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Letteratura - Tradizione (Prolusione alla nuova serie)

di Sandro Giovannini - 02/10/2007



 



Siamo a ottobre del 2007, e sta per iniziare una nuova serie di “Letteratura-Tradizione”. Quali sono le motivazioni, che, dal punto di vista personale, possono giustificare una ripresa della testata e quali sono le dimensioni, precedentemente da me delineate, che non giudico modificate? Sento la necessità di verificare tali linee con attenzione.

Per prima cosa non mi riesce difficile poter riconoscere, rispetto alla giusta osservazione di un certo mio tono apocalittico, nell’intervento sul n 40, ultimo della precedente serie di “L-T”, che forse sarei stato più sincero se avessi direttamente ammesso - avanti a tutto - le mie individuali ragioni di stanchezza intrinseca e non avessi troppo sottolineato il venir meno degli scenari generali. Al di là della mia inveterata abitudine di considerarmi (a torto od a ragione) parte di un Tutto; cosa quindi che può essere ottima o pessima, a seconda dell’utilizzo, ho forse difettato di quel coraggio che, decisamente e senza compromessi, vede correttamente sempre, prima, la trave (propria) che non la pagliuzza (altrui). Certo, dialetticamente, di rito, (sto divenendo un buon rètore, pure io?...) ho richiamato il classico arciere, (che quando sbaglia deve trovare ragione dell’errore in se stesso), ma chi mi dice che non abbia introiettato troppi compromessi mentali (d’altronde necessitati dalla logica di “L-T”, che ha dato comunque un’ultima ottima prova, con i due numeri finali sulla memoria nostra dei convegni postguerra, di poter svolgere un lavoro a 360°, che altri, ed è verità obiettiva, non avrebbero mai voluto o potuto fare) e non abbia consumato, così, dentro, nella continua mediazione, le energie che, indubitabilmente avevamo comunque messo in circolo fin dall’inizio?

E abbia pertanto rappresentato uno scenario, che, vissuto ed operato più liberamente da me e dagli amici, (per esempio in modo più propositivo, diretto, dichiarato, naturale) sarebbe potuto essere meno deludente? Ma al di là delle manchevolezze, comprensibili, mie o di altri, resto convinto decisamente che l’operazione comunitarista di “L-T” non è stata compresa prima ed apprezzata poi, come forse avrebbe, teoricamente, meritato. Anche perché, (e qui si devono affrontare argomenti molto ardui…) come già recitammo tanti anni fa nell’ambito di una spinta riflessione critica ed autocritica del Vertex, (nel secondo nostro manifesto “Comunità vò cercando… che è del 1986 al paragrafo 5-II - “Logica del dilettante”), credo, anche per questo proposito, non era e non sarà mai facile, determinare l’effettiva differenza tra “marginalità attiva” e “marginalismo”, variamente colorato.



Unica difficile e sottile distinzione (che infatti, nel nostro caso, comportò allora - in quel nostro secondo manifesto del Vertex - la spesa di circa una 10a di pagine su circa 80) il domandarsi sulla riconoscibilità della forma e sul cosiddetto “successo differenziato”… Il collegamento logico - di cui sopra - è con il successo differenziato… Il parametro era (per il risultato, allora, ed ora?) il consenso referenziato.

