L'uomo di Neanderthal è tuttora fra noi?
di Roberto Fondi* - 05/10/2007
Fonte: edicolaweb.net
L'uomo preistorico: tutto porta a concludere che un'altra specie umana viva ancora. Sulle orme dell'"Uomo Selvatico" dalla preistoria ad oggi.
Riteniamo con altri che l’Homo neanderthalensis fosse una specie ben distinta dalla nostra e non una sottospecie di Homo sapiens, come generalmente si è finora ammesso. Ma vi è di più. Numerosi e concordanti elementi di natura antropologica, paletnologica e storica autorizzano a ritenere che quest’altra specie umana abbia continuato a sussiste re fino ai nostri giorni.
Questi elementi sono stati portati soprattutto dallo zoologo belga Bernard Heuvelmans, direttore del Centre de Cryptozoologie a Le Vesinet nei dintorni di Parigi, dapprima in una "nota preliminare" di 24 pagine (Heuvelmans, 1969) e successivamente, nel 1974, in un volume di oltre 500 pagine includente un saggio dello storico russo Boris Porchnev ed intitolato "L’homme de néanderthal est toujours vivant" (Librairie Plon, Paris).
Poiché conosciamo le altre opere principali di Heuvelmans (1955, 1958, 1965, 1980) e ne apprezziamo l’onestà, la serietà e l’accuratezza scientifica, non troviamo alcun motivo per dubitare della sostanziale esattezza di quanto è riferito nel volume ora indicato. Esso narra ed in parte ricostruisce una vicenda che, purtroppo, nell’interesse della scienza avrebbe dovuto concludersi in ben altro modo, ma che non per questo può essere sottovalutata o, peggio ancora, sepolta sotto un muro di silenzio per essere definitivamente cancellata dalla memoria collettiva del mondo accademico.
È stato detto che le fotografie, i disegni, le misure e gli scritti di Franz Weidenreich illustranti i resti fossili dell’Homo erectus di Pechino rimangono pietre miliari della ricerca paleoantropologica, e ciò nonostante che i resti medesimi siano andati perduti al termine della seconda guerra mondiale. Ebbene, se e così, deve valere lo stesso metro di giudizio anche per le fotografie, i disegni, le misure e gli scritti di Heuvelmans illustranti l'"uomo conservato nel ghiaccio", nonostante che questo esemplare non sia più reperibile.
Poiché la suddetta vicenda (Heuvelmans, 1974, 1993) è circolata in versioni generalmente superficiali ed inesatte, reputiamo necessario riassumerla.
Durante la seconda metà degli anni ‘60, un soldato statunitense abbatté nelle giungle del Vietnam centrale uno strano essere umano dal corpo rivestito di lunghi peli bruno-nerastri. Il cadavere fu acquistato da un militare di carriera dell’U.S.A.F. in procinto di andare in pensione, il capitano Frank D. Hansen, quindi chiuso in un sacco di plastica contenente sostanze antidecomposizione e, dalla base di Da Nang, fatto trasferire illegalmente negli Stati Uniti all’interno di una delle bare speciali "not to be opened" destinate a rimpatriare i resti di soldati morti in combattimento.
Tramite la medesima procedura - organizzata dai principali capi militari alleati degli U.S.A. con la tacita connivenza del Dipartimento di Stato e della C.I.A. - venivano trasportate ogni anno in America dal famoso Triangolo d’Oro enormi quantità di eroina.
Nel maggio 1967 Hansen, d’accordo con le persone che lo avevano aiutato ad introdurre il cadavere in America o ne avevano finanziato i progetti rivolti a trarne profitto economico, fece inglobare in ghiaccio il cadavere dell’uomo peloso e, dopo averlo installato in una roulotte, cominciò ad esibirlo a pagamento nel circuito delle fiere commerciali del Minnesota. Ovviamente, egli non soltanto si guardò bene dal rivelare mai l’origine effettiva del cadavere (diffondendo anzi a tale riguardo le versioni più evasive, fantastiche e contraddittorie) ma, per meglio garantirsi contro ogni possibile indiscrezione, fece anche costruirne a Pete e Betty Corral, due artigiani dell’industria hollywoodiana, un’imitazione approssimativa in caucciù rivestito di peli d’orso.
Al fine di assicurare alla sua esibizione il massimo del successo, Hansen aspirava ardentemente a presentarla come quella del primo autentico esemplare del famoso "uomo delle nevi" himalayano, o meglio ancora (per non rischiare di tirare troppo in ballo l’Asia ed il Vietnam) del primo autentico esemplare del famoso Bigfoot, lo strano essere peloso che molti asserivano di aver visto nei boschi delle Montagne Rocciose nordamericane; temeva però che qualche specialista in materia potesse accorgersi della differenza fra i due tipi di ominidi.
