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Bisogna puntare all'essenziale

di Francesco Lamendola - 04/10/2007

 

Abbiamo altrove sostenuto (cfr. articolo Ogni uomo è un viandante con la doppia cittadinanza) che l'essere umano è una creatura anfibia e che si trova a vivere, contemporaneamente, l'esperienza del relativo e quella dell'assoluto; o, per dir meglio, che l'esperienza dell'assoluto è schiusa davanti a lui, è alla sua portata, e che da lui dipende se entrarvi oppure no. Questo significa che, nella sua vita, le cose relative e quelle assolute sono apparentemente mescolate e che a lui è affidato il compito di riconoscerle e distinguerle; dando, evidentemente, la precedenza all'essenziale. Tale capacità di discernimento non si può improvvisare dall'oggi al domani, in genere è frutto di un lungo processo di maturazione e riflessione; d'altra parte, è chiaro che il semplice fatto di porsi il problema sta a significare che già una parte del cammino è stata compiuta: perché - come diceva Socrate - non cercheremmo qualcosa se già non ne possedessimo almeno un qualche barlume.

Pr fare una similitudine, è come se noi, immersi nel frastuono disarmonico e sgradevole di una grande metropoli, dovessimo affinare l'orecchio fino a percepire chiaramente le deboli note di una meravigliosa musica d'organo, che filtrano dalla porta socchiusa di una chiesa.; oppure come se, camminando in mezzo a una discarica, fra rottami e rifiuti d'ogni sorta, dovessimo riconoscere alcune pietre preziose che vi sono finite, chissà come, disperse, e la cui luce incantevole traspare, ma a fatica, in mezzo al cumulo del ciarpame. Noi dobbiamo allenare l'orecchio fino al punto da non udire quasi più i mille rumori molesti del traffico cittadino - il ronzio dei motori delle automobili, lo strombettare dei clacson, il crepitio dei martelli pneumatici, lo stridor di freni degli autobus, e così via; fino al punto da percepire tutto ciò come un debole sottofondo che non ci disturba affatto, del quale prendiamo atto senza che la nostra coscienza vi partecipi o vi presti particolare attenzione. A quel punto la musica armoniosa, divina, crescerà di volume sino a espandersi per tutta la nostra anima: trionfando nel nostro cuore, lo farà esultare; riempirà tutti i nostri pensieri di dolcezza e di bellezza. Allo stesso modo, dobbiamo esercitarci a percepire in maniera puramente meccanica le mille immondizie e gl'infiniti prodotti di scarto che si accumulano nella discarica del nostro orizzonte esistenziale, in modo che le poche cose preziose presenti in essa possano brillare vivide come non mai, appagarci e ricompensarci di ogni fatica, di ogni turbamento, di ogni sacrificio.

Difficile? Meno di quanto si possa immaginare. È tutta questione di allenamento e, cosa ancor più importante, di adottare il giusto stato d'animo. In particolare, non dobbiamo presumere di essere degli eroi o dei semidei che debbano affrontare le dodici fatiche di Ercole con le proprie sole forze: dobbiamo evitare d'insuperbirci e d'inorgoglirci eccessivamente. Al contrario, dobbiamo pensare che, a fronte della nostra debolezza e della nostra fragilità, c'è chi può darci aiuto e sostegno, purché noi ci abbandoniamo fiduciosamente nelle sue mani. Il segreto è riconoscere la nostra piccolezza ed essere abbastanza umili - e abbastanza coraggiosi - da lasciarci andare: non noi dovremo compiere l'opera titanica di trasformare il fango in oro, ma semplicemente noi possiamo essere gli strumenti per una tale operazione. Gli alchimisti del passato - quelli veramente illuminati, per lo meno - lo avevano compreso: la Grande Opera non è frutto della umana potenza, ma della disponibilità ad aprirsi all'Essere, a donarsi con fedeltà incondizionata al progetto di armonia cosmica di cui noi siamo parte e, se lo vogliamo, parte significativa.

