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Conversazioni filosofiche: caso e destino

di Francesco Lamendola - 05/10/2007

 

 

 

 

 

(Questo articolo è stato pubblicato sui "Quaderni" dell'Associazione Filosofica Trevigiana, ora Associazione Eco-Filosofica: la prima parte sul n. 4 del 2003, anno XXIV, pp. 21-40;  la seconda parte è uscita (in due puntate) sul quaderno n.5 dello stesso anno,  pp. 29-38,  col titolo "Ordine e disordine", e sul numero 7, pp. 6-17,  col titolo "Tempo e irreversibilità"; la terza, col titolo "La matematica e la natura", sarà pubblicata in uno dei prossimi numeri).

 

 

 

 

 

SOMMARIO CONVERSAZIONI FILOSOFICHE :

 

Parte prima:     Primo giorno: Caso e destino;

                         Secondo giorno: Necessità e libertà.

 

Parte seconda: Terzo giorno: Ordine e disordine;

                        Quarto giorno: Tempo e irreversibilità.

 

Parte Terza:     Appendice: la matematica e la natura.

 

 

 

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PRIMO GIORNO: CASO E DESTINO

 

 

      Era bello, nell'aria fresca del mattino, passeggiare lungo i viali ombrosi del giardino, respirare il profumo dei fiori e delle piante aromatiche, ascoltare il chioccolìo dell'acqua presso le fontane tappezzate di muschio.

      L'estate spargeva la sua dolce fragranza sulle cose, disseminava cirri leggeri nel cielo altissimo d'un blu cobalto, fasciava di luce dorata la tenue peluria dei frutti maturi sui rami. E ovunque si diffondeva il canto melodioso degli uccelli, fresco e argentino, come nel primo giorno della creazione del mondo.

 

- Caso, destino: che importa? - chiedeva Sandra, guardandomi da sotto le lunghe ciglie nere, con quel suo sguardo azzurro tra enigmatico e divertito, forse lievemente ironico.

- Già, che importa? -, risposi meditabondo.

      Per un po', restammo in silenzio. Non si udiva che il chioccolìo della fontana,sempre eguale eppure mai monotono. Da qualche parte, in lontananza, un gallo cantò tre volte, ma il suono quasi si perse nel tremolìo indistinto dell'aria.

 

SANDRA: -Vedo che non sei convinto - riprese poi, giocherellando fra i sassolini con la punta del sandalo. - Per te fa differenza, vero?

GIULIANO: - Ma sì, non posso negarlo. È questo il mio problema.

SANDRA: - E posto che si riuscisse a risolverlo, pensi che sarebbe diverso qualcosa?

GIULIANO: - Forse.

SANDRA: - Va bene, allora. Ricominciamo tutto daccapo. Alcuni sostengono che la vita è dominata al caso, altri che è guidata dal destino. Giusto? 

GIULIANO: - Giusto. Ma prima, propongo di esaminare bene questi due termini.

SANDRA: - Ti darò una definizione di caso: ciò che avviene in modo imprevedibile, senza alcuna logica apparente.

GIULIANO: - Imprevedibile per chi?

SANDRA: - Per gli esseri umani, si capisce.

GIULISANO: - Sarò duro di comprendonio, però vorrei capire meglio. Vuoi farmi un esempio?

SANDRA: - Ecco: ora mi alzo da questa comoda panchina in stile liberty, e mi avvio verso il roseto. Prendo, cioè, a sinistra. Ma avrei potuto anche prendere a destra. La mia decisione di andare a sinistra era imprevedibile, perché casuale.

GIULIANO: - Imprevedibile per me?

SANDRA: - Anche per me.

GIULIANO: - Ne siamo sicuri?

SANDRA: - Spiegati meglio.

GIULIANO: - Secondo me, se hai deciso di prendere a sinistra, c'erano un milione di ragioni che ti  spingevano ad agire così.

SANDRA: - Ma ero libera; potevo benissimo andare a destra. È  stata la mia volontà…

GIULIANO: - Casuale anche quella?

