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Mon frère est fils unique. Intervista ad Antonio Pennacchi*

di Anne-Sophie Demonchi - 04/10/2007

 
  
 

Ho incontrato, dal suo editore Dominique Gaultier (Le Dilettante), lo scrittore italiano Antonio Pennacchi, che ha appena pubblicato Mon frère est fils unique. Ha accettato di rispondere a qualche domanda per il mio blog La Lettrine, e per questo lo ringrazio. Al suo fianco c'è Lucia Di Bisceglie, la direttrice editoriale.

ASD) Buongiorno, Antonio Pennacchì. Lei ha appena pubblicato un libro presso la casa editrice Le dilettante, Mon frère est fils unique; vuole parlarci dei suoi prossimi progetti letterari?

AP) Sto scrivendo due romanzi. Uno è un romanzo storico, la storia di una famiglia in Italia emigrata dall’Italia settentrionale all’Italia centrale durante gli anni trenta in una zona paludosa; una famiglia di contadini, povera, che lotta da cento anni contro la fame. Si tratta di un romanzo del lavoro, del dolore, del sangue; ma anche della gioia, della guerra, del la morte, dei bambini.
Questo in un secolo in cui siamo passati dalla povertà e dall’emigrazione alla ricchezza della società dei consumi; nel nostro paese che, da paese che è stato di emigranti, è diventato paese di immigrati. Noi che siamo andati in altri paesi e siamo stati trattati come cani, oggi trattiamo noi come cani chi viene nel nostro paese. Dentro c’è il fascismo, il comunismo e la morte delle ideologie.
L’altro libro che sto scrivendo è un nuovo esperimento per me. È un progetto di scrittura collettiva, con l’Anonima scrittori (www.anonimascrittori.it): un laboratorio di scrittura collettiva per un romanzo che s’intitola “Cronache da un pianeta abbandonato”. Parla di una piccola colonia sul pianeta più lontano dell’ultima stella della galassia, che è rimasto isolato dal resto della federazione galattica. Lì c’è un piccolo villaggio, una piccola comunità che resiste e vive. La pianta di questo pianeta, di questa comunità, è la stessa del mio paese, del mio villaggio. Visto che in Italia tutti mi dicono spesso “Tu sai scrivere solo di Latina”, allora noi adesso gli facciamo vedere che sappiamo scrivere non solo di Latina, ma sappiamo scrivere anche della galassia tra tremila anni – ma nella galassia tra tremila anni ci sarà sempre Latina.
Perché non è vero che per fare l’arte e scrivere bene bisogna inventare o lavorare di fantasia, scrivere cose che non si conoscono. C’è un solo modo per fare l’arte, ed è fare il vero; parlare solamente di cose che si conoscono, mai scrivere quello che nun se sa. Ci sono già troppi... come se dice stronzi?

LDB) Connards...

AP) Ci sono troppi stronzi in questo mondo che parlano di quello che non conoscono, soprattutto nella politica: i politici, gli intellettuali laureati e accademici. Parlate solamente di quello che sapete.

ASD) E conoscendo un po’ la vostra città possiamo scrivere...

AP) Eh, aspe’, aspetta, John Steinbeck se capisce che è Steinbeck?

ASD) Certamente, John Steinbeck...

AS) Steinbeck è un grande uomo della letteratura mondiale e universale, ma l’universo di Steinbeck da La valle dell’eden a Uomini e topi, va da Salinas a Monterey, è di quaranta chilometri. La divina commedia di Dante Alighieri, il più grande capolavoro universale, è tutta a Firenze. Lui parla della roba sua a Firenze, lui parla solo di Firenze.
Perché per fare arte bisogna parlare solo delle cose che si conoscono?
Perché l’uomo è sempre lo stesso, in qualunque luogo e in qualunque epoca. L’uomo dall’antica Roma al futuro più lontano nella galassia, l’uomo è sempre lo stesso uomo, che ama soffre s’incazza lotta e combatte sempre nello stesso modo. Gli uomini sono tutti uguali.

[*Traduzione dal francese di Veronica, Viola e Zanoni]