Per mettersi l’animo tranquillo, dunque, nel dicembre 1968 Hansen si ingegnò di attirare l’attenzione dello studioso allora più competente in materia di "abominevole uomo delle nevi" che fosse reperibile negli Stati Uniti. Questi era lo zoologo Ivan T. Sanderson, che appunto pochi anni prima aveva pubblicato un solido volume su tale argo mento (Sanderson, 1961). Per una singolare coincidenza, proprio in quei giorni Sanderson aveva come ospite nella sua casa del New-Jersey il collega ed amico Heuvelmans, venuto a visitarlo prima di partire per un viaggio nelle foreste del Guatemala. Lo zoologo nordamericano ricevette una telefonata da un sedicente commerciante di animali che lo metteva al corrente di ciò che pochi giorni prima aveva osservato nella roulotte di Hansen; e fu così che entrambi gli zoologi, incuriositi della faccenda, decisero di recarsi nel Minnesota previo accordo telefonico con l’ex-pilota militare. Nella roulotte di Hansen, essi ebbero modo di esaminare e fotografare con cura, per ben tre giorni di seguito, lo straordinario reperto imprigionato nel ghiaccio. L’essere aveva le medesime caratteristiche craniali e corporee dell’"Homo neanderthalensis" nel senso da noi inteso; in più, si caratterizzava per alcune peculiarità che nessun rinvenimento paleontologico di tipo ordinario sarebbe in grado di provare: le "orecchie appuntite, uno strano naso schiacciato all’indietro e dalle narici aperte sul davanti, i testicoli ridotti ed un pene singolarmente gracile ed affilato che sembrava appartenere al tipo rectus, ossia disposto orizzontalmente allo stato di riposo".
Rientrato nel New-Jersey, Sanderson allertò l’F.B.I. e lo esortò a cercare di requisire al più presto il prezioso cadavere, che in qualche suo punto già mostrava pericolosi segni di decomposizione, e pubblicò sull’intera questione un articolo a carattere popolare in una rivista della quale era regolare collaboratore. Quanto a Heuvelmans, si sforzò di informare il mondo scientifico mostrando le foto dell’ominide villoso alle più alte autorità in fatto di primatologia ed antropologia allora presenti negli U.S.A.: Carleton Coon (Università di Harvard), William C. Osman Hill (Università Emory ad Atlanta) e John Napier (Smithsonian Institution di Washington). Sostenuto ed incoraggiato dalle loro critiche e consigli, lo zoologo belga stese ed inviò al "Bulletin de l’Institut royal des Sciences naturelles de Belgique" una "nota preliminare" (Heuvelmans, 1969) nella quale l’esemplare - provvisoriamente denominato "Homo pongoides" - era descritto come tipo di una forma di ominide attuale fino ad allora sconosciuta (uno studio successivo più approfondito avrebbe dovuto stabilire se si trattava veramente di una specie o di una sottospecie nuova); dopodiché parti per l’America Centrale.
La celere pubblicazione della "nota preliminare", verificatasi nel febbraio 1989, allarmò Hansen e la rete di natura mafiosa alla quale egli era legato. Il cadavere venne perciò ritirato dalla circolazione, scongelato, lievemente modificato di posizione (gli fu aperta la bocca e, per renderne meno umano l’aspetto, gli vennero divaricati gli alluci), ricongelato con più attenzione e presentato deliberatamente come un falso.
Al medesimo tempo, gli artigiani hollywoodiani che avevano avuto in commissione e preparato l’imitazione artificiale dell’ominide villoso, furono sollecitati a confermare la "rivelazione" del falso. E la manovra riuscì perfettamente.
Varie organizzazioni, sia scientifiche (soprattutto la Smithsonian) che amministrative (come l’FB.I.), ben felici di non dover più occuparsi di un qualcosa che rimetteva in discussione troppe idee date per acquisite e per il quale si correva il rischio di cadere nel ridicolo, accettarono immediatamente la tesi della frode e considerarono chiusa la faccenda.
Nel luglio 1969, allorché Hansen con la sua roulotte attraversò per imprudenza la frontiera tra U.S.A. e Canada, i servizi della dogana ebbero un’occasione unica per controllare in maniera definitiva l’autenticità o meno dell’esemplare sotto ghiaccio; ma un intervento dall’alto impedì ad essi ogni ulteriore indagine. E dopo quel l’episodio, dell’ominide villoso non sì è saputo più nulla.
