Porfirio, Vangelo di un pagano
di Claudia Gualdana - 29/09/2007
Porfirio
VANGELO DI UN PAGANO
Bompiani, 304 pp., euro 24
Q
uando Porfirio arriva a Roma, nel 263dopo Cristo, c’è ancora qualche speranza
per il mondo classico. Vero è che
l’imperatore Valeriano, imprigionato a
Edessa, era morto in cattività pochi anni
prima. Ma il fenicio Porfirio, ex allievo di
Origene e del neoplatonico Cassio Longino
si aggrappa alla tradizione pagana in pericolo.
Il cristianesimo guadagna terreno, ma
Roma è pur sempre caput mundi, e poi c’è
Plotino, il filosofo delle Enneadi. Porfirio
entra nella sua cerchia e nel 270 gli succede
alla guida della scuola neoplatonica. Di
Plotino è amico fedele, discepolo, biografo.
Dopo la sua morte, ne raccoglie opere ed
eredità. Fiero nemico del cristianesimo (è
suo “Contro i cristiani”), tiene alta la bandiera
del neoplatonismo. Questa raccolta
di scritti si chiama ereticamente “vangelo”,
a sottolineare la sua natura di controprogramma,
e propone “Contro Boeto”,
“Sul conosci te stesso” e infine la “Lettera
a Marcella”. Porfirio ribadisce il primato
dell’intelletto sull’irrazionalismo. I cristiani
delle origini gli sembrano stravaganti;
come concepire che Dio, l’ineffabile, si sia
fatto uomo? Come altri pagani apprezza la
figura di Cristo, ma ritiene inammissibile
la trinità. Quel culto venuto dall’oriente
per i filosofi è illogico. Porfirio attacca la
triade di San Paolo – fede, speranza e amore
– e riafferma il valore dell’intelletto e
della fiducia razionale nella conoscenza di
Dio. Porfirio lascia l’amaro in bocca e un
po’ di nostalgia: pochi, nella storia, hanno
saputo perdere con tanto stile.