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Elezioni in Ucraìna: regna l'instabilità

di Daniele Scalea* - 04/10/2007



Nel momento in cui scriviamo, col 96,49% delle schede scrutinate, si prefigurano i seguenti risultati: primo partito il Partija Regioniv di Viktor Janukovič, col 34,14% dei voti, tallonato dal Blok Julii Timošenko col 30,83%; più staccati, ma comunque abbastanza votati da entrare in parlamento, sono il Blok Naša Ukraina – Narodna Samooborona (Viktor Juščenko) col 14,31%, il Komunistična Partija Ukraini (Petro Simonenko) col 5,36% ed il Blok Litvina (Volodimir Litvin) col 3,97%. I maggiori partiti a non superare (per ora) la soglia di sbarramento del 3 % sarebbero: Socialistična Partija Ukraini (Oleksandr Moroz) col 2,92% e Progresivna Socialistična Partija Ukraini (Natalia Vitrenko) col 1,28%. Dacché i voti mancanti s'attendono soprattutto dal Sud e dall'Est del paese, si può pensare che saranno ritoccati al rialzo i risultati del Partito delle Regioni, del Partito Comunista e del Partito Socialista Progressista, al ribasso quelli del Blocco Timošenko e di Nostra Ucraìna. Tuttavia, l'unica formazione di cui gli ultimi scrutini potrebbero mutare sensibilmente la sorte è il Partito Socialista, cui manca soltanto uno 0,07% per accedere al parlamento (la Rada). Moroz e compagni dovranno incrociare le dita, perché alle ultime elezioni, quelle del 2006, la maggioranza dei consensi giunsero dal Centro (dove in alcuni distretti superò il 20%), e dunque il rischio di non recuperare quel piccolo margine di svantaggio è assai alto. Malgrado ciò, pare che il baricentro elettorale del Partito Socialista stia muovendosi verso sud-est: infatti, nella regione di Donec'k supera l'8% ed in quella di Odessa sfiora il 7,5%. Il Partito Socialista Progressista ha la sua roccaforte in Crimea e nel profondo Oriente, ma ormai il gap sembra incolmabile. Analogamente, ma in senso inverso, il Blocco Litvin dovrebbe mantenere quel margine di 0,97% che al momento gli permetterebbe d'entrare in parlamento.
Partendo da questi dati quasi definitivi, e raffrontandoli con quelli delle elezioni legislative dello scorso anno, si possono fare le prime considerazioni. Il Partito delle Regioni prosegue il suo balzo in avanti, che l'ha portato dall'11,8% del marzo 2002 (risultato, oltretutto, ottenuto assieme ad una più vasta coalizione, Za Edinu Ukrainu) al 34-35% odierno. Tuttavia, a tradirlo sono stati gli alleati. Non certo il Partito Comunista che, dopo aver patito negli anni passati proprio la concorrenza della formazione di Janukovič (il quale, spostandosi verso “sinistra”, ha fatto breccia nell'elettorato tradizionale di Simonenko), pare essersi finalmente ripreso, probabilmente attingendo a sua volta ai voti d'un altro partito, ossia quello socialista-progressista della Vitrenko (nel 2006, il PCU aveva preso il 3,66% ed il PSPU il 2,93%; oggi il PCU è al 5,36% ed il PSPU all'1,28%). Il grande sconfitto di questa tornata elettorale è invece Oleksandr Moroz col suo Partito Socialista. Fin dai primi anni '90, con posizioni comunisteggianti, Moroz fu una delle maggiori personalità d'opposizione al nuovo regime dell'Ucraìna indipendente. Sul finire del decennio, cavalcando l'onda della crisi economica, il comunista Petro Simonenko riuscì a scalzare Moroz dal ruolo di “contestatore principe del Sistema”; ciò ha spinto il Partito Socialista ad assumere posizioni sempre più socialdemocratiche (nell'accezione europea e moderna del termine), che sono alla base della scissione radicalista guidata da Natalia Vitrenko. In quanto acerrimo avversario dell'allora presidente Leonid Kučma, all'inizio del XXI secolo Moroz non ha esitato ad unire le forze con Viktor Juščenko e Julia Timošenko (due personaggi fortemente compromessi col regime, ma che stavano “riciclandosi” - col sostegno degli USA – quali “volti nuovi” della politica ucraìna ...potere della televisione!), partecipando, seppur da comprimario, a quell'evento passato alla storia come “rivoluzione arancione”. La partecipazione al governo di Julia Timošenko (e poi anche a quello di Jurij Echanurov) non è stata infruttuosa per Moroz: egli, infatti, è riuscito ad imporre agli alleati la