Nel 1974, l’uscita del solido volume di Heuvelmans e Porchnev suscitò in Francia un interesse considerevole. Trattandosi di un libro su un reperto che per almeno due anni era stato esposto al pubblico nordamericano, gli editori statunitensi dello zoologo belga si dichiararono immediatamente disposti a pubblicarne una versione anglosassone; ma ben presto sorsero problemi incomprensibili che mandarono a monte il progetto.
Com’è noto, la scienza statunitense ignora sistematicamente tutto ciò che non è scritto in inglese, e la sua posizione "ufficiale" in merito alla questione dell’"Iceman" era già stata decisa e codificata da Napier (1972): doveva trattarsi di un mero artefatto da baraccone.
Ed è significativo che la Shackley (1983), la quale pure sottoscrive la tesi della sopravvivenza dell’uomo di Neandertal fino all’età attuale, menzioni e citi in bibliografia il testo di Heuvelmans e Porchnev senza averlo neppure letto (se così non fosse, infatti, essa non si sarebbe tanto passivamente adeguata alla conclusione di Napier).
Appresa la vicenda dell’uomo villoso inglobato nel ghiaccio ed esaminata con cura la documentazione ad esso relativa fornita da Heuvelmans, molti potrebbero domandarsi: "Poiché questo esemplare non era evidentemente l’unico della sua specie, e poiché i rappresentanti di quest’ultima devono essersi riprodotti fin dai tempi preistorici, com’è che non se ne sono mai visti? In fin dei conti, se così fosse realmente, lo si verrebbe a sapere!"
Per Heuvelmans (1974: p. 255), chi manifestasse questo atteggiamento darebbe prova "...di grande ignoranza. Il fatto è che uomini selvaggi e pelosi sono stati visti, segnalati e descritti fin dai tempi più remoti, e che essi continuano ad esserlo nei nostri giorni. E questo si sapeva. Io stesso ne avevo archiviato gran parte in un libro. Sanderson, in un altro, aveva effettuato una sintesi delle nostre conoscenze a tale proposito. E Porchnev, dopo uno studio approfondito, aveva magnificamente identificato il loro aspetto più diffuso: a dispetto di certe inverosimiglianze, egli aveva visto in esso una forma relitta di Neandertaliano".
Poiché non ci è possibile - ovviamente - ripercorrere qui l’intero corpus dei risultati delle ricerche cui allude Heuvelmans, ci limiteremo a riassumerne i termini essenziali.
Più volte è stato fatto notare che i nostri predecessori del Paleolitico superiore, mentre raffiguravano con grande efficacia, realismo e senso artistico gli animali che costituivano oggetto della loro attività venatoria, evitavano invece accuratamente di rappresentare i loro simili nel medesimo modo. In un mondo pervaso da corrispondenze magiche, nessuno avrebbe accettato di lasciarsi raffigurare, per timore che altri tentassero di nuocergli agendo sulla sua effigie (per esempio, perforandola con punte di frecce). Non è casuale, pertanto, che le immagini umane presenti in tutta l’arte del Paleolitico superiore si caratterizzino per un’esecuzione frettolosa ed approssimativa, talvolta quasi caricaturale e, in ogni caso, non realistica.
Ma ciò non è avvenuto per le rappresentazioni dell’"Homo neanderthalensis". Dalla grotta di Isturitz, sui Bassi Pirenei, proviene un di segno maddaleniano assai realistico che raffigura la testa di un essere umano peloso, privo di mento, dalla fronte bassa e dal naso vistosamente rivolto all’insù (Mauduit, 1954). Nel medesimo luogo è stato rinvenuto un osso inciso (riprodotto anche da Boule & Vallois, 1952) in cui sono ben visibili, da un lato un bisonte colpito con due frecce, dall’altro due esseri umani pelosi dalla fronte ribassata e dalle narici rivolte in avanti, uno dei quali - una femmina - colpito da una freccia.
Analoghe raffigurazioni di neandertaliani provengono da Laugerie-Basse e da Bernifal presso Les Eyzies, da Taillebourg presso Vienne, da La Marche presso Lussac les Châteaux.
Il fatto che i nostri predecessori raffigurassero i neandertaliani al medesimo modo degli altri animali, può stare a significare soltanto che essi li consideravano come tali e che pertanto li cacciavano.
In base ad un gran numero di testimonianze archeologiche, storiche e mitologico-letterarie, è possibile dimostrare che uomini selvatici pelosi sono stati oggetto di caccia e di raffigurazione da parte della nostra specie, non soltanto durante il Paleolitico recente, ma anche in epoca storica.
