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Soggettività e oggettività

di indranet - 03/10/2007

Fonte: indranet

Tutte le scienze si fondano su un particolare approccio alla conoscenza. Gli scienziati credono che quest’ultima abbia valore solo se viene da un luogo oggettivo. Il mito dell’oggettività è così diffuso da dominare anche una scienza soggettiva come la psicologia, che studia l’interiorità della mente umana.

Per secoli, la possibilità di includere la nostra esperienza soggettiva nell’indagine del mondo è stata inibita; inoltre, soggettività e oggettività sono state divise in due mondi separati, con valori distinti. Forse è tempo di far sì che entrambe le modalità si fondano in modo efficace.

Tutte le scienze si fondano su un particolare approccio alla conoscenza. Gli scienziati credono che quest’ultima abbia valore solo se viene da un luogo oggettivo. Il mito dell’oggettività è così diffuso da dominare anche una scienza soggettiva come la psicologia, che studia l’interiorità della mente umana.

Secondo gli “esperti”, nessuna scoperta, nessuna esperienza ha valore se non è oggettiva. La soggettività viene di solito considerata “un caso isolato” o addirittura un’illusione, poiché l’esperienza, essendo unica, non può essere riprodotta in laboratorio. Per spiegare questo punto, pensate all’effetto placebo, estremamente soggettivo, in Medicina. Questo fenomeno è largamente riconosciuto ma, poiché non ha radici nell’oggettività, non è stato studiato a fondo. Tuttavia, l’effetto placebo è più potente della medicina reale, poiché non ha bisogno nemmeno del supporto esterno di un farmaco per produrre effetti.

Cartesio, nelle sue indagini scientifiche, cercava una “chiara e distinta percezione” a fondamento del metodo scientifico, in cui i pensieri, le emozioni e la soggettività fossero coinvolti il meno possibile. Cartesio non era quel filosofo freddo e distaccato che spesso si vuol far credere. Egli utilizzava una procedura che era una sorta di tecnica di meditazione, diversa dai metodi scolastici accettati al suo tempo e dai vari tipi di meditazione orientale arrivati in Occidente in questi ultimi decenni. La Storia lo ha celebrato come il padre del metodo scientifico, oppure lo ha condannato per lo stesso motivo, ovvero per essere stato colui che ha separato il corpo dall’anima. Entrambe le affermazioni sono sbagliate, perché gli scienziati – secondo me – non hanno mai davvero adottato la sua tecnica di meditazione per scoprire la verità, né lui aveva alcunché contro il corpo o le emozioni. Parlerò più approfonditamente di Cartesio in un articolo futuro.

Frainteso o no, attraverso Cartesio un metodo che valorizza l’oggettività è stato universalmente adottato dalla nostra cultura. Ma cosa c’è di sbagliato nella soggettività, secondo la scienza moderna? Ho la sensazione che la soggettività venga considerata priva di qualsiasi valore intrinseco, come se le qualità soggettive dell’individuo inquinassero la “purezza” del metodo scientifico e le scoperte stesse.

La causa originaria del dominio dell’oggettività si può spiegare come segue: poiché gli esseri umani sono stati creati a immagine di Dio, possono approssimare il punto di vista di Dio sulla natura. Inoltre, gli esseri umani sono stati creati nell’ultimo giorno della creazione e a immagine di Dio, quindi sono qualcosa di profondamente diverso dal resto della creazione: sono qualcosa che, in sé, può essere conosciuto oggettivamente. Poiché la mente umana è stata creata a somiglianza del divino, ha la possibilità di comprendere l’universo in quanto creato da Dio. Gli esseri umani possono raggiungere questa comprensione adottando un punto di vista puramente oggettivo, come ha fatto Dio nella sua creazione, in tal modo trascendendo il mondo naturale. B. Alan Wallace espone la storia degli influssi soggettivi nel suo libro The Taboo of Subjectivity. (Oxford University Press. 2000). Né è da dimenticare che Cartesio sviluppò il suo metodo affinché gli esseri umani apprezzassero e scoprissero la creazione di Dio.

Ma esiste un altro elemento che a mio parere ha ulteriormente screditato la soggettività. Quando un uomo usò per la prima volta la sua soggettiva facoltà di giudizio, provocò un disastro: il peccato originale. Quindi, è meglio non affidarsi più al nostro giudizio.

Per secoli, la possibilità di includere la nostra esperienza soggettiva nell’indagine del mondo è stata inibita; inoltre, soggettività e oggettività sono state divise in due mondi separati, con valori distinti. Forse è tempo di far sì che entrambe le modalità si fondano in modo efficace. Come dice Almaas:

Quella che ordinariamente chiamiamo oggettività non è l’oggettività autentica, bensì un isolamento schizoide. È il risultato dei tentativi di giungere all’oggettività tramite un ritiro schizoide. Poiché non sappiamo gestire la nostra soggettività, la cancelliamo. Questa è stata la via accettata della scienza, e qualcuno ha suggerito questo approccio pure per la psicologia e la spiritualità. […] Il modo migliore di comprendere oggettivamente l’esperienza personale è indagare non solo l’oggetto di indagine, ma anche il soggetto indagante, allo stesso tempo. Quando osserva un esperimento, lo scienziato non include la propria influenza su ciò che osserva. Egli si limita a cercare di interferire il meno possibile, lavorando sui propri strumenti. Noi però, quando indaghiamo la nostra personale esperienza, non cerchiamo di non interferire: semplicemente, includiamo la nostra interferenza come parte di ciò che osserviamo. La nostra esplorazione non riguarda solo la natura della nostra esperienza o del nostro stato, ma anche la totalità di ciò che siamo, inclusa la natura di quella parte di noi che osserva o esplora. Almaas, Spacecruiser Inquiry. Shambhala. Boston. 2002.

La modalità di indagine che include sia il soggetto sia l’oggetto può diventare un efficace strumento per esplorare allo stesso tempo la scienza “esteriore” e l’interiorità dell’animo umano, se mai esiste una differenza tra l’interno e l’esterno. I mistici sostengono che ogni risposta e conoscenza può essere raggiunta e compresa dalla nostra saggezza interiore. Forse non occorre andare sulle montagne e meditare profondamente per anni per riparare un errore nel software, ma includere la nostra soggettività profonda in qualsiasi tipo di ricerca può espandere la nostra visione e connetterci con la fonte universale delle idee e della conoscenza.