A chi, a cosa? Ad un ambiente, ad un’area, a quella che ci ostinavamo a chiamare Referenza Alta, (perché ingenui o furbi sospettavamo la sua dimensione “trasmutante” o “transumante”) ma che poi diveniva ovviamente la sommatoria spesso, volenti o nolenti, di tanta referenza bassa… Diveniva, divenne, ma già, nel momento continuo di una sorta di scivolamento epocale, di clinamen, noi avevamo operato, consci del declivio, per un minimo comune multiplo e/o per un Massimo Comun Denominatore… Volevamo, ingenuamente o furbamente, essere contro la logica della setta, o del gruppuscolo di quattro amici da bar più o meno telematico, ambendo ad appartenere ad una componente - quindi seria - all’interno di una vera e credibile - e quindi seria - Comunità. Per giunta (allora) con una possibile tripartizione, (metacomunità, comunità funzionali, comunità territoriali, cosa… non capita allora (e divenuta risibile dopo) ove noi, ad esempio, come Vertex, (poi ognuno al di sotto ed a latere del Vertex apparteneva, di necessità, anche a comunità territoriali diverse) giocavamo anche il ruolo di una comunità funzionale. Così come avrebbero potuto esserlo (esempio, logica…) i gruppi teatrali, musicali, artistici, creativi in genere… Queste, tutte cose, già allora, ampiamente argomentate in molte sedi allargate oltre che nelle nostre ristrette, ed ora apparentemente laterali, o superate dalla logica dei fatti, ma che si ripresenterebbero puntualmente (ed è questo che ci deve interessare realmente) se si invocasse al minimo una “logica di insieme” (qualunque essa fosse o potesse rappresentarsi) e se non si accettasse come un dato definitivo l’orfananza rispetto ad un ambiente d’origine, che con tutti i difetti che poteva avere, aveva almeno l’ombra salda di una illusione forte al proposito…

Orfananza che può anche essere definitivamente dichiarata, ma che, per procedere ad una riprogettazione di paternità, implica almeno di fare opera, oltreché di lutto, di storicizzazione. Cosa che si potrebbe ancora, a buon diritto, architettare, presumere, o sognare e magari anche del tutto praticare, ma che di conseguenza implicherebbe nuove ed esigenti pratiche di comportamento, sia dal punto di vista degli stili di riferimento che degli scenari d’orizzonte…



Ma appare chiaro, allora e certo ancor più adesso, (per una sorta di deriva scontatamente e volgarmente antideologica che ora ha preso anche inconsciamente il sopravvento) che il grosso di quell’ambiente e quell’area, oltre a non aver capito un’acca di quel nostro tentativo di inveramento metodologico (eppur con tanti soloni della logica astratta!!!), che poi sarebbe potuto essere d’esempio a tanti altri, (ripeto i gruppi o le comunità funzionali direttamente, ma, tutti, nella impostazione logica della propria referenza organica...) abbia quasi sempre desiderato di gran cuore (forse anche per comprensibilissimi motivi di autogratificazione e di riassicurazione), sentirsi vivo soprattutto in relazione a qualche sperata od attuata comparsata televisiva di solo livello giornalistico-mondano, con sempre, in solo retroscena, quasi invisibile, (se non a noi, addettissimi ai lavori) il retroterra metapolitico… Motivo per cui alcuni “di quelli che sanno e che capiscono”, poi, intervengono sarcasticamente, nel giudizio di causa-effetto, ben più pesantemente di me… Infatti non ho difficoltà a dire che, pur non consolandomi spiritualmente nella veste del fallito, (se non in quelle false - falsità quindi producenti verità-) e totalmente letterarie create dai grandi, che erano e restano sostanzialmente degli esorcismi apotropaici e che poi sono negate in re da un successo il più delle volte ben riconosciuto e riconoscibilmente allargato) e sempre quindi - fortunatamente in crescente buona compagnia - attirato dal più fascinoso modello dell’inutile, (o più ancora, allargando e rarefacendo, dell’impermanente) che pure dandisticamente mi darebbe qualche agio, (ma è vero poi che il dandy sia una versione deteriore del flâneur, ed una migliore dello snob?) non ho alcun dubbio che noi si sia fatto, nei circa 30 anni di lavoro esistenziale, (al proposito) uno dei più seri processi di verifica che si potesse fare.

Certo, nello specifico ristretto del Vertex, delle riviste, e delle case editrici da noi intraprese e di tutto quel lavoro intellettuale e morale ed amicale, non possiamo arrogarci alla fin fine un gran stile propositivo, (c’è n’è forse anche mancata la prosopopea, la magniloquenza, la spocchia, forse anche un poco la stupidità, assieme ad una incardinatura che speravamo corrispondere più ad uno scheletro endogamico che esogamico…) ma stile registrativo, sicuramente sì… O forse stile registrativo… per cercare, alla fine, per sommatoria o carenza, un nuovo stile propositivo. Non sembrino elucubrazioni. Sono state corpo e vita di tutti i nostri atti, di comportamento e di scrittura.