riforma costituzionale che ha fatto dell'Ucraìna una repubblica parlamentare, da presidenziale qual era. Riforma che, negli ultimi mesi, ha creato non pochi problemi al presidente Juščenko, che si è visto così costretto ad una coabitazione forzata con un potente primo ministro come Viktor Janukovič. In tale situazione, Juščenko e l'amica-nemica Timošenko, mostrando ben poco rispetto per quella volontà popolare espressasi nelle consultazioni del gennaio 2006, hanno attuato una feroce campagna ostruzionistica, usando tutti i mezzi a loro disposizione (tra cui la minaccia di golpe), fino a costringere il Governo ad accettare elezioni anticipate – quelle appena svoltesi, per l'appunto. Il Partito Socialista, nel frattempo, aveva abbandonato i vecchi alleati per unirsi alla “coalizione anti-crisi” (regionalisti, comunisti e socialisti) che ha riportato al governo Janukovič ed ha fruttato a Moroz la presidenza della Rada. L'improvviso cambio di casacca, però, non ha fatto altro che accelerare la crisi del Partito Socialista, che ormai da anni soffre d'una inesorabile emorragia di sostegni, evidenziata dai risultati elettorali: dall'8,6% dei voti ottenuti nel 1998, si è oggi giunti (probabilmente) al di sotto del 3% e, dunque, fuori dal parlamento (cosa mai successa prima). Una debâcle certo riconducibile al cambio di campo, dato che, ancora meno di due anni fa, il partito di Moroz era votato dal 5,69% degli aventi diritto.
A Janukovič vengono così a mancare i 33 seggi che il Partito Socialista deteneva nell'ultima breve legislatura, e che erano stati determinanti per ricondurlo al governo. La perdita è solo in piccola parte rimaneggiata dall'avanzamento del Partito Comunista il quale, infatti, dovrebbe incrementare il suo bottino di soli 6 seggi (da 21 a 27). A fare il resto è una nuova legge elettorale a dir poco criptica, che fonda la ripartizione dei seggi sul “metodo Hamilton”: il risultato è che il Partito delle Regioni, pur guadagnando un paio di punti percentuali, dovrebbe perdere 11 seggi.
Al regresso – più nei seggi che nei voti - del composito “centro-sinistra” (regionalisti, comunisti, socialisti e socialisti-progressisti) fa da contraltare l'avanzamento delle “destre” nazionaliste e filo-statunitensi. Se Nostra Ucraìna, il blocco di Juščenko, sembra aver arrestato la tendenza negativa (dal 23,57% del 2002 al 13,95% del 2006), guadagnando un mezzo punticino che lo tiene a galla dignitosamente con oltre il 14% (tuttavia, anche per esso vale lo stesso discorso del Partito delle Regioni poiché, pur aumentando la percentuale, calano i seggi conquistati:da 81 a – probabilmente – 72), il Blocco Timošenko è protagonista d'un clamoroso balzo in avanti, dal 22,29% di venti mesi fa all'odierno 30% e passa (con quasi 30 seggi guadagnati: da 129 a 156).
Julia Timošenko, economista d'origine ebraica per parte di padre (che l'ha abbandonata all'età di tre anni, motivo per cui non utilizza mai il cognome da nubile: Grigian), è stata molto abile a gestire la sua immagine. Ha fatto dimenticare alla popolazione ucraìna il suo dubbio passato d'oligarca: arricchitasi nell'epoca delle privatizzazioni selvagge (è stata indagata per evasione fiscale, fino a pochi anni fa pendeva su di lei un mandato d'arresto internazionale emanato dalla giustizia russa, ed ha anche passato qualche settimana in gattabuia), è sposata con un miliardario di dubbia virtù (per lui due anni di latitanza per sfuggire al carcere, prima che l'accusa fosse ritirata subito dopo l'avvento al potere della moglie) ed è stata socia d'affari dell'ex primo ministro Pavlo Lazarenko (condannato negli USA per frode, corruzione e riciclaggio di denaro sporco). È stata altrettanto abile nel dissimulare i disastri del suo brevissimo periodo di governo, in cui è quasi riuscita ad azzerare il ritmo di crescita economica faticosamente avviato dal suo predecessore Viktor Janukovič. Proprio il licenziamento, da parte del presidente Juščenko, l'8 settembre 2005, le ha permesso d'atteggiarsi a reale incarnazione dello spirito tradito della “rivoluzione arancione”, guadagnandosi molti consensi tra quella parte di popolazione che (comprensibilmente, vista la corruzione ed incapacità della classe