Casa Agnelli
di Stenio Solinas - 02/10/2007
Più che adattare al mondo la sua immagine autocostruita, l’Avvocato si illuse che potesse avvenire il contrario
Elemento interessante della famiglia è proprio l’imbarazzo con il quale ogni disagio viene vissuto ma, mentre il fattore “aristocratico” lo alimenta, quello borghese lo respinge, lo soffoca, lo nega
R
accontano i biografidi Gianni Agnelli
che “l’Avvocato”
(“Mi chiami pure
così, è un nome d’arte”
recita una delle
sue migliori battute)
nutrisse un vero e proprio odio nei confronti
di Curzio Malaparte. È comprensibile. Non
solo era stato l’amante di sua madre, Virginia
(non il primo né l’ultimo, ma questo è un
particolare secondario), ma aveva anche
degli elementi di vanità, narcisismo, esibizionismo,
insofferenza e impazienza che nel
renderglielo simile, andavano in qualche
modo esorcizzati. Non c’è niente di peggio
che vedere te stesso recitato da un altro: ciò
che pensavi naturale ti appare di colpo artificioso,
ciò che giudicavi piacevole ti infastidisce.
Come in un gioco di maschere scopri
che la tua non è così bella come pensavi, e
l’unico modo per uscire dall’impasse è fingere
che sia di un altro, che sia altro...
Un po’ tutta la vita di Agnelli fu una finzione:
patriarca di una famiglia di cui avrebbe
fatto volentieri a meno, presidente d’azienda
a 45 anni senza che in quell’azienda ci avesse
mai messo veramente messo piede, borghese,
ma con velleità e ambizioni aristocratiche
(la “dinastia” Agnelli, l’unica casa
regnante di un’Italia repubblicana...), mondanissimo
charmeur
perennemente annoiato,educatore all’antica di un figlio con problemi
di droga che gli si rivolterà contro, si
convertirà all’islamismo, morirà suicida. In
un libro di una ventina d’anni fa,
Agnellil’irresistibile
, la giornalista francese Marie-France Pochna scrisse di lui che era sempre
in ritardo sulla storia perché, rispetto alle trasformazioni
del suo tempo, sapeva agire solo
di rimessa. Cristallizzato nell’immagine di
sé che aveva costruito, più che adattarla al
mondo si illuse che potesse avvenire il contrario.
Finì con la Fiat a un passo dal fallimento,
una famiglia attraversata da rivalità,
debolezze, divorzi, tragedie private. Come
ha ben scritto Marco Ferrante in
Casa Agnelli.Storie e personaggi dell’ultima dinastia
italiana
(Mondadori, 252 pagine, 17,50euri), in qualche modo ne fu “il carceriere
psicologico”: alla sua morte i parenti si
accorsero di esistere “solo in quanto prigionieri
dell’azienda”.
Nell’appendice genealogica che Ferrante
mette a chiusura del libro, una ventina di
pagine all’incirca, l’intreccio della “dinastia”
torinese rimanda a un tipo di Italia che resta
immortalata nel surreale scambio di domande
e risposte che oppose Claudio Sabelli
Fioretti, inviato del
Magazine del Corrieredella sera, a Lavinia Borromeo, moglie di
John Elkann, nipote e in pratica l’erede del-
l’Avvocato.
“Ha amici poveri?” “Poveripoveri no”. “Come mai?” “Dipende da che
cosa si intende per povertà. Parliamo di persone
che devono lavorare per mantenersi?”
La precondizione del denaro, un’entità che
precede gli elementi che della dinastia fanno
parte, spiega matrimoni, suggerisce professioni,
giustifica luoghi di residenza, di
vacanza, sport e hobbies, frequentazioni. Da
Clara Agnelli, la sorella maggiore di
Gianni, arrivano i Fürstenberg e gli
Hohenlohe, da Susanna i Rattazzi, da
Maria Sole i Ranieri Campello della
Spina, i Teodorani Fabbri e i Torlonia.
Cristiana Agnelli introduce i Brandolini
e i Faucigny-Lucinge, Umberto i Bechi
Piaggio e i Caracciolo... Risalendo alla
generazione di Edoardo Agnelli, il papà
di Gianni, per i rami e a scendere c’è
spazio per i De Gubernatis di Ventimiglia,
per i Camerana e i Marone Cinzano,
i Gaetani d’Aragona, gli Avogadro,
i Frua De Angeli, gli Ajmone Marsan...
Chiedersi che lavoro facciano, rimanda
al bisogno di puntualizzare di Lavinia
Borromeo... C’è chi produce vino, chi
disegna borse, chi fa il
broker, chi ildealer
, chi studia regia a New York, chifa l’allevatore in Argentina, chi scrive
romanzi, chi commercia in quadri...
