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La ragione sacrificata al vantaggio politico

di Caelum Moffatt - 04/10/2007

 


 


L'attuale situazione dei rapporti tra Israele e Palestina ricorda un serial TV che, per quanto annacquato e allungato, continua a tenere la gente inchiodata ad ogni puntata. Le ultime puntate della saga erano finite con gli eventi di Gaza a Giugno, lasciando il pubblico sulle spine. Comunque, in una fiction di successo si è costretti ad aspettare le prossime puntate, sapendo che i primi episodi saranno una ripetizione di cose già note in attesa che le vere novità si materializzino. Lo stesso accade con la saga Israele/Palestina. Ognuno è ansioso che si arrivi al sodo, dopo diversi episodi pieni di allusioni, accenni e promesse. La conferenza di pace di Novembre è attesa come il punto di svolta della serie.

Il clima generale è più serio e complicato di una semplice sceneggiatura. Vi è una battaglia combattuta a colpi di retorica ta il governo della West Bank sostenuto dall'OLP, e quello di Gaza, che ancora si crogiola sugli allori della vittaria sulle forze di Fatah a Giugno. Il deposto Primo Ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, ha chiesto ad Abu Mazen (Abbas) di incontrarsi con lui senza precondizioni per discutere di questa "discordia tra fratelli", ma come risultato della brutale azione di forza di Hamas Abu Mazen rifiuta il dialogo con loro, finché non si sarà tornati all'equilibrio di potere che c'era prima di Giugno. La linea di frattura è considerevole. Abu Mazen riceve un'alluvione di aiuti e "gesti di buona volontà" nella speranza che consolidi la sua posizione nella West Bank, mentre Gaza è una prigione a cielo aperto, con i valichi di frontiera chiusi, e dove un milione e mezzo di Palestinesi dipendono completamente dagli aiuti.

Hamas è ben decisa a tenersi stretta la sua unica risorsa, Gaza, mentre Israele lancia continue incursioni nell'area e minaccia di chiudere i rapporti con Abbas se accetta di parlare con Hamas. Il rompicapo non sembra destinato ad essere risolto presto.

E' una situazione assai enigmatica, perché benché politicamente lontani, i due partiti sottolineano l'importanza dell'unione tra West Bank e Gaza, per la nota morale della fiaba dello schiavo greco Esopo, nel sesto secolo A.C.,  secondo cui "Uniti stiamo in piedi, divisi cadiamo".

Ma Abu Mazen non ha motivo di parlare con Hamas. Se l'attuale paralisi politica e economica di Hamas continua, allora il gruppo di resistenza islamica inevitabilmente collasserà. Hamas è magari capace di far fronte alle difficoltà politiche, ma non può resistere alle difficoltà economiche.

Politicamente Abu Mazen ha recentemente fatto passare una riforma elettorale che abolisce i colleggi (dove Hamas ha dominato l'ultima tornata) a favore di una colleggio unico nazionale. I candidati devono accettare ed aderire all'OLP, alla Dichiarazione di Indipendenza Palestinese (DIP), e alla Legge Fondamentale. Il problema che sorge con Hamas a proposito di questa legge è che le condizioni sono del tutto antitetiche ai suoi dogmi politici. Hamas non è rappresentata all'interno dell'OLP e mentre accetta la Legge Fondamentale palestinese, rifiuta la premessa che considera la DIP come parte integrante del sistema palestinese, stabilendo la soluzione a due stati, l'accettazione delle risoluzioni ONU e l'adozione dei principi laici.

Inoltre, le azioni di Hamas, presentate altrove con notevoli ritocchi, ritraggono un'organizzazione piena di "malvage" associazioni a comportamenti conniventi, brutalità, disonestà, e totale irrazionalità politica. La loro sanguinosa conquista di Gaza, i lanci di razzi Qassam che colpiscono Israele a Sderot, Zikkim e ai valichi di frontiera; le voci sulla sua affiliazione all'Iran e persino ad al-Qaeda; il rifiuto di rilasciare Gilad Shalit; l'intenzione di implementare la Shariah; il contrabbando di armi; il dirottamento delle forniture di combustibile; le percosse a giornalisti e membri di Fatah che facevano pacifiche dimostrazioni, sono tutti fattori che operano contro l'immagine di Hamas.

