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Un Paese spaccato che sogna l'Occidente e dipende dall'Oriente

di Giulietto Chiesa - 04/10/2007





 

Come dividere per tre una vittoria? Così titolavano ieri le Izvestija di Mosca, molto governative, come ai tempi sovietici. A Mosca si aspettavano di più da Yanukovich, che pure ha mantenuto il suo Partito delle Regioni al primo posto. Ma nemmeno a Washington possono dirsi entusiasti del risultato, troppo lontano dai fasti della già dimenticata da molti «rivoluzione arancione».

Yulia Timoshenko ha subito detto che sarà lei a formare il nuovo governo e, in realtà è lei ad aver ottenuto il risultato più sorprendente, eclissando, anzi doppiando, quello del Presidente in carica Viktor Yushenko, che la licenziò dal suo posto di premier sette mesi dopo avercela collocata, nel 2005. Ma la partita - e i conteggi - sono ancora aperti. Yanukovich, l'altro Viktor di questa tenzone senza fine, canta vittoria anche lui. Se i comunisti e i centristi di Volodymyr Litvin superassero la soglia del 3% per entrare nella Rada - come pare - la coalizione Partito delle Regioni, Blocco di Centro e comunisti potrebbe ricostituire una maggioranza e costringere Yushenko a incaricare Yanukovic per il posto di capo del governo. E saremmo nuovamente sul filo del dramma.

Occorre ricordare che a queste elezioni anticipate si è arrivati sventando una scintilla di guerra civile, quando, la scorsa primavera, alcuni distaccamenti di polizia, sostenitori del Presidente, cominciarono una minacciosa marcia su Kiev per sciogliere con la forza un parlamento e un governo (guidato da Yanukovich) che non avevano alcuna intenzione di farsi sciogliere. Qualcuno li fermò, per fortuna dell'Ucraina tutta intera. E, se la scintilla non si trasformò in incendio fu anche perché Mosca e l'Europa suggerirono a Yanukovich di trovare un compromesso, accettare elezioni anticipate, e di tentare a sua volta una vittoria schiacciante.

Il risultato di domenica, molto simile a un pareggio, riporta però le cose allo stesso punto. Solo che l'Ucraina non ha né gli strumenti, né l'esperienza istituzionale di gestire una situazione di compromesso prolungato. Ogni altra soluzione, sia nettamente filo-occidentale, sia filo-orientale rischiano di portare a una rottura. La prima significa seccamente ingresso dell'Ucraina in Europa (in tempi lunghi comunque) e nella Nato (in tempi che Washington vuole rapidissimi). La scelta filo-russa sarebbe considerata inaccettabile da una metà abbondante del Paese, che ne ha abbastanza dell'esperienza sovietica e postsovietica, e che è già stata conquistata dal modello occidentale. Ma la scelta filo-occidentale vede una grande ostilità nelle regioni russofone dell'Est, che sanno che fine hanno fatto i russi nelle altre repubbliche ex sovietiche.

Dietro l'una e l'altra variante estrema stanno Russia e Usa. In Europa alcuni governi, in primo luogo Berlino, comprendono che la partita ucraina non è di quelle che Putin è disposto a perdere. E, anche con un altro presidente al Cremlino, le cose non cambierebbero. Fatti tutti i conti, in primo luogo quello energetico, Bruxelles ha smesso di schiacciare l'acceleratore della «liberazione dell'Ucraina», favorendo discretamente il compromesso.

Ma non tutta l'Europa la pensa come Berlino. E Washington, soprattutto, è di altro avviso. Forse l'unica che se ne rende conto è proprio la «pasionaria» arancione Yulia. Oltranzista del mercato, si è improvvisamente riconvertita alla rinazionalizzazione delle imprese comprate dagli oligarchi per quattro dollari, conquistando largo consenso, visto non solo che gli oligarchi non sono popolari, ma che anche Yanukovich è un oligarca. Poi le privatizzerà di nuovo, ovviamente. E, per quanto concerne il conto energetico in rosso, ha fatto la mossa più saggia per una persona che vuole il potere in Ucraina: ha detto che il primo viaggio da premier lo farà a Mosca.