Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Carne: vitale dimezzarne i consumi globali

Carne: vitale dimezzarne i consumi globali

di Marinella Correggia - 30/09/2007

 

Nel numero del 13 settembre la rivista scientifica internazionale The Lancet dedica un articolo ai nessi fra cibo, allevamenti, energia, cambiamenti climatici e salute. E conclude con l'urgenza di una diminuzione drastica del consumo mondiale di carne per evitare il disastro ambientale. La responsabilità, si sottolinea, è di tutti, individui e istituzioni e tutti hanno un ruolo.
Gli autori dell'approfondimento - scienziati di varie università in Australia, Gran Bretagna e Cile - spiegano che il cibo fornisce energia e nutrimento, ma per produrlo si spende energia e la quantità di energia spesa per unità di energia ottenuta dal cibo è in continuo aumento. In alcuni paesi l'energia totale spesa per la produzione di cibo è molto superiore a quella ottenuta dal cibo stesso. L'allevamento degli animali è il settore agricolo più energivoro, ed è responsabile a livello globale di circa un quinto del totale delle emissioni di gas serra. Gli autori della rivista propongono una strategia siffatta: contrazione dei consumi; convergenza verso un livello sostenibile. L'attuale media globale dei consumi lordi di carne è di 100 grammi al giorno per persona, ma con molte differenze tra le varie regioni del mondo. Ad esempio la media dei paesi in via di sviluppo è 47 - ma i consumi carnei sono in notevole aumento presso le classi meno povere - mentre nei paesi sviluppati è di 224.
La soluzione proposta è: ridurre drasticamente il consumo di prodotti animali da parte dei paesi più ricchi, e fissare una soglia da non superare per i paesi in via di sviluppo, in modo che tutti i paesi convergano verso lo stesso livello di consumo, molto più basso di quello attuale dei paesi ricchi: non più di 90 grammi lordi al giorno procapite. Per arrivare ai quali, paesi come l'Italia, dovrebbero scendere al 40 per cento dei consumi attuali.
Del resto i problemi climatici richiedono risposte forti e radicali, sottolinea il Neic (Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione, www.nutritionecology.org). L'effetto serra è ben più serio delle preferenze di gusto delle persone, comunque il binomio contrazione e convergenza sono in grado di migliorare lo stato di salute, ridurre il consumo di risorse, acqua, energia nei processi di produzione, disintensivizzare migliorando le condizioni degli animali.
C'è un altro fattore di rischio nella zootecnia globalizzata, ed è il rischio sanitario. Nel paper Livestock Production and Global Health Risks (Produzione industriale zootecnica e rischi globali per la salute), la Fao sostiene: «Nel futuro il rischio di trasmissione delle malattie dagli animali all'uomo aumenterà a causa della crescita della popolazione, sia umana che animale, dei cambiamenti nella produzione zootecnica, della nascita di reti agroalimentari su scala mondiale, e del notevole incremento della mobilità di persone e di beni». Per soddisfare l'accresciuta domanda di carne la produzione e la densità del bestiame sono notevolmente aumentate, spesso in prossimità dei centri urbani.
Fattori pericolosi sono soprattutto le produzioni di suini e polli, i sottosettori zootecnici a più alta crescita e intensivizzazione e industrializzazione anche in Asia, America Latina e alcune parti dell'Asia. Maiali e suini anche da vivi viaggiano molto. La concentrazione di migliaia di capi confinati, con il problema dello smaltimento dei liquami, e la movimentazione del bestiame aumentano la probabilità di trasmissione degli agenti patogeni.
La Fao invita i produttori di carne ad applicare misure di biosicurezza di base. I siti produttivi non dovrebbero essere costruiti vicino agli insediamenti umani o alle popolazioni di volatili selvatici. Le aziende dovrebbero essere pulite e disinfettate regolarmente. I movimenti dello staff e dei veicoli dovrebbero essere controllati.
Ma non basta. Per la Fao «occorre evitare l'eccessiva concentrazione di capi di bestiame nelle unità di produzione industriale su larga scala». Una svolta però impossibile se i consumi continueranno a crescere.