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La gentrificazione della Grecia

di Nikolaus Stavrou - 29/09/2007



Osservare da lontano la sistematica distruzione della Grecia è fonte d'indescrivibile angoscia per qualsiasi essere umano, ma sopra tutti per ogni greco, ovunque esso si trovi. Per alcuni di noi, compreso lo scrivente, è qualcosa più che semplice angoscia; è la conferma dell'ancora oscuro scenario, parte integrante della destabilizzazione dei Balcani, che fu avviato con lo smantellamento deliberato, sistematico, sinistro e redditizio della Jugoslavia. Dall'inizio degli anni '90 la Grecia è teatro d'un processo di “gentrificazione” che, da allora, politici miopi, affaristi assortiti ed equivoci divulgatori dello “sviluppo” stanno continuando ad alimentare.
“Gentrificazione” è un termine socio-politologico relativamente nuovo e costantemente raffinato dalle “forze di mercato” per applicazione globale. Etimologicamente, sta ad indicare l'introduzione della gentry (piccola nobiltà in inglese) in una città o in un paese con l'obiettivo di “civilizzarlo”, sfruttando il pretesto dello “sviluppo”. La reintroduzione della gentry implica che i “servi”, i quali vivevano là prima del suo arrivo, debbano o sloggiare o rassegnarsi a servire quelli che sono giunti per “civilizzarli”. Storicamente, il concetto di gentrificazione trova le proprie origini nella calamità delle rivolte urbane verificatesi negli USA a cavallo tra anni '60 e '70; esso si riferisce al movimento della popolazione dall'ambiente rurale a quello urbano a quello suburbano ed ancora a quello urbano. Il processo di gentrificazione passa per quattro prevedibili fasi: distruzione, svalutazione, acquisizione e (nuovo) sviluppo.
Durante quel triste periodo della storia nordamericana, città come Detroit, New York, Washington e San Francisco - che dopo la Seconda Guerra Mondiale erano state la destinazione d'una valanga di gente in fuga dal razzismo del Sud – furono ridotte a campi di battaglia per infuocati conflitti civili. Il risultato fu che, per due volte in meno di trent'anni, la vita urbana si trasformò profondamente. I benestanti fuggirono in periferia, dove i valori dei terreni erano alle stelle; i mercanti si spostarono nei centri commerciali, già edificati e che attendevano solo loro; i poveri furono lasciati indietro, ed i piccoli negozietti a conduzione familiare inghiottiti da conglomerati con indirizzi fittizzi e finanziatori-fantasma. Ora un processo simile ha luogo a livello mondiale, colpendo non più le città ma interi Stati.
Le nazioni sono fatte a bersaglio e ridotte al disastro, o tramite la guerra (com'è il caso della Jugoslavia e dell'Iràq) o con manipolazioni finanziarie, frammentazione etnica e “politically correctness”: quest'ultimo sembra essere il caso della Grecia. Probabilmente i lettori ricorderanno ancora l'attacco alla valuta greca che fu sferrato da un ciarlatano globale, il quale dichiarò arrogantemente la propria intenzione di «dare una lezione ai Greci» per la loro posizione sulla FYROM (ex repubblica jugoslava di Macedonia). Non dovrebbe sorprendere nessuno il fatto che le stesse identiche persone che furono sugli scudi per la distruzione della Jugoslavia e che architettarono l'attentato agl'interessi ellenici negli anni '90, siano stati i primi – pochi giorni dopo i settantotto di bombardamento – a farsi vedere “investire” nella Serbia in macerie.
Un pre-requisito della gentrificazione è la distruzione o svalutazione di quanto esistente, sia esso terra o industria, seguita da incentivi e pressioni sulle popolazioni “d'intralcio” affinché vendano, migrino o si rassegnino alla povertà. L'obiettivo finale è l'abbandono di terre, tradizioni, radici e stile di vita; ma, svanendo nell'anonimato delle giungle urbane, la popolazione rurale si lascia alle spalle villaggi sventrati, case vuote, ed anziani che pregano i santi patroni perché concedano loro una visita natalizia da parte dei nipotini. La sistematica e, a mio parere, deliberata orgia degl'incendiari ha causato più danno alla Grecia che il bombardamento della NATO alla Serbia. I colpevoli hanno lasciato una terra in disgrazia, che potenzialmente offre al complesso “militare-industriale” nuove opportunità di guadagno alle spalle della nazione greca, come già successo durante le Olimpiadi. Stiamo parlando della terra che ha allevato la spina dorsale d'una nazione ellenica: l'ostinato contadino greco, che ha fino ad ora rifiutato di vendere la dignità per il profitto; ed è proprio questo il problema dei gestori di fondi speculativi (“hedge funds”) e di denaro sporco con la Grecia. Essa non accetterà i modelli della globalizzazione finché la famiglia contadina rifiuta di soccombere ai conglomerati agricoli, o a quegli “architetti” che vedono in ogni montagna e spiaggia greca il luogo ideale per costruirvi luoghi di villeggiamento estivo e quartieri residenziali per le classi agiate.
Chi scrive, già in tempi non sospetti mise in guardia dai rischi derivanti alla Grecia dalla distruzione della Jugoslavia. La Grecia non avrebbe dovuto essere risparmiata dalle guerre balcaniche degli anni '90 ma, in qualche modo, riuscì ad evitare quanto già progettato per lei. Eppure, il paese non è sfuggito all'attacco della gentrificazione. I contadini che hanno perduto i loro oliveti tra le fiamme, difficilmente potranno aspettare dieci anni per vederne rispuntare le verdi foglie. Se la loro terra dovesse essere chiusa al mare – e “chiusura” è un termine relativo – gli “sviluppisti” e la gentry globale saranno senza dubbio vogliosi di “aiutare” mentre prevale l'insicurezza. La terra è divenuta il bene primario in un gioco che ha in palio, né più né meno, la de-ellenizzazione della Grecia. Nessuno ha bisogno di credermi sulla parola: limitatevi a seguire il denaro ed i progetti che spunteranno fuori nei prossimi dieci anni. A breve termine, è sufficiente osservare lo schema d'acquisizione delle terre.

(traduzione di Daniele Scalea)
Si ringrazia Bilijana Zivkovič per la segnalazione di quest'articolo

* Il dr. Nikolaos A. Stavrou è professore emerito d'affari internazionali presso l'Università di Howard. Il presente articolo è stata scritto in Macedonia il 9 settembre 2007.