SANDRA: - Forse no, devo ammetterlo. Ora capisco cosa vuoi dire.

GIULIANO: - Che il caso non esiste, né più né meno. Quello che a noi sembra imprevedibile, lo etichettiamo "caso", e non ci pensiamo più. Ma il fatto che noi non disponiamo di tutti gli strumenti per spiegare un fenomeno, non significa che esso sia casuale. Non più di quanto significhi che è soprannaturale.

SANDRA: - Infatti, avevo detto "senza logica apparente". Ma una logica, forse, c'è sempre.  Cioè, una concatenazione causale, più o meno aggrovigliata.  Però, mi viene alla mente un'obiezione. Quando getto in aria una moneta, quale logica causale decide in favore della "testa" o della"croce"?

GIULIANO: - Il calcolo probabilistico, suppongo.

SANDRA: - Che non dà certezze. Altrimenti, avremmo scoperto il metodo sicuro per sbancare le case da gioco.

GIULIANO: - E tuttavia, il fatto che non si possa predire un evento non significa che esso sia privo di necessità, che sia casuale. Certo vi sono delle ragioni se cade "testa" piuttosto che "croce": il movimento impresso alla moneta, suppongo. Ne convieni?

SANDRA: - Sì, mi hai convinta.  È solo la nostra ignoranza a farci parlare di "caso".  Caso è il nome che diamo a ciò che non sappiamo spiegare, né prevedere.

GIULIANO: - Bene. Abbiamo visto che il caso non esiste. Ora passiamo all'altro corno del dilemma: il destino. Vuoi suggerirmi una definizione?

SANDRA: - In senso stretto, una cieca forza che guida inesorabilmente le vicende umane.

GIULIANO: - Già, come in Omero: una forza perfino superiore al volere degli dèi.

SANDRA: - Ricordo, infatti, che alla morte di Sarpedonte lo stesso Zeus non riesce a trattenere il pianto. (1)

GIULIANO: - E in senso lato?

SANDRA: - La necessità.

GIULIANO: - Scusa, vuoi darmi una definizione anche di questa?

SANDRA: - Vediamo, devo pensrci un poco. Be', ritengo che la necessità si possa definire come lo svolgimento logico delle leggi naturali.

GIULIANO: - Per cui, quando si dice che nessuno può sfuggire al proprio destino, s'intende semplicemente…

SANDRA: - Che nessuno può eludere le leggi della natura. Però, detto così, suona piuttosto banale, non trovi?

GIULIANO: - Diciamo spogliato di quell'aura tremenda e misteriosa di cui gli antichi, appunto, lo avevano avvolto.

SANDRA: - Via la poesia della Moira, dunque. Che cosa resta, caro il mio volterriano?

GIULIANO: - Lasciamo perdere Voltaire, che del resto non mi è troppo simpatico. Resta la ovvia constatazione che le cose accadono come accadono, perché non possono accadere altrimenti.

SANDRA: - E non è questo un misero senno del poi, solo paludato in vesti un po' più sontuose?

GIULIANO: - A noi fa questo effetto, per il solito motivo: che non abbiamo la capacità di prevedere né, a volte, quella di spiegare.

SANDRA: - E ciò non equivale a dire che anche la visione del destino come necessità naturale non è altro che una forma di fede?

GIULIANO: - Vuoi dire una credenza come un'altra? Accordato. Ma ciò, a ben guardare, vale per ogni aspetto della conoscenza umana… Se potessimo conoscere in altro modo, ossia con un assoluto grado di certezza, vorrebbe dire che saremmo noi stessi gli autori della realtà. Solo Dio può avere conoscenze certe, avendo lui creato il mondo.

SANDRA: - E siccome tu non credi in Dio…

GIULIANO: - … il che, ovviamente, è una forma di credenza come un'altra…

SANDRA: - Questo significa che qualunque credenza vale come qualsiasi altra?

