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Conversazioni filosofiche: la matematica e la natura

di Francesco Lamendola - 05/10/2007

 

 

    (Questo articolo sarà pubblicato prossimamente sui "Quaderni" dell'Associazione Eco-Filosofica, già Associazione Filosofica Trevigiana. La prima parte è apparsa sul "Quaderno" n. 4 del 2003, anno XXIV, pp. 21-40, col titolo "Caso e destino"; la seconda parte è apparsa, in due puntate, sul numero 5, pp. 29-38, col titolo "Ordine e disordine", e sul numero 7, pp. 6-17, col titolo "Tempo e irreversibilità").

 

 

SOMMARIO CONVERSAZIONI FILOSOFICHE:

 

Prima parte:      Primo giorno: caso e destino:

                          Secondo giorno: necessità e libertà;

 

Seconda parte: Terzo giorno: ordine e disordine:

                         Quarto giorno: Tempo e irreversibilità;

 

Terza parte:       Appendice: La matematica e la natura.

 

 

&   &   &   &

 

 

 

APPENDICE

 

ALLE CONVERSAZIONI FILOSOFICHE:

 

LA MATEMATICA E LA NATURA

 

 

 

1a)  SANDRA A GIULIANO,  26 giugno.

 

      Caro Giuliano,

 

      Prevedo che dovrò fermarmi quaggiù più del previsto, a causa di certe faccende che si prospettano un po' complicate.  Perciò, non sapendo quando avremo ancora l'occasione di…; ma no, quante balle ti sto raccontando. La verità è che mi manchi; mi mancano la tua ironia e la tua capacità di ascolto, carica di partecipazione e di simpatia umana. Allora ho pensato di prendere carta e penna e di riannodare il filo interrotto delle nostre riflessioni. Perché lasciare che una separazione, dovuta a banali cause materiali, faccia sfumare quell'atmosfera fervida e stimolante, costruita giorno dopo giorno, all'ombra del giardino e ritmata dal fresco chioccolìo dello zampillo sulla fontana? Quando una cosa è persa, è persa (con buona pace del tuo Hartmann) (1); e io non intendo permettere al caso di spezzare un clima così favorevole all'amicizia e all'approfondimento di questioni esistenziali che ritengo importanti e che mi hanno sempre appassionata.

      È ben vero, come dice il tuo amato Cicerone (ma sì, lo so che il tuo amato è Virgilio: fa niente, sono entrambi autori latini) che per l'uomo è impossibile una conoscenza scientifica e certa delle cose, mentre è giocoforza accontentarsi di una conoscenza probabile. (2) Perciò, rivolgiamo le nostre riflessioni non a quelle stelle che, come la Polare, offrono un punto di riferimento assolutamente sicuro, e "nella cui guida di notte confidano in mare i Fenici", e "che con orbita breve in un giro più stretto si volge" (3), come dice Arato di Soli (ti piace questa citazione?); bensì verso stelle più luminose e di facile identificazione, come l'Orsa Minore e i suoi "septem triones". (4) Aspetta, come dice il buon Marco Tullio? "(…) id est rationes has latiore specie non ad tenue limatas": "ragionamenti di più vasto respiro, non ridotti all'estrema sottigliezza": insomma, che non vanno troppo per il sottile. (5) Quanto a me, vorrei solo capire un po' di più la realtà delle cose; lascio volentieri ad altri di spaccare in quattro il capello di sottili ragionamenti dialettici.

      E dopo questa sfacciata "captatio benevolentiae" basata sullo sfruttamento della tua debolezza - l'amore sfrenato per gli autori classici - verrò subito al dunque e ti dirò che, riflettendo, mi pare che il tanto vituperato Leibniz non avesse poi del tutto torto, quando affermava che noi viviamo "nel migliore dei mondi possibili". Ci ho pensato a lungo, dopo averne parlato con te: questo, adesso, è il problema che maggiormente mi affascina. Tutti quei discorsi che abbiamo fatto su caso e destino, ordine e disordine, libertà e necessità mi hanno fatto girare vorticosamente il cervello. Mi chiedo: potrebbero darsi dei mondi migliori di questo? "Migliori per chi?", domanderai tu: "per il leone o per la gazzella?" (6) Diciamo migliori nell'insieme; migliori come modello matematico.