A provare l'effetto negativo di tutto ciò su Hamas e la disintegrazione della sua popolarità c'è un recente sondaggio del Palestinian Center for Policy and Survey Research agli inizi di Settembre. Secondo il sondaggio il 73% dei Palestinesi sono contrari alla conquista di Gaza da parte di Hamas; più della metà credono che Hamas dovrebbe abbandonare le cariche; il 46% riconosce ad Abu Mazen i requisiti necessari per un dialogo con Hamas; il 58% sostiene la nuova legge elettorale e, significativamente, da Marzo la popolarità di Hamas è scesa dal 37% al 31%.

Anche se Hamas potesse contrastare questa terribile reputazione politica, vi è un'incombente crisi economica che può precipitare in un ulteriore disastro. Il fatto che Gaza dipende quasi interamente dagli aiuti, con Israele che è il principale fornitore di elettricità e acqua potabile, e che tutti i valichi di frontiera siano controllati da Israele, pone Hamas in una posizione debole e votata alla catastrofe. In ogni momento Israele potrebbe tagliare le forniture a Gaza e attendere che il malcontento popolare conduca alla rivolta. E' un gioco rischioso, dato che questa cinica azione potrebbe rinsaldare la solidarietà ad Hamas e attrarre molta simpatia internazionale, ma è una opzione reale nelle mani di Israele.

Inoltre, il Primo Ministro Salam Fayyad potrebbe accettare il suggerimento dell'ex dirigente israeliano, Rani Loewenstein, e bloccare i conti delle organizzazioni di assistenza come al-Salah e la rete di beneficenza islamica su cui Hamas fa molto conto per il sostegno finanziario. D'altro canto, la maggiore banca israeliana, Hapoalim, ha dichiarato che sospenderà tutti gli accordi con Gaza.

La terza opzione riguardo Hamas e la sua resistenza è un'operazione militare su larga scala a Gaza, una mossa sostenuta dal ministro della difesa Ehud Barak. Ma una semplice analisi dei rischi porta a concludere che sarebbe controproducente. Hamas è un'entità per certi versi ancora sconosciuta ma, soprattutto, l'azione militare non è necessaria, e per essa non può essere addotta a giustificazione l'attacco degli inefficaci e rudimentali razzi Qassam. Israele fa continue incursioni in Gaza, ma a questo punto a che scopo rischiare una replica della guerra in Libano dell'anno scorso?

Da quanto detto finora si potrebbe pensare che Hamas è un nemico sotto controllo, prossimo ad essere reso politicamente impotente e rigettato nell'oscurità. Chi pensa questo non deve sottovalutare l'importanza del mese di Novembre per garantire l'equilibrio di potere in Medio Oriente. Novembre è stato diminuito d'importanza dagli USA che l'hanno retrocesso da "conferenza" a "incontro", ma le voci di importanti leader arabi devono essere ascoltate. Quale che sia l'etichetta è importante evitare contraccolpi in Palestina.

Tutti gli incontri tra Olmert e Abu Mazen negli ultimi mesi sono arrivati alla stessa conclusione. I Palestinesi vogliono discutere delle "questioni essenziali" relative a frontiere, Gerusalemme, insediamente e rifugiati, mentre Israele non vuole prendere decisioni su esse senza un "accordo di principio", cioè un progetto generale che faccia da contesto anche a queste questioni.

Insomma si è accumulato molto scetticismo sul valore e l'importanza di Novembre, al punto che il Ministro degli Esteri saudita Saud al-Faisal ha detto che la sua nazione, genitrice del mondo arabo, non vede ragioni per partecipare. Ma con la Siria che cerca di essere coinvolta, si può sperare di ottenere qualcosa di più, dato che la sua partecipazione offrirà ad Hamas una voce, e rappresenterà un'occasione per parlare anche delle Alture del Golan.

Il Segretario Generale della Lega Araba, Amro Moussa, il re Abdullah di Giordania, il presidente dell'Egitto Mubarak e, naturalmente, il presidente Abbas hanno tutti espresso la preoccupazione sul possbilie fallimento dell'incontro di Novembre. Anche il segretario di stato USA, Condoleeza Rice, di frequente in visita presso Olmert e Abu Mazen, e una forte sostenitrice dell sviluppo delle loro relazioni, ha dichiarato le sue preoccupazioni su quello che seguirà in Palestina se a Novembre ci sarà un fallimento.