Alla fin fine non trovo molti, che comunque anche optando per uno stile diverso, abbiano avuto una similare attitudine di metodo. E trovo pochi, che possano essersi detto, recitarsi, ricapitolarsi, in piena rispondenza di testi ed atti verificabili, sempre nel metodo, ovviamente, qualcosa di superiore. E’stato e sarebbe ancora troppo facile sparare sul piccione viaggiatore dell’autocritica, anche se trasvola assieme a qualche specie ben più prevedibile (ed antipatica) di pennuto, piuttosto che bearsi esclusivamente delle altezze aquilee… Mi viene in mente, ma sempre rispetto a quello specifico proposito, a sinistra, solo l’esperienza - (autocritica-ricezione-pubblico, perché poi lì c’era anche un - sia pur limitato - mercato che da noi non esisteva…) similare, - di Pubblico 80 et sequela…. Come vedete, uso parole pesanti, ove il massimo del senso dell’inutile si unisce al massimo del senso del percorso avviato. Che poi è solo l’iceberg del dicibile sulla questione, (ché troppo veramente ci sarebbe da approfondire e su cui una trentina di pagine - tanto per iniziare - forse non basterebbero neanche - ma tutto questo non merita - per ora - se non solo un accenno parlato tra simili, tra pares). Questo intervento potrebbe apparire (ma è solo apparenza) più duro del mio precedente intervento, tipo quello di chiusura della precedente serie del n°40 di “L-T”) e solo perché a maggiore complessità corrisponde sempre una moltiplicazione dei problemi…

Servirebbe però, se veramente si potrà fare qualcosa, per il futuro, e non per una sterile od occhiuta occhiata al passato. In più non credo che da parte di qualche d’uno di noi pochi si sarebbe potuto fare di più. Ma la riflessione spinta (di cui sopra) e le mille buone attività intellettuali dei nostri camerati, anche distanti, anche diversi da noi, anche apparentemente in conflitto con noi, mi hanno sempre dato l’idea di compiti di discepoli coraggiosi, sconnessi ma coraggiosi, spesso velleitari ma sempre disperatamente protesi al noumeno, di anarcoidi pronti a generosità incredibili ed a grandezze impensabili.



Certo interrogarsi sul rapporto tra attività intellettuale vera (e non della domenica) e cosiddetto successo differenziato, (Un po’ di successo, di Berto, ricordate?, ma lì c’era un tentativo, riuscito - si fa per dire - di allargamento, del referente, forse riuscito solo a lui ed a Guareschi, in tutto un cinquantennio…) è un’impresa ardua, che non è potuta, non può e non potrà mai essere appannaggio di riflessioni fugaci, da blog, dove sovente si cerca - fortunatamente non tutti - più la battuta ad effetto che la comprensione dialettizzata del problema.

La stessa disamina di quel paragrafo dentro quel manifesto del Vertex-Poesia, a suo modo inusuale (un libro di riflessioni e d’esperienze che veniva da 7 anni di lavoro ininterrotto e non da una smania dichiarativista, come era stato, in parte e per necessità, il I°) insuperata nel coraggio e nel taglio settico, a cui, altri, neanche si sarebbero accinti, (avvertendola solo una perdita di tempo, non interessante né per sé né per altri) la giudicherei, oggi, parziale, incompleta, offuscata da troppa smania di razionalizzazione, da troppa invadenza del pensiero logico, freddo e feroce. Quindi magica forse, magicamente razionale e seria, ma troppo seria per la faciloneria attuale, per il semplicismo di ritorno e per il pressappochismo che tende a dominare, oggi, ogni questione di metodo. Sapete tutti che ci sono ragioni gravi che presiedono a queste fughe, attestate sempre più dalla psicologia e dalla sociologia, in limine, purtroppo, invece che dalla teorica pura o dalla filosofia… Pur avendoci, quindi, riflettuto alquanto, potrei oggi con maggiore pietas, (verso me stesso ed altri) pensare che tutto si muove sulle sabbie mobili ove: caso, necessità, impegno, fortuna, bravura, muovono da sponde impensate e che prima o poi decide soprattutto la spinta conscia od inconsapevole, accettata o non accettata totalmente, di partenza, di avvio, di stile.