Uno dei reperti archeologici più espliciti, risalente al VII-VI secolo a.C., è la coppetta fenicio-cipriota in argento placcato d’oro proveniente dalla tomba etrusca Bernardini di Palestrina. La coppetta, conservata a Roma nel Museo di Villa Giulia, reca un fregio a bassorilievo nel quale si vede un nobile vestito all’assiriana che, armato di arco e frecce, si reca a caccia di cervi. Durante una sosta di riposo, egli viene minacciato e fatto oggetto di lancio di pietre da un uomo selvatico villoso uscito da una caverna. Protetto dalla sua divinità, il nobile balza sul suo carro, insegue il bruto e lo uccide a colpi d’ascia.
A causa della loro progressiva rarefazione, comunque, già nell’antichità classica e nel Medioevo i neandertaliani venivano raffigurati in modo realistico soltanto in casi eccezionali. Nell’arte greco-romana, essi si presentano generalmente nella veste di fauni o di satiri: naso schiacciato, orecchie appuntite, vello e sesso eretto (sovrapposti comunque, il più delle volte, agli attributi di Sylvanus o di Pan: corna, coda e zoccoli).
Nell’arte medioevale, per contro, essi si presentano o come esseri umani della nostra specie, semplicemente coperti di pelo dalla testa al piedi, con il mento ornato da una lunga barba e spesso armati di clava; oppure come creature dotate degli stessi attributi del pagano Pan e perciò accostati a Satana. Nell’arte rinascimentale, mascheroni apotropaici usati come battenti di portali sembrano talvolta ricalcare le fattezze dell`"uomo selvatico": sopracciglia e zigomi sporgenti in avanti, naso rivolto all’insù, orecchie appuntite e grandi incisivi a forma di scalpello.
Odiati, denigrati, perseguitati e minacciati di sterminio, i neandertaliani finirono a poco a poco per scomparire dal nostro continente. Allorché gli ultimi esemplari, divenuti ormai rarissimi, venivano catturati, erano incatenati e trasportati di città in città nello stesso modo in cui i gitani hanno poi continuato a fare, per molto tempo, con gli orsi. Secondo un’immagine popolare russa pubblicata nella "Moskovskia Vedomosti" dell’11 luglio 1760, in quell’anno un "satiro" era stato esibito in Spagna, a Barcellona. La creatura, alta m.1,60, era completamente priva di denti: o per l’età assai avanzata, o per l’ipovitaminosi dovuta ad una dieta esclusivamente a base di pane e di latte.
Attualmente i neandertaliani sono segnalati nella maggior parte delle catene montuose dell’Asia Paleartica (ex-URSS: dal Caucaso e dal Pamir, attraverso l’Altai e i monti Sayann, fino ai monti di Verkhoyansk e la penisola dei Ciukci; Afghanistan; Pakistan settentrionale; Cina: dai contrafforti del Karakorum, la catena del Tien Shan e la Dzoungaria, fino al monte Quinling verso nord e al Tibet verso sud; Mongolia) e nelle giungle del l’Asia tropicale (Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam e Malaysia occiden tale).
Nell’opinione concorde di quanti li hanno avvistati, essi si servirebbero spesso di pietre o di bastoni, ma mai di strumenti fabbricati: il che denoterebbe, rispetto ai loro predecessori pleistocenici, uno stato di profonda decadenza culturale dovuto, con ogni probabilità, al fatto di essere stati costretti dalla nostra specie ad allontanarsi dal loro biotopo originario.
Comunque sia, quello della sorte dei neandertaliani da 29.000 anni fa ad oggi (data in cui l’ultima glaciazione non aveva ancora raggiunto il suo punto culminante) rappresenta un problema tutto da approfondire.
Ringraziamento
Malgrado la sua straordinaria importanza, e nonostante sia stato pubblicato non più di 25 anni fa, il libro di Heuvelmans e Porchnev è divenuto praticamente introvabile. A nulla sono serviti i nostri tentativi - fatti sia in forma privata tramite internet, sia in forma ufficiale tramite il servizio bibliotecario della nostra Università - di rintracciarlo presso la Bibliothèque Nationale de France (BNF), la British Library (BL) e la statunitense Library of Congress (LC). Alla fine, non ci è rimasto che contattare lo stesso Heuvelmans per chiedergliene almeno una fotocopia. E il padre della Criptozoologia ci ha fatto il grande onore di inviarci in omaggio "l’ultimo esemplare" rimasto a sua disposizione. Per questa sua generosità, gli esprimiamo la nostra più sincera e profonda gratitudine.