Se Abu Mazen tornerà dagli USA senza un piano che chiarisca il percorso al conseguimento delle soluzioni alle "questioni centrali" ciò potrebbe portare ad una completa perdita di fiducia verso di lui. Per di più, se le richieste palestinesi non verranno neanche contemplate si arriverà alla frustrazione della gente, che penserà che questa relazione con Israele è inutile perché non porta benefici visibili dopo ben sei mesi di deliberazioni.

Uno degli ostacoli principali al progresso per i Palestinesi è la popolarità di Ehud Olmert. In Israele la sua reputazione è per lo più quella di un uomo che è stato "nominato", non "eletto". Olmert ha di recente superato voti di fiducia alla Knesseth, inviti alle dimissioni dal suo ministro degli esteri Tzipi Livni, ed è ancora criticato per come ha condotto la seconda guerra libanese in base alle valutazioni della Commissione Winograd. Ciò che impressiona maggiormente è che secondo un recente sondaggio, se si tenessero elezioni domani, Olmert riceverebbe solo l'8% dei consensi, piazzandosi molto alle spalle del ministro della difesa laburista Ehud Barak e di Benjamin Netanyahu, del Likud. Olmert non aveva potere negoziale quando ha promesso ad Abu Mazen che i blocchi stradali nella West Bank sarebbero stati ridotti di numero. Barak affermò che questa mossa non era pratica, che si trattava di un pericolo per Israele e non era in linea con i suoi interessi. L'idea della riduzione fu fatta cadere.

Comprensibilmente, dunque, solo il 26% dei Palestinesi credono che Novembre porterà positivi risultati. La priorità deve essere evitare il ripetersi di quanto accadde a Camp David nel 2000, quando il disaccordo tra le parti e l'azione limitata portarono allo scoppio della Seconda Intifada.

Un paio di settimane fa l'agenzia Ma'an News ha riferito che erano entrati in possesso di un documento in ebraico che elencava otto punti di discussione tra Abu mazen e Olmert. Mentre il documento affronta le potenziali soluzioni alle "questioni centrali", si deve dire che sia il portavoce israeliano Miri Eisin che il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat hanno negato che ci sia stata discussione sulle questioni centrali. Secondo vari rappresentanti, Abu Mazen e Olmert si sono concentrati sulla cornice con cui presentarsi alle altre parti a Novembre.

Per il bene dei Palestinesi e della popolarità di Abu mazen c'è da sperare che il documento degli otto punti esista davvero. Le conseguenze di un fallimento a Novembre sarebbero difficili da prevedere per Abu Mazen, e potrebbero essere disastrose. Va ricordato che nel 2006 Hamas si è assicurata il 44% dei voti in Palestina, e per quanto quella cifra possa essere scesa, gode ancora di un grande sostegno. Se si aggiunge un fallimento a Novembre nessuno sa come reagiranno i Palestinesi. Una delle ragioni dei cattivi risultati di Fatah nel 2006 fu che molti dei loro elettori erano stanchi di loro e votarono Hamas. Dopo una breve luna di miele, la scena potrebbe ripetersi.

Non solo Olmert ma anche Israele dovrebbe capire che le "questioni centrali" devono essere messe in agenda. Appena l'incontro di Novembre sarà concluso, i cambiamenti dovranno essere resi visibili e tangibili immediatamente, con un calendario per il futuro. Ad Abu mazen deve essere dato qualcosa per evitare il pandemonio in Palestina, che creerebbe ancora più ritardi nel processo di pace e più distruzione umanitaria.

Un successo a Novembre rappresentarebbe un'altro chiodo sulla bara di Hamas, e potrebbe persino costringerli a cedere Gaza, raggiungere un compromesso ed accettare la coesistenza con Fatah. Si spera solo che questo accada, che Fatah riesca nel suo intento. Dopotutto, se Israele vuole davvero la pace questa è la migliore occasione dopo Oslo. Se si perde questa opportunità, come accadde a Oslo, la lotta potrebbe protrarsi ancora per anni, il che porta alla domanda se dopotutto Israele voglia davvero la pace.



Originale da: MIFTAH

Articolo originale pubblicato il 29 settembre 2007

L’autore

Gianluca Bifolchi è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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