Il “cronista”, (con tutto il rispetto, ovviamente) infatti, non potrà, alla fine, mancare l’appuntamento con la sua stretta contemporaneità, a pena di sofferenza estrema, di punizione, di stravolgimento, di tortura… Ma il “cronista” sa, se cerca e vuole, appena se ne offre l’opportunità, che può (e forse deve) divenire ben Altro… Quelli che hanno fatto il cambio, la trasmutazione, lo dimostrano. Quindi tutto è viscido e non c’è nessuna garanzia che una buona strategia porti certi risultati… Noi, fra altri, ne siamo la prova. Alla fine ognuno si accomoda come può, ad autogiustificarsi, a trovarsi delle ragioni, ovviamente a posteriori, e questo non è neanche sbagliato o il peggior male. Il peggior male potrebbe essere nel semplificare troppo le poste in gioco, per aver, di tutto ciò, solo orecchiato e non riuscire a rappresentarsi se non generalità… D’altronde, alla fine, un bel menefrego, ripeto, consapevole, non sarebbe affatto negativo, se si potesse però incarnarlo realmente… e spiritualmente…

Anche qui, la maschera e … Vorrei render conto a Voi ed a me, allora, che non sto parlando della mia storia, che potrebbe interessare a pochi, ma della nostra storia, che interessa certo a parecchi, e che qui non parlo di “L-T”, ma di ciò che si potrebbe “fare”, già da domani. Ma, per quanto mi riguarda a pena d’incretinimento, cercherò di non fare mai più nulla che non “ricapitoli” - sia pur in essenza - tutto ciò ch’è il nostro sacco nero ed oro, altrimenti mi sentirei veramente un fallito, senza se e senza ma… e che non porti con sé tutto il combinato disposto di un certo percorso di pensiero, almeno per tutta la logica creativa, che è stata accanto, in questo secondo dopoguerra, al pensiero metapolitico. “Da” tutta la logica creativa, “da” tutto il pensiero metapolitico.


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Considererei infantile (infanzia protratta) fare il contrario… Il manifesto, il movimento, la struttura poetica, il quadro di Riferimento, la metodologia d’azione, e così uno strumento come la Rivista od altri come internet, (e chi più ne inventi meglio stia) sono pochissima cosa, al di là della genialità (che c’è o non c’è) se non si ha il coraggio di essere - in quella logica di ricapitolazione e di conoscenza - tesi come corde d’arco ed assieme in pace come i dardi nella faretra. Qui poi so che non mi posso prendere troppo sul serio ed ogni metafora s’abbiocca se uno non è neanche certo cosa sarà in grado di fare - proprio - domani. E questo non solo per una comprensibile prudenza, ma illudendosi d’aver incominciato a capire qualcosa…

In più risulta sempre, purtroppo, una forma strisciante ben subdola di disprezzo, questa mia, non so quanto motivato e giustificabile, verso un certo semplicismo, che mi ditta (e qui uso il singolarissimo), da facce, da corpi. Ultimamente ad una presentazione di un libro m’è capitato di sentire - obtorto collo e non solo - una prolusione fatta da una persona di ancor giovane età, con una importantissima carica istituzionale, non scevra da quella naturale furbizia e sveltezza che acquisiscono anche i muri della Camera o i salottini e le anticamere mondanamente frequentati… Qualcheduno più feroce di me (disgraziatamente non posseggo tale ferocia) disse - dato l’inevitabile ritardo - “…arriva dal raccordo anulare…” …come nella parodia parodistico-romano-canzonettistica… Ancor più ferocemente (?) (ma quasi incomprensibilmente) avrei potuto aggiungere da: “O.K.” Questa sarebbe l’ombra del cuib, della militanza? No, questo è l’ombra del televisore, del moderno, del sottoproletario, sia pur - buon per lui o per lei - gratificato da qualche suadente e felicitante tessera … Che senso di scioccante superiorità. Tragica per me… Ecco, qui potrei individuare un’impotenza a vivere la vita semplice, comunicativa, “normale”, forse stupida, ma efficace, pulsante, vitale, di Altro “non eccelso”, (ma - dell’eccelso - statene certi, ne darei probabilmente una versione inaccettabile a moltissimi) che magari ci potremmo ostinare a soprannominare, con tutte le cautele del caso: “mondano-politico”.