Nota:
Il presente testo è stato presentato come relazione nel corso del "2° Simposio Mondiale sulle Origini Perdute della Civiltà e gli Anacronismi Storico-Archeologici" di San Marino (2001).
Questi elementi sono stati portati soprattutto dallo zoologo belga Bernard Heuvelmans, direttore del Centre de Cryptozoologie a Le Vesinet nei dintorni di Parigi, dapprima in una "nota preliminare" di 24 pagine (Heuvelmans, 1969) e successivamente, nel 1974, in un volume di oltre 500 pagine includente un saggio dello storico russo Boris Porchnev ed intitolato "L’homme de néanderthal est toujours vivant" (Librairie Plon, Paris).
Poiché conosciamo le altre opere principali di Heuvelmans (1955, 1958, 1965, 1980) e ne apprezziamo l’onestà, la serietà e l’accuratezza scientifica, non troviamo alcun motivo per dubitare della sostanziale esattezza di quanto è riferito nel volume ora indicato. Esso narra ed in parte ricostruisce una vicenda che, purtroppo, nell’interesse della scienza avrebbe dovuto concludersi in ben altro modo, ma che non per questo può essere sottovalutata o, peggio ancora, sepolta sotto un muro di silenzio per essere definitivamente cancellata dalla memoria collettiva del mondo accademico.
È stato detto che le fotografie, i disegni, le misure e gli scritti di Franz Weidenreich illustranti i resti fossili dell’Homo erectus di Pechino rimangono pietre miliari della ricerca paleoantropologica, e ciò nonostante che i resti medesimi siano andati perduti al termine della seconda guerra mondiale. Ebbene, se e così, deve valere lo stesso metro di giudizio anche per le fotografie, i disegni, le misure e gli scritti di Heuvelmans illustranti l'"uomo conservato nel ghiaccio", nonostante che questo esemplare non sia più reperibile.
Poiché la suddetta vicenda (Heuvelmans, 1974, 1993) è circolata in versioni generalmente superficiali ed inesatte, reputiamo necessario riassumerla.
Durante la seconda metà degli anni ‘60, un soldato statunitense abbatté nelle giungle del Vietnam centrale uno strano essere umano dal corpo rivestito di lunghi peli bruno-nerastri. Il cadavere fu acquistato da un militare di carriera dell’U.S.A.F. in procinto di andare in pensione, il capitano Frank D. Hansen, quindi chiuso in un sacco di plastica contenente sostanze antidecomposizione e, dalla base di Da Nang, fatto trasferire illegalmente negli Stati Uniti all’interno di una delle bare speciali "not to be opened" destinate a rimpatriare i resti di soldati morti in combattimento.
Tramite la medesima procedura - organizzata dai principali capi militari alleati degli U.S.A. con la tacita connivenza del Dipartimento di Stato e della C.I.A. - venivano trasportate ogni anno in America dal famoso Triangolo d’Oro enormi quantità di eroina.
Nel maggio 1967 Hansen, d’accordo con le persone che lo avevano aiutato ad introdurre il cadavere in America o ne avevano finanziato i progetti rivolti a trarne profitto economico, fece inglobare in ghiaccio il cadavere dell’uomo peloso e, dopo averlo installato in una roulotte, cominciò ad esibirlo a pagamento nel circuito delle fiere commerciali del Minnesota. Ovviamente, egli non soltanto si guardò bene dal rivelare mai l’origine effettiva del cadavere (diffondendo anzi a tale riguardo le versioni più evasive, fantastiche e contraddittorie) ma, per meglio garantirsi contro ogni possibile indiscrezione, fece anche costruirne a Pete e Betty Corral, due artigiani dell’industria hollywoodiana, un’imitazione approssimativa in caucciù rivestito di peli d’orso.
Al fine di assicurare alla sua esibizione il massimo del successo, Hansen aspirava ardentemente a presentarla come quella del primo autentico esemplare del famoso "uomo delle nevi" himalayano, o meglio ancora (per non rischiare di tirare troppo in ballo l’Asia ed il Vietnam) del primo autentico esemplare del famoso Bigfoot, lo strano essere peloso che molti asserivano di aver visto nei boschi delle Montagne Rocciose nordamericane; temeva però che qualche specialista in materia potesse accorgersi della differenza fra i due tipi di ominidi.