      Già, la matematica: il mio vecchio amore del liceo. Essa mi è sempre sembrata il vertice della perfezione intellettuale, un edificio rigoroso ed armonico dove c'è una stanza per ogni desiderio, una risposta per ogni domanda - purché si sappiano porre le domande nella maniera giusta. La matematica (come, del resto, la musica) ha semnpre appagato il mio bisogno di ordine, di simmetria, di razionalità. Di più: il mio bisogno spirituale di una causa fnale, di un senso, di uno scopo. Ebbene, più ci pemso e più mi convinco che Galilei aveva ragione, quando affermava che il gran libro della Narura è scritto in caratteri matematici. (7) I fiocchi di neve, quando sono cristallizzati, hanno tutti all'incirca la stessa forma: quella di un esagono regolare.  E anche le cellette di un alveare. Perché?  Soltanto i triangoli, i quadrati e gli esagoni possono essere adattati insieme come le piastrelle di un pavimento, senza sprecare alcuno spazio vuoto; e l'esagono, oltre ad avere tutti gli angoli di 120° (e quindi di coprire tutti i 360° ad ogni vertice, saldandosi con gli altri esagoni a tre a tre) offre il vantaggio di poter accogliere la maggior quantità di miele fra le sue pareti. L'esagono, dunque, figura geometrica perfetta, è stato "scelto" dalla natura per svolgere determinate funzioni. La stessa cosa si può dire per i rapporti di Fibonacci (8): le pigne hanno i rapporti di Fibonacci di 5, 8, 8, 13; le margherite hanno un rapporto di Fibonacci di 21/34; una pianta rampicante che cresce, salendo su sé stessa fino a compiere 5 giri completi attorno al proprio asse e lasciando otto spazi dalla foglia 1 alla foglia 9 tra l'una e l'altra, avrà un rapporto di Fibonacci di 5/8. La foglia 9, cioè, avrà una posizione esattamente verticale al disopra della foglia 1: e poiché il rapporto di Fibonacci è il numero dei giri diviso per il numero degli spazi, 5 giri diviso otto spazi dà 5/8, appunto. Si può dimostrare che la Natura spazia le foglie in questo modo non a caso, ma seguendo una "ratio" estremamente precisa: quella di evitare che le foglie più alte facciano ombra alle più basse, in modo che tutte ricevano la quantità indispensabile di luce. (9) 

      Si potrebbe continuare a lungo su questa strada. Una coppia di conigli che dà origine alla nascita di due piccoli il primo mese, e a quella di altri due nel secondo (per poi non procreare altri figli) darà inizio a una discendenza che partorirà piccoli con le stesse modalità, mettiamo; sì che la coppia iniziale, dopo due generazioni, avrà avuto 2 paia di coniglietti; nella terza avrà dato origine a 3 paia; nella quarta, a 5 paia; nella quinta, a 8 paia; nella sesta, a 13 paia; e nella settima, a 21 paia. I numeri che ne risultano: 1, 2, 3, 5, 8, 13 (e poi ancora 21, 34, 55, 89, 144) compaiono in molte manifestazioni del mondo naturale e mostrano delle curiose particolarità matematiche. (10)

      Non basta. Le frazioni di Fibonacci, che si ritrovano nella crescita dei vegetali, si avvicinano molto al cosiddetto "numero d'oro", la cui formula è radice quadrata di 5 meno 1 fratto 2, e il cui valore approssimativo è 0,62. Ebbene, Leonardo da Vinci, studiando le proporzioni del corpo umano, si avvide che molti dei loro rapporti si basano sul "numero d'oro"; così come gli architetti medioevali sapevano l'importanza della "sezione aurea" per produrre, nelle masse architettoniche, un effetto di armonia dal punto di vista estetico. C'è una relazone, dunque, fra quello che l'occhio umano percepisce come armonioso, ciò che la Natura giudica utile e ciò che la matematica definisce razionale. Tutto questo non può essere frutto del caso: la possibilità che si tratti di mere coincidenze è su per giù quella che ha una scimmia, (altro esempio famoso), battendo a caso sui tasti di una macchina da scrivere, di produrre la Divina Commedia. Ne convieni?