GIULIANO: - Bella domanda. D'istinto vorrei poter rispondere: no, naturalmente. Sai, mi danno particolarmente fastidio certe superstizioni religiose, quelle che il popolo vive come un forma evidente di alienazione. Vorrei, quindi, poterti dire che la credenza nell'ebollizione del sangue di san Gennaro non ha lo stesso valore della conoscenza delle leggi fisiche e chimiche, secondo le quali simili cose non possono mai accadere…

SANDRA: - …ma?…

GIULIANO: - Ma bisogna essere coerenti. Se ogni forma di conoscenza umana è parziale e provvisoria, bisogna avere l'onestà intellettuale di abbracciare il più coerente anarchismo gnoseologico. La pratica dello sciamano vale quanto gli studi di medicina nelle migliori universià occidentali, senza contare che…

SANDRA: - Senza contare che…?

GIULIANO: - Gli sciamani, spesso, guariscono i loro pazienti. La qual cosa non si può sempre dire dei nostri luminari della medicina occidentale. Per non parlare della psichiatria…

SANDRA: - E io che ti ho chiamato un volterriano…

GIULIANO: - Bene, propongo di tornare al nostro assunto iniziale. Abbiamo visto che "caso" e "destino", a dispetto della loro, diciamo coosì, nomèa, indicano tutt'altro che due realtà opposte e inconciliabili.

SANDRA: - Infatti, secondo te, le leggi naturali sono l'unico arbitro della nostra vita. Dico bene?

GIULIANO: - Sì. L'unico.

SANDRA: - Sbaglio, o c'è qualcosa in te che si ribella a siffatte conclusioni?

GIULIANO: - Hai la vista acuta, Sandra. Non che si ribella, comunque. Qualcosa che non resta pienamente appagata e soddisfatta: lo ammetto.

SANDRA: - Che cosa, esattamente?

GIULIANO: - Quella parte di me che vorrebbe credere da un lato nel libero arbitrio, cioè nel fatto che possiamo sottrarci a un meccanismo naturalistico assoluto; dall'altro in uno scopo, in una causa finale del fenomeno "vita".

SANDRA: - Però pensi che si tratti di residui irrazionali, vero?

GIULIANO: - Già. Più o meno.

SANDRA: - E se tu decidessi di dare pienamente voce e libertà a questa parte di te, che non vuole rassegnarsi?

GIULIANO: - Sarebbe come barare con le proprie debolezze. Non c'è nulla di male ad avere delle debolezze: è umano. Il male è eludere il problema, costruendo delle mitologie rassicuranti per esorcizzare le paure che da quelle debolezze nascono.

SANDRA: - Per esempio?

GIULIANO: - Tutti abbiamo paura del nulla. Allora c'inventiamo gli dèi, che vegliano amorevolmente su di noi e danno un ordine, un senso all'Universo. Rifletti che "kosmos", in greco antico, significa prima di tutto "ordine" e solo in ultima accezione "Universo"; mentre nelle lingue moderne "cosmo" è senz'altro sinonimo di "Universo". Questa esigenza di ordine, di razionalità, che per gli antichi era una componente della loro "Weltanschauung", per noi è diventata una certezza rassicurante e preconfezionata, un prodotto già bello e pronto per il consumo intellettuale…

SANDRA: - E… tornando al caso e al destino?

GIULIANO: - Noi vediamo che la realtà è disordine: disordine crescente. Aumento di entropia, per dirla col linguaggio della fisica.  Allora sorge in noi il bisogno di ordine. Nulla di male, in questo. Qualunque sistema, per poter semplicemente esistere, richiede una diminuzione locale dell'entropia. Ma a noi non basta. Vogliamo certezze, certezze per tutta la vita e perfino oltre: vogliamo Paradisi ove saremo felici in eterno. Perciò, invece di condurre la nostra onesta battaglia locale contro l'aumento di entropia, sapendo che comunque perderemo la guerra, neghiamo addirittura che il disordine esista.  Affermiamo che questo bisogno di ordine, che è in noi, testimonia l'esistenza di un ordine più alto, che è per così dire occultato nell'esperienza quotidiana, ma che bisogna saper vedere al di là della contingenza. Il caso ci appare come una manifstazione di disordine, dunque tendiamo a negarlo; e quanto al destino, ci sembra una forma di "ordine" un po' troppo autoritaria , e allora neghiamo anche quello. Resta la libertà della coscienza, naturalmente: cioè, almeno così, di primo acchito, quella che pare una forma di ordine.  Questo sì che ci soddisfa, e noi non vogliamo la verità, ma quelle pseudo-verità che blandiscono e accarezzano le nostre umane debolezze…

