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Il Libro dei Simboli. Metamorfosi dell'umano tra Oriente e Occidente*

di Edoardo Beato - 19/12/2005

Fonte: estovest.net

*Alessandro Grossato
Mondadori, Milano 1999
 

«Chi è prigioniero dei bei corpi e non se ne stacca, precipita, non già col corpo ma con l'anima, negli abissi oscuri, oscuri e tristi allo spirito, ove, cieco, resterà nell'Ade ed anche là come quaggiù, se ne starà in compagnia delle ombre».

Plotino, citato in A. Grossato, Il libro dei Simboli, p. 28

 

Il sapere contemporaneo procede su binari chiamati "discipline", la direzione è quella di un'analisi che è tanto più esaustiva (scientifica) quanto più ristretto è l'ambito indagato. Il miraggio lungo questa strada è di rendere assoluta la parte, un rischio di idolatria. Oltre all'esattezza, la specializzazione produce frammentazione, l'estraneità dei singoli fenomeni alienati dal più ampio contesto del loro accadere.

Nella sua disamina intorno alle metamorfosi dell'umano tra Oriente e Occidente, Grossato non soggiace alla forza centrifuga imperante, ma non per questo si sottrae al confronto con la modernità. La sua aspirazione a una visione sintetica e interdisciplinare trova proprio nel '900 le guide metodologiche necessarie a realizzarla. Le intuizioni potentemente innovative di due figure, se non marginali di certo non adeguatamente apprezzate, come Giuseppe Tucci e Aby Warburg sono assimilate e rielaborate dall'A. in tutta la loro potenzialità ermeneutica. L'originalità del lavoro di Grossato sta nello sviluppare le lezioni di questi due padri illuminando l'una alla luce dell'altra.

Si tratta di un'operazione titanica ed esaltante, aspetti che mal traspaiono in un'introduzione ispirata al self-understatment: « [...] noi ci riferiamo soprattutto all'amburghese Aby Warburg (1866-1929) e più specificamente al suo progetto incompiuto, Mnemosyne, di un atlante illustrato sia storico che geografico delle principali immagini tematiche. [...] Il nostro lavoro, pur nei limiti evidenti della sua brevità e d'una veste assolutamente divulgativa, vuole quindi porsi idealmente come un modesto accenno d'estensione, in direzione dell'Oriente, del grande quanto tuttora inatteso progetto di Aby Warburg» (pp. 10-11).

Il presupposto teorico da cui il Libro dei Simboli prende le mosse è che il mondo antico sia sostanzialmente unitario. Tale posizione si basa da un lato sulle conclusioni cui la scuola morfologica tedesca era giunta già alla fine dell'800, dopo aver identificato «aree omogenee e contigue aventi caratteristiche morfologiche costanti, dal più semplice manufatto fino al mito più complesso» (p. 8); dall'altro sul concetto di "Eurasia, un continente", espressione usata per la prima volta da Tucci in un'accezione «soprattutto culturale, volendo cioè sottolineare le grandi identità di fondo fra civiltà solo in apparenza così distanti nello spazio e nella mentalità» (p. 10).

Grossato ci aiuta a familiarizzare con una dimensione geopolitica tanto estesa, svelando quelle arterie e vene dell'organismo Eurasia attraverso le quali Oriente e Occidente si sono esposti ad una reciproca e alterna stimolazione: «I principali percorsi dell'interscambio culturale e commerciale in Eurasia si snodavano, probabilmente fin dall'età preistorica e con molte varianti e diramazioni laterali, lungo tre grandi assi, scorrenti principalmente in territorio asiatico, rimasti sostanzialmente invariati nel corso dei millenni. Essi erano costituiti da due grandi vie terrestri e da una grande rotta marittima: la "Via Scitica" tra la Cina settentrionale e l'Eusino, la "Via della Seta" tra la Cina occidentale e il Mediterraneo orientale, e la "Rotta delle Spezie" dall'Indonesia fino al Mare Arabico. Sono questi i grandi percorsi lungo i quali hanno viaggiato anche le immagini, da est verso ovest e viceversa, nell'arco degli ultimi millenni. … In Occidente, una grande rotta di navigazione costiera, certamente già preistorica, prolungava per mare la "Via della Seta", prima perimetrando tutto il bacino del Mediterraneo, e quindi risalendo ad ovest lungo le coste atlantiche, su su fino alle isole britanniche del Mare del Nord. Via terra c'era poi la cosiddetta "Via dell'Ambra", che dal Mare del Nord scendeva giù lungo i fiumi dell'Europa centrale, fino all'Adriatico. Da notare che la rotta marittima atlantica e mediterranea è quella che percorse ad esempio l'arte megalitica, continuando poi nell'Oceano Indiano, lungo quella che diverrà la "Rotta delle Spezie", fin oltre l'Indonesia» (pp. 8-9).