      Scusa se ti ho annoiato con tutti questi numeri e proporzioni, mio caro. Dove voglio arrivare? Semplice: al fatto che la Natura non agisce secondo una cieca necessità astratta, ma rispettando quelle leggi matematiche che la mente umana riconosce quali espressioni di altissima razionalità. La scoperta, per me, è sconvolgente e mi verrebbe voglia di urlare come una pazza dai tetti delle case. Il mondo non è un prodotto del caso! È frutto di un ordine altamente sofisticato! Capito? La materia bruta si sottomette a numeri, a proporzioni "intelligenti": obbedisce a un piano rigorosamente razionale.

    Eh, non c'è niente da fare. Questo pensiero m'inebria come un vino generoso;  mi esalta, mi rende luminosa. Come non pensare che dietro questa profonda razionalità si celi un disegno, un senso, uno scopo? Lo so, lo so bene che simili affermazioni sono altrettante bestemmie per i tuoi orecchi miscredenti.  Ti prego, fammi sapere al più presto che cosa ne pensi di tutte queste cose. Distruggi la mia illusione, le mie speranze, se ne hai il coraggio; altrimenti sottomettiti a una ragione che è più grande di noi, e a paragone della quale non siamo diversi da quelle rane gracidanti che, sulle rive dello stagno, s'imbattono in un'antica iscrizione greca: ricordi? (11) 

     Aspetto con impazienza la tua risposta; anche se, conoscendoti, sono già preparata a qualcosa di empio, d'irridente. Ma io pregherò per te, pagano presuntuoso: perché i tuoi occhi si aprano e vedano, perché i tuoi orecchi odano, perché il tuo cuore di marmo si trasformi in un cuore di carne, capace di sentire. (12) E forse, chi lo sa, avverrà il miracolo; e io riuscirò a comunicarti almeno un poco della mia allegra, contagiosa pazzia.

 

1b) GIULIANO A SANDRA, 28 giugno.

 

      Mescolando san Paolo ed Erasmo da Rotterdam (13), il tuo gioioso appello in favore della demenza contagiosa è arrivato fino a me, sulle ali del più insospettabile dei mezzi: la perfezione del numero matematico.

     Sandra, Sandra, tu mi ricodi la misteriosa confraternita dei pitagorici, tutti infervorati dalla mistica del numero, al punto da farne una specie di religione misterica. Non vorrei, però, che presa nel vortice di tanto entusiasmo tu finissi per abbracciare anche l'insofferenza dei pitagorici per la disarmonia del reale.  Può darsi che la tradizione, secondo la quale Pitagora impegnò con solenne giuramento i suoi seguaci a non divulgare all'esterno la scoperta dei numeri irrazionali, sia solo una malevola invenzione; e che sia pura calunnia che egli abbia fatto assassinare quel tipo che non aveva rispettato tale impegno. (14)  Ma, se pure l'aneddoto è frutto di una velenosa denigrazione dei suoi detrattori, a me sembra bene indovinato: perché quando si abbraccia l'ordine come categoria assoluta (e non, invece, come legittima esigenza interiore), s'imbocca una strada quanto mai pericolosa, che non si può sapere a quali estremi di rabbioso irrazionalismo può condurre. E ciò, guarda caso, quale pena del contrappasso per una smodata sete di razionalità del reale.

      Allo stesso modo, lodo il tuo entusiasmo nell'estrarre, dall'apparente disordine della natura, esempi su esempi di leggi matematiche: i fiocchi di neve, le celle dell'alveare, le linee di accrescimento dei vegetali e così via, passando per il rapporto di Fibonacci e il "numero d'oro". Mi meraviglio solo che tu non abbia citato i cristalli dei minerali, a cominciare dal d a tavola, per arrivare al fatto che in natura esistono cinque e soltanto cinque solidi regolari: il tetraedro, l'esaedro (o cubo), l'ottaedro, il dodecaedro e l'icosaedro (solido con venti facce triangolari). Perché questi cinque?, si chiesero i matematici di tutti i tempi. Finché Keplero, il grande astronomo del XVI secolo, teorizzò che essi fossero inscritti in sei sfere concentriche, dalla Terra a Saturno (il pianeta più esterno allora conosciuto) e dalla Terra a Mercurio (il pianeta più interno). (15)  Idea ingegnosa: peccato che le sfere di Keplero non seguano affatto  le distanze dei pianeti dal Sole; senza contare che, dopo, si è visto che i pianeti del Sistema Solare non sono sei ma nove (o forse dieci, ancora non si è ben capito). In conclusione, se il nome di Johannes Keplero si è salvato alla sorte di essere ricordato come quello di un assurdo visionario, è stato per il fatto che egli ha "azzeccato" le tre leggi astronomiche che portano tuttora il suo nome. È stato, insomma, Darwin e Lamarck allo stesso tempo. Ha partorito la teoria giusta e quella sbagliata contemporaneamente.