SANDRA: - Mi sembra di capire che sei irrimediabilmente in lotta con te stesso…

GIULIANO: - Spiegati meglio.

SANDRA: - Anche tu vorresti poter credere che la realtà è ordine; che la vita ha uno scopo; che la volontà e la razionalità sono in grado di guidarci attraverso il caos dell'esistenza. Ma vuoi negare a te stesso questa speranza, ti senti in dovere di respingerla come una forma di "debolezza".

GIULIANO: - No, ti ripeto: non mi vergogno di questa debolezza, ma mi vergognerei moltissimo se, per non avere il coraggio di riconoscerla come tale, m'inventassi realtà che non esistono…

SANDRA: - Poco fa, però, abbiamo convenuto che ogni forma di conoscenza  è una semplice credenza. Come fa, allora, ad essere tanto sicuro che certe cose non esistono?

GIULIANO: - Toccato.

SANDRA : - Abbiamo sostenuto, infatti, che ogni credenza è relativa, che tutte hanno diritto di cittadinanza. La filosofia, poi, non fa altro che fornire un'appropriata impalcatura "logica" alle nostre credenze.

GIULIANO : -  È vero. Consentimi però di abbracciare quelle credenze che a me paiono avere un maggior grado di probabilità… o, se preferisci, che mi appaiono meno improbabili.

SANDRA: - Va bene. Ma vuoi dirmi perché l'idea di un mondo ordinato ti appare tanto improbabile?

GIULIANO: - Semplicemente per ragioni empiriche. Questo è quello che a me sembra di vedere. Se altri vedono le cose diversamente, vorrà dire che usano occhiali con le lenti diversamente colorate…

SANDRA: - E, oltre che disordinata, suppongo che la realtà ti appaia anche assurda…

GIULIANO: - Sì, assurda.

SANDRA: - Cioè, priva di senso e priva di scopo.

GIULIANO: -  Esatto. Naturalmente, sta a noi tentare di darglielo.

SANDRA: -  Però…?

GIULIANO: - Però è estremamente difficile. Dare un senso all'assurdo, non è cosa tanto semplice. È ben vero che noi dobbiammo tentare: fa parte del nostro dovere.

SANDRA: - Perché parli di dovere? Dovere verso chi o verso cosa?

GIULIANO: - Verso noi stessi, e anche verso gli altri.

SANDRA: - Ma se tutto è assurdo, da dove hanno origine tali doveri?

GIULIANO: - Da una di quelle esigenze profonde che sono dentro di noi,  perché fanno parte della nostra natura. Proprio come l'esigenza di libertà e l'esigenza di ordine.

SANDRA: - Che, però, avevi definito "debolezze"…

GIULIANO: - Quando non vengano riconosciute come nostri bisogni, ma poste come leggi della realtà

SANDRA: - E, così come l'esigenza dell'ordine non implica affatto l'esistenza dell'ordine, o quella della libertà l'esistenza della libertà, non potremmo pensare che l'esigenza del "dovere" sia un semplice abbaglio?

GIULIANO: - Certo, potremmo pensarlo. In realtà, io non sono in grado di motivarti razionalmente codesta esigenza etica. "Sento" che dobbiamo lottare contro l'assurdo e contro il disordine che caratterizzano la condizione umana, anzi, la condizione universale. Ma se mi chiedi perché dobbiamo farlo, posso dirti soltanto: per cercare di star bene con noi stessi, e per non aggiungere sofferenze agli altri. Di più non so, né pretendo di sapere.