 

Una grande e bella figura di Maestro spirituale dei nostri giorno, Paramahansa Yogananda (5 gennaio 1893-7 marzo 1952), molto noto in Occidente per il suo libro Autobiografia di uno Yogi,  nel corso di una lezione presso la Self-Realization Fellowship a Los Angeles, in California, ebbe a dire una volta:

 

"Prima di tutto chiedetevi: «Ho trovato Dio?». Se la vostra risposta non vi soddisfa, datevi seriamente da fare nella meditazione, così come vi viene insegnato dai Maestri auto-realizzati che Lo hanno trovato.(…)

"Io lavoro per Dio solo. Il mondo non ha illusioni per me; le ho riconosciute tutte. Anche voi dovete rendervi conto che su questa terra siete solo in visita temporanea. Siete qui unicamente per imparare delle lezioni necessarie e per aiutare tutti coloro che si trovano sul vostro cammino. Voi non sapete perché vi è stato assegnato un determinato ruolo, perciò dovete imparare quello che Dio si aspetta da voi.  Non albergate desideri personali; il vostro unico desiderio dovrebbe essere quello di seguire la volontà del Signore e di vivere e lavorare per Lui.

"Oggi siamo qui e domani ce ne saremo andati: siamo semplici ombre in un sogno cosmico.  Ma dietro l'irrealtà di queste immagine fugaci c'è l'immortale realtà dello Spirito. La vita qui sulla erra sembra futile e caotica perché non siamo ancorati nel Divino. Questa è la ragione per cui - come  molte volte vi ho detto - sono qui a testimoniare la suprema importanza dello Spirito. Non concentratevi su effimeri traguardi terreni né su attaccamenti umani. Tale fanatismo distoglie la vostra mente dal Signore e dal vostro eterno  Sé in Lui. «Colui che superato l'attaccamento, sia agli oggetti dei sensi che alle azioni, e che è privo di perseguimenti dettati dall'ego, quell'uomo  è detto aver raggiunto la salda unione dell'anima con lo Spirito».

"Voi siete venuti qui per volere di Dio, ma Egli vi ha dato la libertà di vivere secondo la vostra volontà. Adesso dovete imparare ad essere obbedienti alla volontà dell'Onnipotente. È così che io cerco di essere. Ogni mattina Gli chiedo  di dirmi che cosa vuole ch'io faccia; allora Lo vedo lavorare con le mie mani e col mio cervello, e tutto procede nel modo voluto.

"Questo è il Potere al quale dovete affidarvi, nel quale potete trovare guida, felicità, forza e libertà. Questo è il Potere che vi darà la liberazione.

"Nessun potere è importante se distoglie il vostro pensiero  e il vostro desiderio dal dovere che avete verso Dio; ogni altra cosa è illusione. Per afferrare questa verità ho dovuto rimuovere dal mio cervello tutte le allucinazioni mondane, con la meditazione e la compagnia di grandi Maestri. Io voglio instillare questa comprensione nei vostri cuori. Finché non realizzerete che Dio è più importante di qualsiasi altra cosa e finché non passerete la vostra vita cercando di piacerGli, non sarete affatto evoluti spiritualmente." (Paramahansaa Yogananda, L'eterna ricerca dell'uomo, Roma, casa Editrice Astrolabio, 1980, pp. 433, 435-36).

 

Ecco il segreto: pensare ed agire non come vorrebbe il nostro piccolo ego, ma come vorrebbe qualche cosa di molto più grande che risiede in noi e fuori di noi: il Sé divino di cui siamo parte e che pervade armoniosamente l'intera realtà. Il mondo fisico non è che un sogno: finché siamo immersi nel sonno ci sembra ben solido e reale, ci sembra perfino l'unica realtà certa. Ma così come, svegliandoci dal sonno, apriamo gli occhi su quella che abitualmente chiamiamo la vita vera, ossia la vita della coscienza desta, allo stesso modo noi possiamo svegliarci dal sogno del mondo materiale e aprire gli occhi alla realtà assoluta, impermanente.

La maggior parte degli esseri umani vivono dormendo. Sono così immersi nel loro sogno - un sogno in parte voluttuoso, più spesso angoscioso - che non possono neanche immaginare vi sia qualcosa d'altro fuori di esso. Perciò vi si abbarbicano come l'edera al tronco dell'albero, si vi s'immergono e vi stordiscono, fino a sfinirsi completamente, come il triste fumatore d'oppio - finché non resta loro la minima energia per alzare la testa e aprire gli occhi. Una cosa particolarmente triste è che, dal momento che nessun uomo è un'isola, questi dormienti coinvolgono nei loro sogni deliranti tute le persone con le quali entrano in contatto, a cominciare dai parenti stretti e, passando attraverso gli amici e i colleghi di lavoro, via via tutti gli altri di cui sfiorano fuggevolmente le vite. In genere, un sonnambulo non vede affatto la strada e, quindi, il minimo che prima o poi gli possa capitare, oltre ad andare a sbattere da qualche parte, sarà di investire il prossimo, più o meno dolorosamente. Esattamente come quei pirati della strada, drogati o ubriachi, che correndo come pazzi nella notte invadono la corsia opposta e provocano la morte di tranquilli automobilisti che stavano tornando a casa senza dare fastidio ad alcuno, essi investono le vite dei loro simili e vi provocano danni più o meno gravi - danni spirituali talvolta irreparabili.