      Perciò io ti invito a non voler vedere, nei meccanismi della natura, più matematica di quanta ve ne sia effettivamente; altrimenti finiremo come Keplero e, chiedendoci perché la distanza Terra-Luna sia di 384.000 chilometri, arriveremo alla conclusione che che essa è la radice quadrata della distanza tra la tua e la mia casa, divisa per centomila e moltiplicata per il numero dei giorni pari contenuti in un anno bisestile. Non so se mi sono spiegato…

    Scherzi a parte, e accogliendo l'invito alla conoscenza probabile e non presuntuosamente certa, contenuto nel passo di Cicerone (una citazione che ho apprezzato molto, perché in essa era difficile tracciare il confine tra la più abietta forma di piaggeria nei miei confronti e una garbata ma clamorosa presa in giro verso la mia manìa classicista), si arriva sempre alla stessa conclusione: tendiamo, un po' tutti, a vedere quel che abbiamo deciso di vedere, e a credere quel che abbiamo deciso di credere.

      Un esempio? Lo faceva E. Mach, armato di carta e matita. Prendi un foglio e disegna quel che vedi in questo momento, coprendoti un occhio con la mano. A lavoro finito, ti accorgerai di aver lasciato fuori qualcosa che certamente era all'interno del tuo campo visivo: l'arcata sopraciliare e la punta del tuo naso.Perché?  Perché hai disegnato non quel che vedevi, ma quel che "ti aspettavi" di vedere; o forse, quel che ti aspettavi che gli altri si aspettavano che tu vedessi.  Non le cose, dunque, ma i nostri pregiudizi su di esse.

     Allo stesso modo, se io chiedo a un esperto di letteratura cosa gli ricordi l'espressione "l'amante dell'orsa Maggiore", quasi certamente gli verrà in mente il capolavoro di Sergiusz Piasecki e non la celebre metafora di Cicerone: anche se, da buon latinista, la conosceva benissimo. (16)  E questo perché novantanove persone su cento avrebbero risposto così, e noi tendiamo sempre ad assumere il punto di vista della maggioranza, in maniera del tutto riflessa e istintiva, quando dobbiamo giudicare una questione secondo criteri il più possibile "oggettivi".

      Ma torniamo, e questa volta un po' più seriamente, alla presenza della matematica nella natura. In primo luogo ho notato (vedi l'importanza della comunicazione scritta, di cui oggi - nei rappoti interpersonali, si son quasi smarriti il valore e il piacere - che tu scrivi Natura con la "N" maiuscola.  Così facendo, inconsciamente ti sei già messa su una strada che, alla fine del tuo ragionamento, ti porta ad ipotizzare che la materia "obbedisca" a un piano rigorosamente razionale, e che il mondo non sia un prodotto del caso.  Perché, inconfessabilmente, quella "N" maiuscola contiene, in nuce, già la conclusione cui vorresti arrivare mediante il ragionamento e l'osservazione: che c'è un Disegnatore divino dietro il grande disegno della natura.

     Ora, io non voglio certo negare che molte figure e molte leggi matematiche siano riscontrabili nella struttura dei cristalli, nell'accrescimento dei vegetali, nella gravitazione degli astri. La conchiglia del nàutilo, per esempio (un mollusco che vive nei mari caldi) disegna una curva a spirale; e la "doppia spirale" è riscontrabile nella disposizione di moltissime galassie dell'Universo, tra cui la nostra. Allo stesso modo, è noto che la struttura dell'atomo, con il nucleo al centro e gli elettroni che orbitano attorno ad esso, richiama direttamente quella del Sistema Solare e d'infiniti altri sistemi planetari, presenti probabilmente nell'Universo. Tutto questo è affascinante: se sia frutto di coincidenze o di una ratio ben precisa, non lo so. Ma il punto essenziale, che a noi preme chiarire, è che il fatto che la natura sia descrivibile per mezzo di formule matematiche, non implica che essa sia stata pianificata da Qualcuno che conosceva la matematica. La matematica è una costruzione della mente umana, ossia di quella piccolissima parte della materia che si è trasformata in autocoscienza.