SANDRA: - Capisco.

GIULIANO: - A che cosa stai pensando, così assorta?

SANDRA: - A quello che ti ho detto poco fa: che penso che tu sia continuamente in lotta con te stesso.

GIULIANO: - Può darsi. Ma la contraddizione, più che un fatto mio privato, credo sia parte di una condizione universale. Noi non chiediamo di venire al mondo, ma qualcuno lo decide per noi. Non vorremmo soffrire né far soffrire, invece provochiamo l'una cosa e l'altra. Molto di quel che riusciamo a realizzare, lo strappiamo letteralmente agli altri. Alla fine, dopo vane speranze e vani timori, veniamo precipitati nel nulla donde uscimmo: e anche questo non lo vorremmo, anzi, è la cosa che temiamo di più. Al punto da esserci inventati dèi e dèmoni, inferni e paradisi, per esorcizzare una paura così grande.  Stando così le cose, ci arrabattiamo come meglio possiamo. E se cadiamo in contraddizione, credo sia un segno della nostra generosità: sarebbe più semplice lasciare che le cose vadano come devono andare, seguire la corrente dell'assurdo anziché opporvisi.

SANDRA:- Consentimi un'altra obiezione, e non sul piano morale ma su quello logico. Opporsi all'assurdità del reale presuppone un libero esercizio della volontà. Ma, poco fa, non lo avevi negato, in nome della inesorabile necessità delle leggi naturali? Non avevi detto che, se io ora mi alzo da questa panchina e mi avvio da una parte anziché dall'altra, la mia apparente decisione è stata in realtà il prodotto di milioni di ragioni, interne ed esterne…

GIULIANO: - Va bene, d'accordo. Ho detto proprio così.

SANDRA: - E allora?

GIULIANO: - Niente. È una contraddizione anche questa, e fa parte anch'essa della contraddittorietà della condizione umana. Usando il linguaggio comune, dico che noi dobbiamo cercar di estrarre un minimo di ordine dal caos, un minimo di senso dall'assurdo. Ma so bene che, se siamo in grado d'immaginare una tale operazione, è perché le leggi naturali - il patrimonio genetico, le esperienze infantili, l'ambiente sociale e tutto il resto - ci spingono a farlo. In definitiva, bisognerebbe domandarlo alla natura, perché "sentiamo" in maniera così contraddittoria: è uno dei regali ch'essa ci ha fatto, mettendoci al mondo.

SANDRA: - Ma in realtà, siamo tutti determinati in maniera necessaria?

GIULIANO: - Sì.

SANDRA: - O magari influenzati, ma non interamente determinati?

GIULIANO: - Anche qui, siamo nel campo delle semplici credenze.

SANDRA: - E la tua credenza, qual è?

GIULIANO: - Credo che ci resti un minimo di libertà: ma non sempre e non a tutti. Solo a pochi fortunati…

SANDRA: - Fortunati o coraggiosi?

GIULIANO: - Quei pochi che hanno la fortuna di essere dei coraggiosi.

SANDRA: - Va bene, non insisto. Ho capito che, per te, siamo zimbelli di una natura incomprensibile, come gli eroi di Omero sono zimbelli del Fato…

SANDRA: - Più o meno, penso si possa dire così. E tu, invece, che cosa credi?

SANDRA: - Riguardo alla libertà dell'uomo? Non lo so…

GIULIANO: - Dài, non cercare di schermirti. Bùttati.

SANDRA: - E sia. La mia credenza, e sottolineo credenza, è che forse qualcosa c'è.

GIULIANO: - Qualcosa… in che senso?

SANDRA: - Qualcosa.

GIULIANO: - Dài, non fare la misteriosa.

SANDRA: - Ordime, senso, scopo, dio: chiamalo come ti pare. Qualcosa capace di ricomporre il non-senso dell'esistenza, e che non è solo nella coscienza di pochi individui fortunati. Ma neppure io saprei dartene una spiegazione convincente. In realtà, non sono affatto sicura. È una sensazione, più che un ragionamento. E, naturalmente, una speranza,

GIULIANO: - Alle donne si addice la speranza. Lo dico seriamente, senza alcuna ironia.