Per mettersi l’animo tranquillo, dunque, nel dicembre 1968 Hansen si ingegnò di attirare l’attenzione dello studioso allora più competente in materia di "abominevole uomo delle nevi" che fosse reperibile negli Stati Uniti. Questi era lo zoologo Ivan T. Sanderson, che appunto pochi anni prima aveva pubblicato un solido volume su tale argo mento (Sanderson, 1961). Per una singolare coincidenza, proprio in quei giorni Sanderson aveva come ospite nella sua casa del New-Jersey il collega ed amico Heuvelmans, venuto a visitarlo prima di partire per un viaggio nelle foreste del Guatemala. Lo zoologo nordamericano ricevette una telefonata da un sedicente commerciante di animali che lo metteva al corrente di ciò che pochi giorni prima aveva osservato nella roulotte di Hansen; e fu così che entrambi gli zoologi, incuriositi della faccenda, decisero di recarsi nel Minnesota previo accordo telefonico con l’ex-pilota militare. Nella roulotte di Hansen, essi ebbero modo di esaminare e fotografare con cura, per ben tre giorni di seguito, lo straordinario reperto imprigionato nel ghiaccio. L’essere aveva le medesime caratteristiche craniali e corporee dell’"Homo neanderthalensis" nel senso da noi inteso; in più, si caratterizzava per alcune peculiarità che nessun rinvenimento paleontologico di tipo ordinario sarebbe in grado di provare: le "orecchie appuntite, uno strano naso schiacciato all’indietro e dalle narici aperte sul davanti, i testicoli ridotti ed un pene singolarmente gracile ed affilato che sembrava appartenere al tipo rectus, ossia disposto orizzontalmente allo stato di riposo".
Rientrato nel New-Jersey, Sanderson allertò l’F.B.I. e lo esortò a cercare di requisire al più presto il prezioso cadavere, che in qualche suo punto già mostrava pericolosi segni di decomposizione, e pubblicò sull’intera questione un articolo a carattere popolare in una rivista della quale era regolare collaboratore. Quanto a Heuvelmans, si sforzò di informare il mondo scientifico mostrando le foto dell’ominide villoso alle più alte autorità in fatto di primatologia ed antropologia allora presenti negli U.S.A.: Carleton Coon (Università di Harvard), William C. Osman Hill (Università Emory ad Atlanta) e John Napier (Smithsonian Institution di Washington). Sostenuto ed incoraggiato dalle loro critiche e consigli, lo zoologo belga stese ed inviò al "Bulletin de l’Institut royal des Sciences naturelles de Belgique" una "nota preliminare" (Heuvelmans, 1969) nella quale l’esemplare - provvisoriamente denominato "Homo pongoides" - era descritto come tipo di una forma di ominide attuale fino ad allora sconosciuta (uno studio successivo più approfondito avrebbe dovuto stabilire se si trattava veramente di una specie o di una sottospecie nuova); dopodiché parti per l’America Centrale.
La celere pubblicazione della "nota preliminare", verificatasi nel febbraio 1989, allarmò Hansen e la rete di natura mafiosa alla quale egli era legato. Il cadavere venne perciò ritirato dalla circolazione, scongelato, lievemente modificato di posizione (gli fu aperta la bocca e, per renderne meno umano l’aspetto, gli vennero divaricati gli alluci), ricongelato con più attenzione e presentato deliberatamente come un falso.
Al medesimo tempo, gli artigiani hollywoodiani che avevano avuto in commissione e preparato l’imitazione artificiale dell’ominide villoso, furono sollecitati a confermare la "rivelazione" del falso. E la manovra riuscì perfettamente.
Varie organizzazioni, sia scientifiche (soprattutto la Smithsonian) che amministrative (come l’FB.I.), ben felici di non dover più occuparsi di un qualcosa che rimetteva in discussione troppe idee date per acquisite e per il quale si correva il rischio di cadere nel ridicolo, accettarono immediatamente la tesi della frode e considerarono chiusa la faccenda.
Nel luglio 1969, allorché Hansen con la sua roulotte attraversò per imprudenza la frontiera tra U.S.A. e Canada, i servizi della dogana ebbero un’occasione unica per controllare in maniera definitiva l’autenticità o meno dell’esemplare sotto ghiaccio; ma un intervento dall’alto impedì ad essi ogni ulteriore indagine. E dopo quel l’episodio, dell’ominide villoso non sì è saputo più nulla.
Nel 1974, l’uscita del solido volume di Heuvelmans e Porchnev suscitò in Francia un interesse considerevole. Trattandosi di un libro su un reperto che per almeno due anni era stato esposto al pubblico nordamericano, gli editori statunitensi dello zoologo belga si dichiararono immediatamente disposti a pubblicarne una versione anglosassone; ma ben presto sorsero problemi incomprensibili che mandarono a monte il progetto.
