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Sguinzagliati i cani della guerra

di Carlos A. Pereyra Mele* - 03/10/2007


A marzo di quest’anno, abbiamo analizzato l’escalation delle azioni condotte dalla “Repubblica Imperiale” verso la Repubblica Islamica dell’Iran, e spiegato come queste fossero funzionali, principalmente, al mantenimento della sua egemonia planetaria [1].
Il piano di guerra non è avvenuto per tre ragioni:
a)per il logorio provocato dal conflitto iracheno;
b)per l’impantanamento dell’alleato regionale degli USA: Israele, il quale non ha potuto sconfiggere le milizie pro iraniane nel Libano;
c)infine per l’abilità con la quale si è saputa muovere la diplomazia iraniana, che è riuscita ad ottenere la copertura diplomatica da parte delle Potenze regionali, quali la Russia e la Cina.

Oggi, questo progetto si rimette in moto, ma all’interno di un quadro più complicato nei confronti dell’egemone; ciò non significa, tuttavia, che nella corsa per raggiungere gli obiettivi che gli USA si erano proposti non facciano un ulteriore balzo in avanti, ricorrendo all’unico elemento che ancora hanno a disposizione, cioè quello della soluzione militare per cercare di mantenere la sua posizione dominante.

E’ di pubblico dominio il fatto che i dati macroeconomici degli USA sono preoccupanti. Smisurato deficit dovuto alle guerre, ricorrenti crisi nel suo settore finanziario, reiterati crolli della borsa e spaccatura della bolla immobiliare, ecc. La debolezza del dollaro nei confronti delle altre monete, mettono in dubbio il suo ruolo, per dirla in termini pietosi, come moneta di riferimento. Infine, per quanto concerne il fronte interno, ci si trova davanti a un’Amministrazione che gode di sempre meno credibilità da parte della sua popolazione, la quale offre una maggiore resistenza alle avventure all’estero.

Ma dove la debolezza si manifesta in modo maggiore è nel suo fronte esterno, poiché le previsioni delle politiche architettate dai neocons mediante l’implementazione e l’utilizzo della risorsa militare, fino ad ora non sono riuscite a stabilizzare le regioni occupate e non sanno come uscire dal pantano nel quale per propria scelta hanno deciso di immergersi, come nei casi dell’ Afganistan e dell’Iraq, tutto ciò è inveito contro il progetto del secolo XXI: Il Secolo Americano.

Ciò ha portato a studiosi, think tank, intellettuali e politici americani a levare le loro voci d’allarme per questo tipo di politica, poiché è seriamente messa in gioco la posizione che gli USA pretesero quando si dissolse il blocco sovietico, e l’abbiamo anche accennato in un altro articolo: Nessuno Stato è immortale. Al presente alcuni settori americani si chiedono sul come amministrare il proprio declino nel caso non dovessero raggiungere l’egemonia planetaria.

Oggi possiamo coincidere sul fatto che: i grandi poteri continentali situati in Eurasia: Russia, Cina e India, si trovano in un eccellente stato di crescita economica, di sviluppo tecnologico emergente e di aumento dell’influenza politica; i grandi poteri atlantici come gli Stati Uniti, l’Unione Europea o il Giappone, si trovano in un processo di ricerca della propria identità, di crisi dottrinali interne e di mancanza d’efficacia risolutiva tanto politica quanto strategica.

Davanti a quanto esposto, non dobbiamo smettere di preoccuparci dell’idea di chi procede con piani bellicisti, e delle conseguenze concrete cui questi porterebbero tanto a livello regionale quanto planetario.

Non ci eravamo nemmeno sbagliati quando affermavano che le guerre del secolo XXI si si sarebbero organizzate per il controllo delle risorse naturali; convergiamo sul fatto che l’idea di aggredire l’Iran non è dovuta al discorso sul nucleare: tutti gli esperti riferiscono che a quel paese necessitano parecchi anni affinché possa sviluppare un ordigno bellico atomico. In realtà, la guerra si farà per il petrolio.