SANDRA: - E perché?

GIULIANO: - Perché trasmettono la vita. Come potrebbero continuare a farlo, se fossero del tutto prive di speranza?

 

      A questo punto cadde il silenzio. Entrambi eravamo immersi in profonde riflessioni.

      Un usignolo scese dalle fronde e si posò sull'orlo della fontana, per bere.

       Restammo un po' a guardarlo, poi lo seguimmo quando volò via e andò a posarsi in cima a un sambuco.

- Andiamo - disse Sandra, alzandosi, alla fine. - Ripenseremo a quel che abbiamo detto, con la calma, e forse ne ricaveremo qualcosa.

       Mi avviai al suo fianco.

       Era quasi mezzogiorno. Il vialetto, ormai inondato di sole, risuonava tutto del frinire delle cicale.

 

 

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SECONDO GIORNO: NECESSITA' E LIBERTA'

 

 

GIULIANO: - Allora, Sandra, hai dormito bene?

SANDRA: - Sì, di notte incomincia a rinfrescare, non c'è più quel caldo afoso dei giorni scorsi. Ma non ho potuto fare a meno di rivolgere nella mente mille pensieri…

GIULIANO: A proposito di cosa?

SANDRA: - Delle cose di cui abbiamo parlato ieri. Molte, in verità; forse troppe.  Su un punto, comunque, ho continuato a interrogarmi… ti va di parlarne?

GIULIANO: - Ma certo.

SANDRA: - È  il problema della libertà. Per me, costituisce un punto fondamentale. Anche se sono d'accordo che noi non possiamo andare molto oltre la semplice credenza, mi pare questione troppo importante stabilire se noi siamo semplici strumenti delle leggi naturali, semplici burattini, insomma, di una regìa sconosciuta; o se abbiamo in pugno il nostro destino (uso la parola "destino" nel significato più generico e tradizionale), e sia pure solo in parte…

GIULIANO: - Non ti piace l'idea di essere un burattino?

SANDRA: - No, per niente. E credo non piaccia neppure a te.

GIULIANO: - Oh, quanto a questo, hai indovinato.

SANDRA: - Però ritieni che si debba essere onesti con sé stessi; non abbellire o attenuare la verità, ma guardarla dritto in faccia…, vero?

GIULIANO: - Infatti.

SANDRA: - Be', se non ti dispiace, vorrei riesaminare daccapo questo punto.

GIULIANO: - Per me va bene. Anzi, guarda, se tu riuscissi non dico a convincermi, ma a instillarmi solo anche un ragionevole dubbio che noi siamo liberi di sentire, pensare, agire; che noi siamo liberi di essere: te ne sarei immensamente grato. Non chiedo altro che di poterci credere, ma non sulla base di semplici emozioni o speranze o desideri.

SANDRA: - Vediamo. Si potrebbe partire dal principio, per esempio. Tu affermi che unico principio regolatore della realtà è la forza meccanica della natura, i cui scopi (ammesso che ve ne siano), sono peraltro a noi totalmente incomprensibili. Giusto?

GIULIANO: - Sì, è così.

SANDRA: -  E la natura, di che sostanza è fatta?

GIULIANO: - Di materiaed energia. Forse soltanto di energia. Non lo so esattamente, pare che neanche gli scienziati lo sappiano, per il momento.

SANDRA: - E questa energia, da dove ha avuto origine?

GIULIANO: - Vedo dove vuoi arrivare. Ma non sperare che ti risponda: "dal Big Bang". Tu mi domanderesti allora: e prima?; e io dovrei rispondere: da un altro Big Bang; e così via.

SANDRA: - e come vuoi rispondermi, allora?