dirigente ucraìna) spera in un cambiamento, ma è rimasta delusa dall'atteggiamento di Nostra Ucraina una volta preso il potere. Inoltre la Timošenko, oltre a poter contare sul suo ingente patrimonio familiare, ha pure diversi sostenitori tra gli oligarchi che ruotano attorno a Dnipropetrov'sk, sua città natale (è conterranea dell'ex presidente Kučma). Infine, la campagna elettorale è stata condotta davvero “all'occidentale”, con gran dispendio di denaro, molti slogans e pochissimi contenuti. Essendo Maidan (la piazza centrale di Kiev) già occupata dalle austere tende militari del Partito delle Regioni, il gruppo della Timošenko ha impiantato le sue, più moderne, eleganti e colorate, in Piazza Michajlovskaja, mentre i militanti distribuiscono migliaia di spille, magliette, cappellini, figurine ed altre chincaglie recanti tutte il motto adottato per quest'elezione: “LjublJU Ukrainu”, “amo l'Ucraìna”, col suffisso del verbo opportunamente evidenziato per richiamare il nome del capo. L'utilizzo degli spin-doctors statunitensi è stato trasversale, ma è proprio col Blocco Timošenko che si sono raggiunti i risultati più evidenti: tanta forma e nessun contenuto. La cosa curiosa da notare, riguardo il balzo in avanti della Timošenko, è ch'esso non era stato affatto previsto dai sondaggi. La “FOM-Ukraina” è il più autorevole degl'istituti demoscopici del paese, e soprattutto quello meno compromesso con le ONG finanziate dai paesi della NATO (USA, Inghilterra e Germania su tutti). A metà agosto essa ha realizzato un rilevamento sulle intenzioni di voto, con errore stimato in massimo il 2,1%. Osservandolo, ci accorgiamo che la “FOM-Ukraina” ha più o meno anticipato i risultati conseguiti un mese dopo da tutti i partiti, anzi sottostimando proprio quelli cosiddetti “filo-russi”. Solo su uno ha sbagliato grossolanamente: proprio sul Blocco Timošenko, che il sondaggio prevedeva al 18,3% e che ha invece sforato quota 30! Il presidente Juščenko ha già denunciato senza prove presunti brogli nei seggi del Sud e dell'Est, ma fatto sta che l'exploit della sua alleata, non previsto da alcun istituto demoscopico, potrebbe suonare sospetto a qualcuno.
Comunque siano andate le cose, sarà con questi risultati che bisognerà fare i conti. Il Partito delle Regioni, pur alleato coi comunisti, dovrebbe totalizzare intorno ai 202 seggi, contro i 240 (cresciuti poi per alcune defezioni degli avversari) detenuti dalla “coalizione anti-crisi” nella precedente legislatura. I due blocchi di Juščenko e della Timošenko, che nella legislatura precedente avevano assieme 210 rappresentanti, ora dovrebbero averne 228. Posto che i socialisti di Moroz non riescano a superare la soglia di sbarramento (cosa che sembra oramai scontata), la distanza tra le due coalizioni sarà di 26 seggi. Ciò significa che pure i 20 di cui dovrebbe disporre il neo-entrato Volodimir Litvin (già braccio destro di Kučma) non potranno fungere da ago della bilancia. L'unica variabile che potrebbe scompaginare le carte in tavolta sarebbe una defezione dalla coalizione “arancione”, ma questa è assai improbabile, almeno nell'immediato.
Lo scenario più probabile, a questo punto, è che Juščenko incarichi Julia Timošenko di formare un nuovo governo. La fine della coabitazione forzata non risolverà comunque i problemi d'instabilità politica dell'Ucraìna. Innanzi tutto, il margine di vantaggio del nuovo governo in seno alla Rada sarebbe piuttosto risicato, soprattutto se Litvin dovesse rimanere neutrale o addirittura allearsi con Janukovič. In secondo luogo, il Partito delle Regioni, in quanto prima formazione del paese, avrà un valido pulpito da cui contestare il governo. Infine, già una volta la coabitazione tra il Presidente e la “principessa del gas” ha avuto un triste epilogo. Tutto lascia presagire che il nuovo governo “arancione” non avrà più fortuna del precedente. L'alternativa è una grande coalizione, ma essa è poco praticabile, poiché difficilmente la Timošenko accetterebbe un'alleanza con Janukovič. L'Ucraìna è destinata a non uscire dal periodo di lacerazioni interne e scontri ai vertici istituzionali, fomentati e/o sfruttati dalle grandi potenze mondiali e dai potentati economici interni.