Com’è noto, la scienza statunitense ignora sistematicamente tutto ciò che non è scritto in inglese, e la sua posizione "ufficiale" in merito alla questione dell’"Iceman" era già stata decisa e codificata da Napier (1972): doveva trattarsi di un mero artefatto da baraccone.
Ed è significativo che la Shackley (1983), la quale pure sottoscrive la tesi della sopravvivenza dell’uomo di Neandertal fino all’età attuale, menzioni e citi in bibliografia il testo di Heuvelmans e Porchnev senza averlo neppure letto (se così non fosse, infatti, essa non si sarebbe tanto passivamente adeguata alla conclusione di Napier).
Appresa la vicenda dell’uomo villoso inglobato nel ghiaccio ed esaminata con cura la documentazione ad esso relativa fornita da Heuvelmans, molti potrebbero domandarsi: "Poiché questo esemplare non era evidentemente l’unico della sua specie, e poiché i rappresentanti di quest’ultima devono essersi riprodotti fin dai tempi preistorici, com’è che non se ne sono mai visti? In fin dei conti, se così fosse realmente, lo si verrebbe a sapere!"
Per Heuvelmans (1974: p. 255), chi manifestasse questo atteggiamento darebbe prova "...di grande ignoranza. Il fatto è che uomini selvaggi e pelosi sono stati visti, segnalati e descritti fin dai tempi più remoti, e che essi continuano ad esserlo nei nostri giorni. E questo si sapeva. Io stesso ne avevo archiviato gran parte in un libro. Sanderson, in un altro, aveva effettuato una sintesi delle nostre conoscenze a tale proposito. E Porchnev, dopo uno studio approfondito, aveva magnificamente identificato il loro aspetto più diffuso: a dispetto di certe inverosimiglianze, egli aveva visto in esso una forma relitta di Neandertaliano".
Poiché non ci è possibile - ovviamente - ripercorrere qui l’intero corpus dei risultati delle ricerche cui allude Heuvelmans, ci limiteremo a riassumerne i termini essenziali.
Più volte è stato fatto notare che i nostri predecessori del Paleolitico superiore, mentre raffiguravano con grande efficacia, realismo e senso artistico gli animali che costituivano oggetto della loro attività venatoria, evitavano invece accuratamente di rappresentare i loro simili nel medesimo modo. In un mondo pervaso da corrispondenze magiche, nessuno avrebbe accettato di lasciarsi raffigurare, per timore che altri tentassero di nuocergli agendo sulla sua effigie (per esempio, perforandola con punte di frecce). Non è casuale, pertanto, che le immagini umane presenti in tutta l’arte del Paleolitico superiore si caratterizzino per un’esecuzione frettolosa ed approssimativa, talvolta quasi caricaturale e, in ogni caso, non realistica.
Ma ciò non è avvenuto per le rappresentazioni dell’"Homo neanderthalensis". Dalla grotta di Isturitz, sui Bassi Pirenei, proviene un di segno maddaleniano assai realistico che raffigura la testa di un essere umano peloso, privo di mento, dalla fronte bassa e dal naso vistosamente rivolto all’insù (Mauduit, 1954). Nel medesimo luogo è stato rinvenuto un osso inciso (riprodotto anche da Boule & Vallois, 1952) in cui sono ben visibili, da un lato un bisonte colpito con due frecce, dall’altro due esseri umani pelosi dalla fronte ribassata e dalle narici rivolte in avanti, uno dei quali - una femmina - colpito da una freccia.
Analoghe raffigurazioni di neandertaliani provengono da Laugerie-Basse e da Bernifal presso Les Eyzies, da Taillebourg presso Vienne, da La Marche presso Lussac les Châteaux.
Il fatto che i nostri predecessori raffigurassero i neandertaliani al medesimo modo degli altri animali, può stare a significare soltanto che essi li consideravano come tali e che pertanto li cacciavano.
In base ad un gran numero di testimonianze archeologiche, storiche e mitologico-letterarie, è possibile dimostrare che uomini selvatici pelosi sono stati oggetto di caccia e di raffigurazione da parte della nostra specie, non soltanto durante il Paleolitico recente, ma anche in epoca storica.