GIULIANO: - Senti, secondo me nessuno ha posto questo problema con la chiarezza di Anassimandro, uno dei primi filosofi greci, duemilacinquecento anni fa. All'origine di tutte le cose vi è una sostanza unica, un principio (arché) infinito e indeterminato (ápeiron), da cui esse provengono e in cui si dissolvono. Dopo di lui, la filosofia occidentale non ha fatto alcun passo avanti in tale direzione.  Se l'ápeiron è infinito, è perfettamente inutile  chiedersi da dove ha avuto origine e che cosa c'era prima di esso. Capisci?

SANDRA: - E questa spiegazione ti soddisfa?

GIULIANO: - Onestamente no, ma non ne conosco una migliore.

SANDRA: -  È  come rinunciare a porre la domada.

GIULIANO: - Ne convengo. Ma vi sono domande che presuppongono possibili risposte, altre che sono del tutto al di fuori della nostra portata. Bisogna avere l'umiltà di riconoscere la nostra piccolezza.

SANDRA: -  Non sarebbe più umile, tuttavia, lasciare aperta la porta alla possibilità di un principio che trascenda, e non solo cronologicamente, la materia?

GIULIANO: - Questione di punti di vista.

SANDRA: - A te sembrerebbe una fuga nell'irrazionale, vero?

GIULIANO: - Peggio: nella metafisica. Dove è possibile tutto e il contrario di tutto.

SANDRA: - Va bene; lasciamo perdere la questione dell'origine del tutto. Proviamo ad affrontare il problema della libertà da un altro lato. Tu sostieni che ogni azione della volontà è illusoria, perché determinata anch'essa dalle leggi naturali. Se così fosse, noi non avremmo alcun merito del bene, né alcuna responsabilità per il male che facciamo.

GIULIANO: - Non credo che l'aspetto etico del problema ci aiuterà più di quello gnoseologico. Comunque, tentiamo. E cominciamo al fatto che "bene" e "male" sono termini relativi, sempre in relazione a colui che li pone e, quindi, privi di universalità e necessità.

SANDRA: - Non c'è una legge etica assoluta?

GIULIANO: - Non c'è.

SANDRA: - Bene, di questo parleremo un'altra volta. Suppongo sia di per sé un argomento fin troppo impegnativo.

GIULIANO: - Resta l'altro aspetto della questione: se siamo responsabili delle nostre azioni. Io penso di no.

SANDRA: -  Mi meravigli. Non parlavi, proprio ieri, di doveri che abbiamo verso noi stessi e verso gli altri?

GOIULIANO: - Sì, certo.

SANDRA: -E questi doveri da dove provengono, se non esistono né il bene, né il male; se non esiste una libera scelta da parte nostra?

GIULIANO: - Dalla nostra coscienza. Ma essa non è il regno della libertà, non più di quanto lo sia la natura fuori di noi.

SANDRA: - Spiegati meglio.

GIULIANO: - Alcuni di noi "sentono", in determinate circostanze, di dover agire in un determinato modo; anche, lo ammetto,  contro la loro convenienza e la loro comodità. Non dico contro il loro interesse, perché il nostro interesse, inteso come principio-guida della conservazione, è alla base di tutte le leggi naturali…

SANDRA: - Sicché, non esistono azioni disinteressate?

GIULIANO: - No, non esistono.

SANDRA: - E… l'amore?

GIULIANO: - L'amore è la meno disinteressata di tutte.

SANDRA: - Anche l'amore verso l'umanità del profeta, del martire, del missionario, del santo?

GIULIANO: - L'amore è sempre, in primo luogo, amore di sé stessi, dunque il travestimento preferito di quel principio di autoconservazione che è la molla di ogni azione; e non solo umana, ma di qualsiasi essere vivente.

SANDRA: - Be', ammetterai che c'è di che restar pensierosi.  Devo rifletterci. Anche su questo argomento, credo mi piacerebbe ritornare con più calma, una volta o l'altra. Ma ritorniamo al punto…

GIULIANO: -  Il punto è, dicevo, che alcuni di noi sentono, a volte, di dover agire in un certo modo: e questo è tutto. Non significa che siamo veramente liberi di agire, non significa che