 

 

Piante dei piedi di Visnu, recanti alcuni dei suoi innumeri attributi simbolici, armi e vessilli compresi. Miniatura indiana, Rajastan, XVII sec.

 

Tali rotte di migrazione culturale rivestono un ruolo importante nell'economia del volume, in quanto in ogni sezione il materiale simbolico viene connesso alla sua dislocazione geografica nel corso del tempo, fenomeno che risulta evidente grazie anche all'uso di una cartografia estremamente semplificata: «Sarà comunque già un buon risultato se riusciremo anche a far solo intravedere, mediante pochi esempi significativi, parte del complesso quadro degli scambi d'immagini che sono ininterrottamente intercorsi, dalla preistoria fino all'altro ieri, fra l'Asia e l'Europa, più spesso muovendo dalla prima verso la seconda, ma non di rado anche viceversa» (p. 10).

Nell'accostarsi ad un'impresa intellettuale di tale vastità le maglie di un approccio strettamente specialistico mostrerebbero gravi limiti nella capacità di trattenere ed elaborare oggetti la cui comprensione implica l'intersecarsi di competenze diverse; Grossato si rivela particolarmente sensibile a questa problematica, specialmente per tutto ciò che concerne lo studio delle immagini: «Crediamo sia ormai a tutti evidente che l'approccio puramente formale al mondo delle immagini è del tutto insufficiente. Per cercare di comprenderle il più approfonditamente possibile, è necessario passare continuamente dall'arte all'archeologia, dall'archeologia alla letteratura, dalla letteratura alla religione, e dalla religione alla filosofia. E il tutto deve culminare in una vera e propria antropologia culturale. L'approccio dev'esser dunque finalmente interdisciplinare» (p. 10).

Di fronte a questo mare magnum d'Eurasia, l'A. concentra la propria analisi sulle immagini di trasmutazione o metamorfosi. Warburg era giunto ad intravedere «la permanenza e la continuità, quasi stratigrafica, di alcuni temi iconografici dall'antichità fino ai nostri giorni, pur nel continuo mutare del trattamento formale e psicologico» (p. 11). Grossato fa sua questa intuizione e si spinge oltre. Grazie alla sua formazione di orientalista e in quanto erede spirituale di Tucci, gli riesce agevole estendere come mai era stato fatto in precedenza la teoria warburghiana della "memoria collettiva delle immagini" o Mneme al patrimonio iconografico dell'Asia. Quello che ne risulta è l'assenza della benché minima soluzione di continuità nel campo della simbolica tra Oriente ed Occidente. Come a dire che il progetto di Warburg di continuità cronologica delle forme simboliche è integrato a quello complementare di continuità geografica garantita dal principio ermeneutico insito nel modello "Eurasia" di Tucci. È un'operazione molto ampia destinata a creare una nuova profondità prospettica, un nuovo spazio interpretativo.

 

 

Brahma a quattro teste a cavallo di Hamsa, il 'Cigno' nordico. Miniatura in stile Rajaput Pahari di Mankot, 1720 ca.