Uno dei reperti archeologici più espliciti, risalente al VII-VI secolo a.C., è la coppetta fenicio-cipriota in argento placcato d’oro proveniente dalla tomba etrusca Bernardini di Palestrina. La coppetta, conservata a Roma nel Museo di Villa Giulia, reca un fregio a bassorilievo nel quale si vede un nobile vestito all’assiriana che, armato di arco e frecce, si reca a caccia di cervi. Durante una sosta di riposo, egli viene minacciato e fatto oggetto di lancio di pietre da un uomo selvatico villoso uscito da una caverna. Protetto dalla sua divinità, il nobile balza sul suo carro, insegue il bruto e lo uccide a colpi d’ascia.
A causa della loro progressiva rarefazione, comunque, già nell’antichità classica e nel Medioevo i neandertaliani venivano raffigurati in modo realistico soltanto in casi eccezionali. Nell’arte greco-romana, essi si presentano generalmente nella veste di fauni o di satiri: naso schiacciato, orecchie appuntite, vello e sesso eretto (sovrapposti comunque, il più delle volte, agli attributi di Sylvanus o di Pan: corna, coda e zoccoli).
Nell’arte medioevale, per contro, essi si presentano o come esseri umani della nostra specie, semplicemente coperti di pelo dalla testa al piedi, con il mento ornato da una lunga barba e spesso armati di clava; oppure come creature dotate degli stessi attributi del pagano Pan e perciò accostati a Satana. Nell’arte rinascimentale, mascheroni apotropaici usati come battenti di portali sembrano talvolta ricalcare le fattezze dell`"uomo selvatico": sopracciglia e zigomi sporgenti in avanti, naso rivolto all’insù, orecchie appuntite e grandi incisivi a forma di scalpello.
Odiati, denigrati, perseguitati e minacciati di sterminio, i neandertaliani finirono a poco a poco per scomparire dal nostro continente. Allorché gli ultimi esemplari, divenuti ormai rarissimi, venivano catturati, erano incatenati e trasportati di città in città nello stesso modo in cui i gitani hanno poi continuato a fare, per molto tempo, con gli orsi. Secondo un’immagine popolare russa pubblicata nella "Moskovskia Vedomosti" dell’11 luglio 1760, in quell’anno un "satiro" era stato esibito in Spagna, a Barcellona. La creatura, alta m.1,60, era completamente priva di denti: o per l’età assai avanzata, o per l’ipovitaminosi dovuta ad una dieta esclusivamente a base di pane e di latte.
Attualmente i neandertaliani sono segnalati nella maggior parte delle catene montuose dell’Asia Paleartica (ex-URSS: dal Caucaso e dal Pamir, attraverso l’Altai e i monti Sayann, fino ai monti di Verkhoyansk e la penisola dei Ciukci; Afghanistan; Pakistan settentrionale; Cina: dai contrafforti del Karakorum, la catena del Tien Shan e la Dzoungaria, fino al monte Quinling verso nord e al Tibet verso sud; Mongolia) e nelle giungle del l’Asia tropicale (Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam e Malaysia occiden tale).
Nell’opinione concorde di quanti li hanno avvistati, essi si servirebbero spesso di pietre o di bastoni, ma mai di strumenti fabbricati: il che denoterebbe, rispetto ai loro predecessori pleistocenici, uno stato di profonda decadenza culturale dovuto, con ogni probabilità, al fatto di essere stati costretti dalla nostra specie ad allontanarsi dal loro biotopo originario.
Comunque sia, quello della sorte dei neandertaliani da 29.000 anni fa ad oggi (data in cui l’ultima glaciazione non aveva ancora raggiunto il suo punto culminante) rappresenta un problema tutto da approfondire.
Ringraziamento
Malgrado la sua straordinaria importanza, e nonostante sia stato pubblicato non più di 25 anni fa, il libro di Heuvelmans e Porchnev è divenuto praticamente introvabile. A nulla sono serviti i nostri tentativi - fatti sia in forma privata tramite internet, sia in forma ufficiale tramite il servizio bibliotecario della nostra Università - di rintracciarlo presso la Bibliothèque Nationale de France (BNF), la British Library (BL) e la statunitense Library of Congress (LC). Alla fine, non ci è rimasto che contattare lo stesso Heuvelmans per chiedergliene almeno una fotocopia. E il padre della Criptozoologia ci ha fatto il grande onore di inviarci in omaggio "l’ultimo esemplare" rimasto a sua disposizione. Per questa sua generosità, gli esprimiamo la nostra più sincera e profonda gratitudine.
Nota:
Il presente testo è stato presentato come relazione nel corso del "2° Simposio Mondiale sulle Origini Perdute della Civiltà e gli Anacronismi Storico-Archeologici" di San Marino (2001).
* Dipartimento di Scienze Della Terra,
Università di Siena
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