Lo ribadiamo: la situazione tende verso il conflitto per il fatto che essenzialmente questo scontro sarà definitivo e decisivo nel momento di plasmare un nuovo ordine mondiale; per quale ragione affermiamo ciò? Perché è in gioco il controllo politico del Medio Oriente e quello dell’energia nella regione, e anche perché esiste un altro aspetto geopolitico da tenere presente che interessa l’Iran: questo paese si trova in una posizione geografica determinante per il controllo del triangolo petrolifero (Mar Nero-Mar Caspio-Golfo Persico).

Riconfermiamo quanto veniva avvertito dagli esperti non asserviti al pensiero politicamente corretto: che le guerre di Afganistan e d’Iraq si sono fatte per il petrolio e per il gas (con la falsa giustificazione di lottare contro le armi di distruzione di massa e il terrorismo internazionale).

Attualmente un esponente del potere finanziario - il quale di certo non lo si può tacciare di essere un agente del terrorismo internazionale o un membro dell’Asse del male -l’ex presidente della Federal Reserve americana, Alan Greenspan, ha messo in subbuglio il mondo politico con la pubblicazione delle sue memorie, nelle quali assicura che “la guerra in Iraq è stata in buona parte dovuta al fattore petrolio”. E aggiunge: “confesso ciò che tutti sanno”.

Ma come abbiamo già espresso all’inizio dell’articolo, i piani bellicisti continuano ad avanzare per cercare di consolidare il sempre più lontano obiettivo dell’egemonia.

E oggi lo fanno con l’aiuto dei nuovi “atlantisti” che hanno preso il potere in Francia. Il governo francese, per mezzo del suo cancelliere, Bernard Kourchner, domenica sera ha annunciato in Tv che la Francia si deve preparare per affrontare una guerra con l’Iran. “Noi ci dobbiamo trovare preparati per il peggio e il peggio è la guerra”, ha dichiarato il mediatico e socialista Kourchner nella tivù francese, quando tutto il paese guardava la partita di rugby tra Francia e Namibia. Nessuno a quei livelli di potere riesce a rilasciare delle dichiarazioni se non vengono previamente decise, è evidente che si vuole dare inizio a una nuova escalation con lo scopo di usare l’espediente militare. Ciò è grave, poiché sin da ora la Francia si unisce all’alleato incondizionato degli USA in Europa, il Regno Unito della Gran Bretagna. Francia ha infranto una tradizione politica estera indipendente [2], la cui ultima prova è stata quella di Jacques Chirac quando si oppose al Consiglio di Sicurezza dell’ONU alla guerra in Iraq. Ora sembra sgombra la strada per applicare le sanzioni all’Iran e approfondire lo scontro. (Più che una fortezza, ciò dimostra che l’Europa manca di posizioni strategiche per risolvere i problemi politici internazionali).

Ci auguriamo che i piani dei bellicisti non si possano avverare, perché il conflitto non si circoscriverà al solo Iran, bensì a tutta la regione e non dimentichiamo che, in definitiva, questo possibile scontro militare colpirà i progetti della Russia e della Cina, i quali sicuramente non rimarranno con le braccia incrociate e, infine, ricordiamo che quando si scatenano i cani della guerra l’esito è sempre incerto e pericoloso, poiché gli USA possono impiegare armi nucleari tattiche e ciò potrebbe riproporsi come un nuovo olocausto umano simile a quello delle 1.200.000 vite che si sono estinte in Iraq sin dall’invasione americana e da quella dei loro alleati.

L'Argentina deve ratificare ed esigere nella prossima assemblea dell’ONU che le controversie internazionali debbano risolversi nell’ambito della diplomazia e non sui campi di battaglia.
La tradizione argentina di neutralità deve essere la base della nostra politica estera e non quella di sommarsi al coro dei bellicisti.

* L'avv. Carlos A. Pereyra Mele è analista politico e specialista di geopolitica sudamericana
Centro di Studi Strategici Sudamericani (CeeS)


© (2007) Avv. Carlos A. Pereyra Mele
Tutti i diritti riservati.
Per riprodurre citare la fonte.
21 settembre 2007

Note:
(1) Venti di guerra: http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EEZVVkuVyEErWqZRSo.shtml
(2) Il cancelliere francese ha parlato di “guerra” nei confronti dell’Iran e ha scatenato uno scandalo diplomatico: http://www.clarin.com/diario/2007/09/18/elmundo/i-02501.htm

(traduzione dallo spagnolo di Vincenzo Paglione)