 

Lo sforzo dell'A. è inoltre orientato ad inverare la lezione di Warburg attraverso il confronto di essa con i più recenti luoghi epifanici del simbolico. Si sa che il "padre" dell'iconologia «ebbe il "coraggio" di considerare, utilizzandole quali fonti d'immagini simboliche comunque significative, le produzioni della grafica contemporanea come i francobolli, di cui era collezionista, o i manifesti pubblicitari. Esse infatti convalidavano la sua teoria della "memoria collettiva", che tanto somiglia a quella junghiana degli "archetipi"» (p. 11). E Grossato, coerentemente con questa prospettiva, stupisce portando esempi di perfetta quanto insospettata continuità iconografica tratti dagli ambiti in apparenza più profani e vicini al nostro vivere contemporaneo: cartoni animati, pubblicità, grafica, fumetti, cinema, etc. Dimostrazione ulteriore che «le immagini possono trasmutare, ma non evolvono mai, e non vanno tenute necessariamente "a distanza psichica" o "sterilizzate archeologicamente"» (p. 11), anzi, «anche nei periodi in cui la "cultura simbolica" e la relativa tradizione iconografica perdono importanza, le immagini simboliche sopravvivono comunque in settori marginali o marginalizzati [...] ove spesso ricompaiono più o meno deformate, caricaturizzate e comunque profondamente incomprese, le più antiche immagini d'Oriente e d'Occidente» (p. 13).

Tuttavia lo specifico dell'opera di Grossato, come preannunciato dal sottotitolo, è la forma umana. Secondo l'A. «tutti i simboli in generale si spiegano solo in riferimento all'essere umano inteso come una totalità. E quelli figurativi in particolare, soprattutto in riferimento alla forma umana. Quella puramente antropologica, intesa nel senso più alto, è dunque la via ermeneutica privilegiata per l'interpretazione di qualunque mito e simbolo. Comprendere quindi il "lessico" simbolico ed iconologico della forma umana e delle sue parti costitutive, nonché la grammatica delle sue principali applicazioni e declinazioni, può divenire la base per un diverso approccio al simbolismo, utile sia in campo antropologico, che in quello della storia dell'arte e delle religioni» (p. 12).

In effetti, la metafora del lessico, della grammatica e delle declinazioni garantisce la struttura sulla quale sono scandite le sezioni del libro. Il corpo umano diventa percorso. D'ogni singola parte si esplora il significato simbolico: l'occhio, la mano, il volto, la bocca, il sesso, il piede sono tematizzati e gerarchizzati in base ai fondamentali livelli funzionali dell'azione umana. Si passa quindi ad un vero e proprio viaggio in un mundus imaginalis dove si incontrano le Metamorfosi della Dea (cap. II), esseri dalle Mirabili difformità (cap. III), esseri che presentano Anamorfosi (cap. IV), esseri derivanti da Trasmutazioni vegetali (cap. V), da Trasmutazioni animali (cap. VI), da Trasmutazioni ipercomposite (cap. VII), per arrivare all'apex del Corpo di luce (cap. VIII).

 

 

Adamo con il fallo-albero della vita. Illustrazione alchemica da un manoscritto anonimo del XV sec. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana

 

Nulla di più facile che lasciarsi ammaliare da questo repertorio frutto di un'ars combinatoria spinta all'estremo, «e il gioco, quasi caleidoscopico, comincia così proprio a partire dalle forme, così apparentemente "familiari", del corpo umano: bastano pochi spostamenti, sottrazioni, moltiplicazioni o mirabili deformazioni per rendere all'improvviso tutto più orribile, mostruoso, grottesco o... mirabile! Di là comunque dall'uomo, verso l'alto (realtà divina) o verso il basso (realtà demonìaca), o solamente più lontano tutt'intorno, verso l'incerto orizzonte (realtà demònica)» (pp. 14-15).


Ma ad un certo momento si palesa la domanda: a quale terra celeste, a quale dimensione dell'essere appartengono queste immagini, da dove ci arrivano, con quali facoltà percepirle? Grossato ci risponde dicendo che «è l'esercizio della facoltà immaginativa, anzi più esattamente di quell'"immaginazione creatrice" così efficacemente descritta da Henry Corbin nell'ambito della mistica; insomma d'una diversa risorsa "alchemica" della mente umana, che potremmo anche accostare alla revisione in chiave mitologica della psicologia junghiana del profondo recentemente attuata da James Hillman. Il risultato è una visione letteralmente "impossibile per gli occhi naturali". Dunque una visione che non si riferisce tanto all'esperienza comune, normale della realtà sensibile, ma che rinvia bruscamente ad una "realtà altra", che può esser vera solo all'interno della mente umana. Una realtà nella quale l'occhio della mente scruta e mette a fuoco tutti quei legami, altrimenti imperscrutabili, fra l'essere umano e tutti gli altri esseri, e soprattutto gli altri ordini di realtà» (p. 14).