 

Dobbiamo persuaderci che il fatto di destarci o di continuare a dormire non riguarda soltanto le nostre vite, non è solamente un fatto privato. Una delle frasi che si sentono ripetere più spesso, specialmente - ma non solo - da ragazzi adolescenti in rivolta contro genitori e adulti in generale, è questa: «Non sono forse libero di fare ciò che voglio della mia vita?». Ecco fino a che punto si può fraintendere il concetto di libertà: come se vivere pericolosamente per sé e per gli altri fosse un diritto sacrosanto, analogo a qualunque altra libertà fondamentale. Il fatto è che, negli ultimi anni, troppi cattivi maestri non hanno fatto altro che sproloquiare di diritti e mai, proprio mai, si sono ricordati che ad ogni diritto corrisponde un ben preciso dovere.

E il dovere numero uno è: sii te stesso; riconosciti, scegliti; cerca l'essenziale: il Sé armonioso e ineffabile che alberga nel fondo della tua anima. Quando lo avrai trovato, o almeno quando ti sarai avvicinato ad esso, ogni cosa ti diventerà chiara. Non dovrai più affannarti dietro i progetti della volontà egoica, dietro le brame del desiderio di possesso. Allorché ti sarai liberato da questi fardelli insopportabili, sarà Lui a mostrarti la via, a incoraggiarti nei passi difficoltosi, a sostenerti e a illuminarti nei momenti di oscurità.

 

 

Dobbiamo puntare all'essenziale. Di solito, disperdiamo incredibili quantità di tempo e di energia inseguendo cose secondarie e illusorie, che ci lasciano invariabilmente delusi e con un gusto di amaro in bocca. Oltretutto, questo modo di vivere nevrotico e ansioso, incentrato sul relativo e sull'effimero, nuoce gravemente alla nostra salute. Per cui spendiamo altro tempo, altre energie (e altro denaro) nel tentativo di curarci: dal medico, dallo psicanalista, dal guaritore. Ma il nostro malessere, il più delle volte, non è cosa che si possa guarire con le medicine o con le sedute psicanalitiche; e coloro che dovrebbero curarci, non di rado, sono ancora più malati di noi. La salute del corpo è, al contrario, la conseguenza e l'effetto di una vita spirituale evoluta, ossia di una coscienza che ha saputo riconoscere, nella propria vita, ciò che è essenziale, separandolo da ciò che è secondario e, non di rado, dannoso. In altre parole, così come il benessere dell'anima sopraggiunge quando sappiamo sbarazzarci della zavorra dell'ego e del suo attaccamento alle cose, allo stesso modo il benessere fisico sopraggiunge quando la smettiamo di darci pena del nostro corpo in maniera compulsiva e infantile, quando la smettiamo di vezzeggiarlo narcisisticamente e ci decidiamo a porlo nel ruolo che gli compete: servire docilmente la nostra evoluzione complessiva, offrire un sostegno alle necessità della nostra crescita spirituale. Dobbiamo trattarlo come un fedele mezzo di trasporto, come la vecchia bicicletta che, trattata con la debita cura, ci accompagna magari dagli anni della nostra adolescenza. Con essa abbiamo fatto tanta strada, ci è stata molto utile e glie ne siamo grati; per questo le usiamo alcuni riguardi: ma, soprattutto, perché desideriamo che continui a servirci. Non la sopravvalutiamo, sappiamo che è solo un mezzo: un caro, vecchio, utile mezzo di trasporto. E nient'altro. Ma siamo noi a pedalare: da sé, essa non saprebbe avanzare neppure di un centimetro; non è che un insieme di metallo, plastica, cuoio e gomma.

 

Ce n'è di strada, che dobbiamo ancora fare. La vecchia bicicletta può renderci ancora dei servigi preziosi. Ma, se dovesse piantarci in asso; se una ruota si forasse, non per questo ci perderemmo d'animo. Cercheremmo di aggiustarla, nei limiti del possibile; altrimenti, proseguiremmo il nostro viaggio a piedi. Dopotutto, erano e saranno sempre le nostre gambe a portarci, a fare il lavoro vero. Le nostre gambe e la nostra buona volontà.