E’ quella spocchia - questa mia - spocchia verace - che se non fosse contrata e mediata (spero, promitto, juro) da un affetto altrettanto naturale per la semplicità - punto d’arrivo e non di partenza - di tipo cameratesco, monacale o guerriero, ma comunque, spero, elevata, colta, aristocratica, sarebbe solo la miseria reale e facilmente constatabile di tanti intellettuali od intellettualoidi… Ma, mi direte, perché evochi tali baratri?... Perché ti ci accosti con tanta libido? E ti ci imbraghi? E perché, magari, ci fai intorno dei riti apotropaici? Perché… sono i soli che ci fanno capire fino in fondo del non doversi attendere nulla… Attendere, beninteso (nel senso di guardoni e di arraffoni), non fare L’inutile (in senso batailleano) è quindi riconoscibile non solo come misura del gesto assoluto, del dono, dell’exuperantia, dello spreco, dépense, etc, etc. etc., ma anche di una certa impossibilità, della reale impossibilità (che quindi non so - e qui si deve essere sinceri fino in fondo - fino a che punto sia poi - conquistatamente - “veramente nobile”) ad essere in un certo modo.

Ovvio, si può tentare di fare a faccia feroce, ma tanto io so, lui sa, noi sappiamo - come dice Totò - che sotto la maschera non ci sarà mai quel volto, ben sicuro e contento di sé… Che esprime fiducia ed infonde sicurezza… (a chi? boh!? il solito direbbe… chi se ne frega!!!) Io per primo, poi, meriterei magari d’essere appercepito, in parecchi casi od evenienze, come uno straccione, alquanto disadattato. E’ certo avvenuto. E se vado avanti così, forse avverrà ancor di più… Ma… ci sono facce, ci sono sguardi, ci sono foto… un’antropologia… insostenibile, ormai… Ho insistito, (e poco) su questo, ma questo è il “grumo” evocato da “alcuni che sanno e che capiscono”, che solo ad doppiarlo fa tremar le vene ed i polsi, ma che diviene il centro dello stile, “grumo” su cui non abbiamo mai potuto esprimerci se non velatamente, parzialmente, etc, etc …

Siamo stati sempre poco coraggiosi. Io poi, ancor più, paradossalmente, non potendo attingere a piene mani e subito ad una naturalità incazzosa od ad una naturale incazzosità, e quindi ancora più incertamente e geneticamente debole nell’individuare e sezionare il grumo, pur avendo, evidentemente, le qualità teoriche di pensiero adeguate…

So che, comunque, cercheremo d’inventarci qualcosa - od ad aggregarci a qualcosa (non bisogna infatti avere più lo stolido narcisismo dell’inaugurazione… La stupida smania di fare, per forza e non solo per necessità, qualcosa di nuovo… Di ricorrenti “movimenti peristaltici”, potremmo addirittura aver la nausea, per il rischio reale di scontatezza, ripetitività, generazionalità, volgarmente inconscia, presupponenza inconsapevole di passato e futuro,…) che possa (destinatario - per ora - generico) dare nuova linfa, vita, speranza, disciplina… perché stimiamo profondamente quella scintilla di grandezza e di forza che nel momento in cui sembra ancora annichilita e sconfitta, per implosione o per esaurimento progressivo, è invece ancora capace di utopie e di sorprese, e di dare a noi ed ad altri, soprattutto diversi e più giovani, motivi per vivere e non solo per sopravvivere. Perché poi si può incominciare ad intravedere, proprio in questi tempi piazzaioli e sboccati, gli scenari prossimi venturi, l’inizio della fine di questo regime residuale.