L'articolazione di pressoché tutte le possibili metamorfosi della figura umana, la maggior parte delle quali ascrivibili ad una configurazione teratologica, non è casuale né tantomeno semplicemente catalogativa, bensì segue uno svolgimento necessario che, secondo l'A., deriva da un principio di ordine metafisico. Le indefinite variazioni sul tema della forma umana sottenderebbero «una sorta di dottrina metafisica e cosmologica estremamente arcaica, forse già preistorica, secondo la quale l'uomo era in qualche modo destinato a rivestire successivamente tutte le forme, fino ad una trasformazione definitiva, che lo restituisse ad uno stato che già gli apparteneva in "potenza". Infatti nelle successive mitologie a noi note, sono soprattutto gli Dei e pochi privilegiati mortali a percorrere quell'iter di trasmutazioni, così efficacemente rappresentato dalle note Metamorfosi di Ovidio...» (p. 12)

La pregnanza di tali enunciati e la dovuta centralità che essi occupano nell'impianto generale del volume dimostrano come Grossato abbia scritto un'opera non di semplice iconografia, com'è del resto la quasi totalità dei volumi dedicati ai simboli, bensì d'iconologia (particolare del tutto sfuggito all'affatto inadeguata prefazione di E. Zolla).

Mentre l'indagine iconografica si limita alla pura descrizione formale di simboli ed immagini allegoriche, l'iconologia propriamente intesa consta di iconografia più interpretazione, ovvero d'una descrizione puntuale della molteplicità degli elementi simbolici operata all'interno di una precisa, unitaria direzionalità interpretativa capace d'esplicitare quella connessione tra le parti e il senso generale cui esse implicitamente rinviano.

La lettura del libro diviene allora viaggio nelle migrazioni spazio-temporali delle immagini, dove la figura umana risulta essere simbolo centrale, chiave di volta di ogni sistema simbolico. Essa nasce con un atto di riflessione (cfr. il cap. Il volto riflesso), l'uomo distanziandosi da se stesso scopre la propria immagine, dotata d'una potenza a noi ben nota attraverso il mito di Narciso (che Grossato finalmente interpreta senza cascami psicanalitici; cfr. p. 29). Da questa prima presa di consapevolezza si genera un processo metamorfico che esplora virtualmente ogni combinazione, creando tutto ciò può essere catalogato solo all'interno d'un medievale Physiologus.

Ma il lavoro di Grossato è qualcosa di più; non è certo un caso che esso termini con il capitolo dedicato al Corpo di luce e più precisamente al Fulmine globulare. Questa sezione contiene infatti la direzione interpretativa o iconologica di tutto il lavoro. Qui si trova il luogo prospettico da cui risulta chiaro che tutta la schiera di combinazioni metamorfiche incontrata non è fine a se stessa, non si è trattato d'una gratuita trasformazione di corpi. Le metamorfosi dell'umano tra Oriente e Occidente hanno un punto di "meta-metamorfosi": il loro destino finale è quello di andare oltre l'immagine stessa. Tutte le combinazioni teratologiche, demonìache e demòniche fungono da stazioni di un cammino ascensionale che porta esattamente oltre il rappresentabile, oltre il simbolo. Qui si svela la potenza del simbolo: andare al di là in ciò che è infinito e non contenibile da rappresentazione alcuna.

 

 

La rivisitazione moderna della sfinge. Marchio della Pellicceria Andrei di Perugia.

 

La vera metamorfosi è pertanto quella finale nella sfera di luce. Del resto, "metamorfosi" significa andare "al di là della forma", di tutte le forme, e l'unica approssimazione possibile nella rappresentazione dell'oltreforma è universalmente la sfera, il cui corpo si rarefà in pura luce di raggio infinito.

Il volume è completato da una Breve nota sull'idea di "corpo sottile" nelle culture eurasiatiche, da un Glossario dei termini sanscriti, da una sezione dedicata agli Approfondimenti bibliografici e da un Indice analitico dei soggetti simbolici. Di particolare pregio è la veste editoriale e la sapiente scelta iconografica impreziosita da immagini tratte da collezioni private.