravarsi dei cambiamenti climatici apporterà non solo inondazioni devastanti, ma anche flussi migratori ed ondate di conflitti sociali.

Anche Mswati III, re dello Swaziland, un piccolo Paese colpito brutalmente dal global warming, si è appellato all’Onu perché riformi i suoi organi principali, soprattutto assembla generale, Consiglio economico e sociale e Consiglio di sicurezza ed ha deplorato che «le difficoltà legate alla globalizzazione rappresentino un freno allo sviluppo dello Swaziland e colpiscano particolarmente i suoi mercati preferenziali». Per il re del piccolo Stato africano la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Bali dovrebbe condurre a dei risultati puntando al trasferimento di tecnologie ed incoraggia il settore privato e le multinazionali a «mettere in opera nei Paesi in via di sviluppo le stesse norme ecologiche e di riciclaggio dei rifiuti che applicano nei Paesi sviluppati».

Anche il primo ministro di una delle nazioni più ricche del mondo, il norvegese Jens Stoltenberg, ha chiesto che Conferenza di Bali adotti un «calendario di negoziati con l’obiettivo di evitare che la temperatura non aumenti più di due gradi, in rapporto alla media attuale» ed ha deplorato il fatto che la Dichiarazione del Millennio non sarà rispettata: «La Norvegia partecipa dal 2000 all´Alleanza globale per i vaccini e purtroppo, ogni anno, due milioni di lattanti decedono prematuramente. Ogni anno 500 mila donne muoiono in seguito al parto», ma la Norvegia «si é impegnata a versare 1 miliardo di dollari in 10 anni per sostenere gli Obiettivi del Millennio per lo sviluppo, assegnati più precisamente alla salute infantile e materna».

Il presidente del Mozambico, Armando Emilio Guebuza, ha chiesto la messa in opera della Dichiarazione di Rio del 1992 sull’ambiente e lo sviluppo, del Programma Azione 21 del 1999 per i piccoli Stati insulari e del Protocollo di Kyoto, incoraggiando l’Onu a rafforzarsi anche finanziariamente «per aiutare gli Stati membri ad integrare meglio le politiche ambientali nelle loro strategie nazionali di sviluppo».

Il presidente di Cipro, Tassos Papadopoulos, ha paragonato «la sfida del riscaldamento climatico alla minaccia alla sicurezza che ha portato alla creazione dell’Onu nel 1945».

Per il presidente boliviano Evo Morales Ayma «è indispensabile che gli Stati riprendano il controllo dello sfruttamento delle risorse naturali perché servano allo sviluppo dei Paesi ed al benessere della popolazione». Morales ha definito i cambiamenti climatici come «il prodotto della globalizzazione selettiva, quella che non rispetta le differenze e che si caratterizza per la divisione del capitale tra un piccolo numero di persone. Non è possibile che i servizi di base restino nelle mani delle imprese private. Sappiamo che l’accesso all´acqua è un diritto fondamentale dell’uomo, la sua gestione deve restare un servizio pubblico. Se l´accesso all’energia é un diritto umano, il suo sfruttamento non può essere nelle mani di qualcuno».