Il tribunale di Comte
di Francesco Agnoli - 04/10/2007
L
a Francia dell’Ottocento è un paesepermeato dall’ideologia positivista. Qui
però, paradossalmente, si era celebrato
uno dei più assurdi processi della storia.
Un processo brevissimo, ben diverso da
quello, assai più celebre, a Galilei: il fondatore
della chimica moderna, Lavoisier, viene
inquisito e ghigliottinato lo stesso giorno,
dopo che i rivoluzionari francesi, gli
adoratori della Dea ragione, sono giunti a
sciogliere l’Accademia delle Scienze, l’8
agosto del 1793. La Repubblica, dirà il giudice,
non ha bisogno di scienziati. Un grande
matematico, Lagrange, scriverà invece:
“E’ bastato un momento per far cadere una
testa e non ne basteranno cento per averne
una simile”. Lavoisier era un cattolico, uno
“spirito metafisico”, come ebbe ad accusarlo
August Comte parecchi anni più tardi.
Ebbene, proprio nella Francia post rivoluzionaria,
laicista e anticlericale, si afferma
un’ideologia basata sull’assoluta fiducia
nelle potenzialità della scienza umana e
sulla rinuncia pregiudiziale alla conoscenza
della Verità e del senso della vita dell’uomo.
Il positivismo è una religione con i
suoi dogmi e i suoi riti, fondata su un ottimismo
sfrenato, ma anche su una diminuzione,
pessimistica, a priori, dell’uomo: non
è possibile, per lui, conoscere compiutamente
il suo destino, la sua essenza, per cui
tanto vale dimenticarsene, rinunciare persino
alla ricerca. Si viva, ma mettendo tra
parentesi il perché.
Il maestro di questa cultura è il filosofo
August Comte, nato a Montpellier nel 1798
e morto, dopo vari episodi di pazzia, nel
1857 (si notino, en passant, la pazzia di
Comte, la follia di Nietzsche, e la morte per
suicidio del più grande positivista italiano,
Roberto Ardigò: vorranno pur dire qualcosa?).
Nel suo “Sistema di politica positiva”
Comte mette al centro l’Umanità, cioè tutti
singoli uomini, compresi quelli morti e
quelli non ancora nati. L’Umanità è un unico
organismo, che gode di una sua immortalità,
nell’insieme: esattamente come nel
pensiero dei vari materialisti del secolo, e
di molti positivisti moderni, come Umberto
Veronesi, che vedono nel Dna che si riproduce
e che si passa di padre in figlio
l’unica traccia di immortalità nella vita
dell’uomo. In questa dimensione il singolo
viene annullato, e la sua storia, la sua ricerca,
il suo fine, ricondotti a una ricerca e
un fine generali. Questa Umanità marcia
verso un futuro radioso, e vive il presente
con una fede incrollabile. “Comte sostiene
che la religione dell’Umanità deve essere
l’esatta copia del sistema ecclesiastico. I
dogmi della nuova fede sono già pronti: essi
sono la filosofia positiva e le leggi scientifiche.
I riti, i sacramenti il calendario, il
sacerdozio sono necessari alla diffusione
dei nuovi dogmi. Ci sarà un battesimo secolare,
una cresima secolare e una estrema
unzione secolare”. I santi, gli uomini che
hanno cercato e trovato Dio, e il prossimo,
vengono sostituiti con gli scienziati e gli inventori.
Il progresso ammesso è uno solo:
mai quello del singolo, dell’anima che lotta
per la virtù, ma solo quello dell’Umanità,
nel suo insieme, nel tempo.
La macchina uomo di Zola
Nella Francia di Comte rifulge ben presto
anche la stella del grande romanziere
Emile Zola, nato a Parigi nel 1840 e morto
nella stessa città nel 1902. Zola è un perfetto
positivista che crede che tutto, anche
l’uomo, sia studiabile scientificamente, sino
in fondo, in tutte le sue manifestazioni.
Nel suo “Il romanzo sperimentale” scrive:
“Quando avremo provato che il corpo dell’uomo
è una macchina di cui un giorno si
potranno smontare e rimontare gli ingranaggi
a piacimento dello sperimentatore,
si dovrà ben presto passare alle manifestazioni
passionali e intellettuali dell’uomo…
si può annunciare senza timore di ingannarsi
il momento in cui a loro volta saranno
formulate le leggi del pensiero e delle
passioni. Un identico determinismo deve
regolare il ciottolo della strada e il cervello
dell’uomo… un giorno la fisiologia ci
spiegherà il meccanismo del pensiero e
delle passioni; sapremo come funziona la
macchina individuale dell’uomo, come
pensa, come ama…”. Alla scuola di Zola,
che riduce l’uomo a meccanismo determinato
da fattori materiali, e quindi privo di
qualsiasi libertà, si rifanno molti altri scrittori,
come pure, in principio, il grande Joris-
Karl Huysmans, che però col tempo si
rende conto di quanto il naturalismo non
comprenda la complessità dell’uomo reale.
Nella sua introduzione a “Controcorrente”,
Huysmans, che ha sperimentato
molto bene in sé l’inquietudine, la ricerca,
la depravazione e gli slanci di cui è capace
un’anima, ripudia Zola, con queste motivazioni:
“I suoi eroi erano privi d’anima, governati
semplicemente da impulsi e istinti,
cosa che semplificava il lavoro d’analisi”.
Descrivendo quella che credevamo essere
la natura dell’uomo, continua, noi naturalisti
non penetravamo per nulla nel
suo “mistero”: “Poiché la virtù, bisogna
pur ammetterlo, è in questo mondo un’eccezione,
veniva scartata dal progetto naturalista.
Non possedendo il concetto cattolico
della caduta e della tentazione, ignoravamo
da quali sforzi, da quali sofferenze è
sorta; l’eroismo dell’anima vittoriosa sulle
insidie ci sfuggiva. Non ci sarebbe mai venuto
in mente di descrivere questa lotta,
con i suoi alti e bassi….”.
In questa stessa Francia, in cui un altro
filosofo positivista, Ernst Renan, si diverte
a mettere in ridicolo il Vangelo, negando
la possibilità stessa dei miracoli, in nome
del sapere scientifico, tre scienziati veri,
Louis Pasteur, Alexis Carrel e Lecomte
de Nouy, dichiarano apertamente la loro
fede in Cristo e la sua conciliabilità col sapere
scientifico.
(1. continua)