E’ anche vero però che il vortice dentro l’imbuto necessariamente scatena accelerazioni inusitate e forzature parossistiche che poco hanno a che vedere con la razionalità, comunque declinata, ed attengono ad un ritorno al primordiale, al primario, al sommario, all’istintuale, che non si sa quanto augurarsi, perché di quel vortice tutti potremmo essere oggetti più che soggetti… Tuttavia essendo stati pienamente consapevoli di quell’avvolgimento verso il basso (è etimologicamente indiscutibile), da parte nostra non si potrà che cercare di connettere razionalità antiche ai nuovi irrazionalismi prossimi venturi. Ovvero mediare le irrazionalità storicamente determinatesi in logiche senza scampo e senza alternative (di allora) con le nuove illogiche sconnesse ed altrettanto inevitabili che si profilano all’orizzonte (di oggi). Per la nostra dimensione culturale non vi sono altre grandi occasioni se non questa.



Siamo solo noi, che abbiamo conosciuto l’oceano in tempesta del nichilismo attivo e testimoniale, a poter tentare l’operazione con qualche potenzialità efficace a non negarsi ed a non divenire patologici e nevrotici, come sta succedendo all’intera cultura ex-dominante, che credeva ingenuamente o generosamente all’idea lineare del progresso. Solo noi, i confinati ed i confinari del pensiero, gli sconfitti da epoche, potremmo sopportare il peso insopportabile degli stravolgimenti che l’imbuto epocale determina, cercando di trarre dalla tragicità il bene possibile, la purezza possibile…

La poetica del valore, intrinseca alla poesia od al pensiero inattenuato, ad esempio, è ancora capace di grandi messi. Mi capita di leggerla, ancora, di viverla, ancora, soprattutto in scritti di altri, in insegnamenti di persone che stimo… Ma dobbiamo ritrovare il coraggio smarcante delle epoche difficili e di profondo trapasso. Certo, è lecito e quasi doveroso “dubitare”, ma lo è altrettanto intraprendere e ricondizionarsi… Qui poi parlo per me. Non posso arrogarmi, ovviamente, a parlare per nessun altro. Ma uso il plurale per dire che, per ogni cosa accennata qui, che vale in somma ed in differenza, in tempi ristretti provvederemo, certamente assieme a chi stimiamo, facendo perno su “L-T”, a reimpostare iniziative - come direbbe Archiloco - non peggiori…

Per un carico da 90, impudicamente, poi, aggiungo, uscita già a suo tempo sulla copertina del n 36 di “L-T”:

Noi che la grandezza si desidera

Da questa notte mi son trovato
in sogno
uscito dalla porta cornea.
Era fatto apposta per confondere
i confusi
e per sturare le orecchie ai foderati
e quindi
era fatto anche per me.
Ma oltreché per me
per una buona manica di altri.
Per me in quanto l’io
ha sempre sospettato
ma mai parlato di questo col sé.
Per gli altri
che credono che il facile sia la bellezza
o che la chiarezza sia un punto
da cui partire
per ragionar del mondo.
Ma in tutto questo
c’era una grande pietà
non disgiunta dal vero che
notoriamente
è lucidità e rigore.
Notoriamente da prender con le molle
con le pinze
e con ogni altro strumento
che ci venga a tiro.
Infatti dalla più tenera infanzia
sono stato crismato
da quel volontarismo becero
che scambia sempre una pinza
con una chiave inglese
come se le dita possano comunque
sempre
compensare il ferro.
La volontà ne ha tratto beneficio
ma l’intelligenza delle cose no.

Il sogno diceva di questo,
di quanto alto debba essere il volo
nel mondo
del mondo, in noi,
quanto lungo e strumentato,
quanto di laboriosità
e d’umiltà
e d’orgoglio ci voglia
ed uno sfrenato desiderio di purezza
per comprendere
per avvicinarsi a comprendere
che l’Uno e il Molteplice
vivono di una stessa vita
materiata in noi
in noi
noi che la grandezza si desidera.