Gianni Agnelli prende in mano la Fiat
nel 1966. L’anno prima è morto in una
casa di cura il fratello Giorgio. Sul
giornale di famiglia appare un piccolo necrologio,
per il resto è silenzio. Di Giorgio non
circolano foto, di Giorgio non si parla. Era
schizofrenico, detestava il fratello maggiore,
addirittura cercò di sparargli... Eppure, allora
e per quasi un quarantennio, niente trapela, il
silenzio della famiglia e dei media è totale.
Nel 2005, Lapo Elkann, fratello di John e
uomo-immagine di
una Fiat che cerca di risollevarsi, incappa in
una storiaccia di cocaina, alcol e transessuali
e quasi ci lascia la pelle. La Stampa, ovvero
il quotidiano di famiglia, la cavalca in lungo
e in largo, giornali e televisioni fanno lo stesso.
Nella disparità di trattamento è racchiusa
la fine di un regno, di un potere, di un’immagine.
Lui, l’Avvocato, ha fatto a tempo a non
vederla, se n’è andato due anni prima, ma
anche se non ha assistito alla “catastrofe”
finale è sufficientemente intelligente per rendersi
conto che un’epoca si era comunque
chiusa. Scrive Ferrante, riportando il giudizio
di un alto dirigente Fiat dell’epoca:
“Era unuomo acuto, perché consapevole della sua
strutturale inadeguatezza come imprenditore
e
leader di un gruppo mondiale, e però incapacenel momento della verità di fare un
onesto
outing su se stesso”.Un fratello schizofrenico, un padre
viveur,una madre infelice e disinibita, un figlio drogato
e in preda al misticismo, un nipote un
po’ scoppiato... Il catalogo delle “stranezze”
di casa Agnelli è già lungo e vario nel suo
filone principale perché ci si debba scomodare
a cogliere quelle che attraversano i rami
collaterali... Eppure, un altro elemento interessante
della famiglia è proprio l’imbarazzo
con il quale ogni disagio è vissuto. Il fattore
“aristocratico” in qualche modo lo alimenta,
quello borghese lo respinge, lo soffoca, lo
nega. Giovanni Agnelli
senior, il senatore, ilcapostipite, l’emblema sabaudo e un po’
bigotto di un modo di essere e di comportarsi,
è la stessa persona che ingaggia con la
nuora Virginia lo scontro per la potestà sui
nipoti dopo la morte del figlio Edoardo: glieli
vuole togliere, ne teme le stranezze,
non ne approva il modo
di vivere. Vedova a 35 anni,
Virginia, nel ricordo della figlia
Susanna,
“era bella, fragile, lamadre, praticamente squattrinata,
di sette figli che avrebbero
un giorno ereditato un’immensa
fortuna. Amava la vita
e l’allegria, era del tutto ineducata,
follemente generosa,
sempre e fondamentalmente
una ragazza”.
Orfani dipadre, con una madre che
invece di proteggerli va protetta,
che non vuole saperne
di lutti e di doveri, che cambia
gli uomini come fossero
lenzuola, i giovani Agnelli
cresceranno con un misto
di gelosia e di ipersensibilità,
la freddezza e il distacco
come autodifesa, ma
anche l’eccesso sentimentale e il rifiuto delle
convenzioni come tentazione.
Figura carismatica, seducente nel suo essere
sfuggente (“gli occhi di marmo, il lungo e
mansueto sorriso di rettile” lo definirà il critico
Cesare Garboli, uno degli amanti della
sorella Susanna), il fascino di Gianni Agnelli
lo si può anche ricavare dall’impronta lasciata
sugli avversari. Il caso più clamoroso è
quello di Cesare Romiti, l’amministratore
che volle farsi re, e quasi ci riuscì. Ai funerali
dell’Avvocato, resta in piedi per tutta la
cerimonia, una mano sul petto. C’è chi la trova
un’immagine un po’ patetica, il bisogno di
farsi notare, l’esibizionismo di chi al funerale
di un altro si ostina a voler essere lui il morto...
Ma c’è anche chi ci vede l'estremo
omaggio, una certa militare fierezza. Sbagliano
gli uni e gli altri, come lo stesso
Romiti ingenuamente rivelerà quando gli
chiederanno il perché di quel gesto. Anni prima,
dirà, a una messa a Villar Perosa cui
entrambi avevano partecipato, Agnelli era
rimasto in piedi per tutta la funzione.
“Misembra un modo per dimostrare rispetto alla
religione e a me stesso”
gli aveva detto. Persindrome mimetica, insomma, Romiti farà lo
stesso. Non ne aveva copiato l’orologio sul
polsino o la cravatta sul
pullover, gli copiò ilmodo di stare davanti alla morte. E anche
questo aiuta a spiegare che cosa siano stati
gli Agnelli per la storia d’Italia e cosa sia stato
il capitalismo italiano.