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L’Iran, Benetton e le radici sociali dell’obbedienza

di Carlo Gambescia - 03/10/2007

 

Secondo alcuni giornali italiani l’Iran non gradirebbe sul suo territorio nazionale la presenza della Benetton e di altre imprese-veicolo del modello occidentale, potenziali“corruttrici” dei costumi locali.
Si tratta di una questione interessante, almeno per due ragioni.
La prima è di tipo teorico. I costumi e dunque la società “fanno” l’uomo? Indubbiamente sì. Ma entro alcuni limiti. Dati, ad esempio, dalla forza delle tradizioni e dei costumi locali. Oppure dal grado di informazione e libertà di cui godono i singoli: quanto più una società non mette in discussione o addirittura vieta le scelte individuali, tanto più diviene facile e veloce il cambiamento dei costumi, che di regola ha natura mimetica (ma non sempre in misura assoluta, come vedremo più avanti): il mutamento sociale si trasmette da persona a persona nei termini di “comportamenti” definiti in misura crescente socialmente esemplari. Al punto di assumere, come in Occidente, ritmi impressionanti. Il che significa che nel tempo lo stesso mutamento sociale, a prescindere dai valori che veicola, rischia di trasformarsi in valore in quanto tale, come appunto è avvenuto in Occidente: il mutamento, come progresso infinito, finisce per essere buono di per sé. E’ come credere che il valore di una certa automobile sia dato esclusivamente dalla sua velocità, e non da altri valori estetici e/o legati al comfort...
La seconda ragione riguarda la società iraniana. Dove nel periodo precedente alla rivoluzione khomeinista, la modernizzazione anche dei costumi sociali, aveva fatto notevoli passi in avanti. Perciò parliamo di una società che già conosceva a livello di ceti medi (avvocati, ingegneri, medici, professori, imprenditori, grandi commercianti), e probabilmente apprezzava, i valori dell’Occidente. Ora, rifiutare qualsiasi rapporto con le multinazionali del lusso e dell’abbigliamento come Benetton, rischia di diventare una petizione di principio, puramente ideologica. Che può dividere ancora di più la società iraniana e alimentare quella logica dell’accerchiamento, che ha un fondamento reale, ma che può portare a un definitivo e totale isolamento politico
Certo, la “salvezza” non può essere rappresentata da un’apertura indiscriminata all’Occidente. Ma neppure dalla chiusura ermetica. Anche perché la logica militare e in certi casi autoritaria, adottata dalla dirigenza iraniana, rischia di avere un pesante effetto di ricaduta sulla società iraniana e così provocare secessioni interne, da parte di quei ceti medi favorevoli all’apertura. Anche perché, sul piano sociologico della diffusione dei valori sociali “consumistici”, quanto più se ne vieta la diffusione, tanto più questi valori, soprattutto nelle generazioni giovani, divengono “appetibili” per contrasto con le generazioni adulte o anziani. E L’Iran è una società, se ricordiamo bene, composta per quasi i due terzi da giovani tra i 15 e i 35 anni.
Di qui tre possibilità.
La prima è di accompagnare l’apertura selettiva all'Occidente (ma inclusiva di alcuni valori sociali e culturali), con la “reinvenzione” e la “popolarizzazione” democratica delle tradizioni locali; scelta che implica anche l’accettazione di eventuali rifiuti individuali delle tradizione locali. Un percorso, dunque, da pianificare senza eccessi, per non provocare le reazioni dei gruppi "conservatori", probabilmente legati più alla forma che alla sostanza delle cose. La seconda possibilità consiste invece sempre nell’apertura selettiva (ad esempio in ambito economico e tecnologico), ma accompagnata dalla reiterazione statica e autoritaria dei valori religiosi e sociali esistenti. La terza possibilità, infine, consiste nella chiusura totale all’Occidente e nell’ imposizione dall'alto dei valori della tradizione, nella direzione di una specie di totalitarismo, diciamo così, islamista…Scelta che farebbe solo il gioco degli avversari interni ed esterni.
In conclusione, chiudere a Benetton, significa, in fondo, non avere piena fiducia nei propri valori e dunque nella capacità di poter competere con i valori dell’Occidente. Il che può anche riflettere la realtà economica. Ma, resta il fatto che l’ obbedienza pura e semplice, fondata esclusivamente sulla paura della repressione, non è un valore sufficiente a garantire, nel tempo, stabilità politica e crescita economica all’attuale regime iraniano.
Pertanto la questione iraniana, al di là degli aspetti politici, rinvia a un problema sociologico classico: quello delle radici sociali e culturali dell’obbedienza. Gli esseri umani, se obbligati, e magari sotto lo stimolo della paura fisica, obbediscono. Ma, appena superato il pericolo immediato, iniziano a interrogarsi sulle ragioni della loro obbedienza. Perciò, in certo senso, gli uomini devono sentirsi anche liberi di non obbedire, e soprattutto di capire perché, e in nome di quali valori, debbano obbedire. La mimesi sociale, soprattutto se libera e non fondata su un puro principio di autorità non completamente interiorizzato, implica sempre fasi di autoriflessione, in genere successive all’adozione di costumi socialmente dati.
Gli uomini non sono macchine sociali, vietare non basta.