      L'affermazione secondo cui la matematica, o meglio gli enti della matematica, esistono di per sé, anche al di fuori della mente umana, è -a mio parere - tutta da dimostrare. Essa nasce da un equivoco linguistico, simile a quello che nasce dal paragonare il mondo a un orologio: perché è chiaro che un orologio esige un Orologiaio. Ora, io ti domando. Che cos'è un orologio? Un manufatto umano. Ecco svelato il "trucco": paragonare il mondo a un manufatto umano significa, per forza, presupporre che sia l'opera di una Mente in qualche modo simile alle menti umane. Ma questo sarà, casomai, quel che si voleva dimostrare e non può essere, pertanto, il presupposto del ragionamento.

      Allo stesso modo, Sandra, io ti domando: che co'è la matematica? Per me, nulla più che una creazione della mente umana; creazione che si è rivelata utile per descrivere e interpretare certi fenomeni della natura. Null'altro. Niente ci autorizza a immaginare un grande Matematico che costruisce (o, addirittura, che crea!) il mondo obbedendo a determinate leggi. Le "leggi" della matematica sono a posteriori, appunto perché descrittive; non sono intelligenti perché informano di sé la materia, ma perché consentono di leggerla in maniera razionale.

     Io non penso che, per te, le api conoscano la geometria e costruiscano le cellette a forma esagonale, con angoli di 120°, per obbedire ad essa. Del pari, permettimi di dubitare che qualche Piano preordinato suggerisca alle api l'istinto di costruire i loro alveari proprio in quel modo. Le operaie trovano istintivamente la "strada" giusta per costruire la forma geometrica più utile e funzionale ai loro scopi (immagazzinare la maggior quantità di miele possibile), e nessun Direttore le guida, o le predispone, o se ne serve: nessuno tranne il famoso principio di auto-conservazione.  (18)  Che non è un Principoio tascendente la materia (con la "P" maiuscola), ma la modalità stessa di evoluzione della materia (vivente, in questo caso).

      Lo so di averti delusa: perché, dietro le tue parole scherzose, forse si celava un autentico desiderio di vedermi deporre, almeno una volta, la corazza dello scetticismo e del materialismo. Che posso farci? Ognuno deve recitare onestamente il proprio ruolo: a te quello di guardare il mondo con stupore e con fede, in un continuo scoppiettìo di brillante impertinenza; a me, quello del pompiere che spegne gli incendi e gli entusiasmi, che dice sempre no.

      Ma la realtà è che, in questo gioco delle parti,  ci stimoliamo a vicenda. Restando fedeli a noi stessi, ci aiutiamo assai più che se "decidessimo" di cambiare. Cosa che, secondo Schopenhauer (ricord?) è di fatto impossibile. (19) Insomma, se io diventassi "credente" (e tu, magari, scettica) temo che ci annoieremmo a morte: non c'è niente di più noioso di uno scettico convertito alla fede, salvo forse un credente convertito allo scetticismo.

 

 

2a)  SANDRA A GIULIANO, 30 giugno.

 

      Sì, mio caro; va bene quel che dici sul gioco delle parti. Ma il gioco è ancora più complesso di quel che tu non creda. Giuliano è l'ateo, lo scettico, il materialista; ma anche, sotto sotto, il religioso, l'idealista, lo spiritualista: o, almeno, una parte profonda di lui vorrebbe esserlo.  Sandra è l'ottimista, la scoppiettante, l'ironica; ma il suo lato nascosto è portato al pessimismo, alla gravitas,  perfino alla malinconia.

 

     Veniamo alla matematica. Tu affermi, senza però sforzarti di dimostrarlo, che essa è unicamente una creazione della mente umana, e che i suoi enti non hanno altra realtà fuori di quella della mente che li concepisce. In realtà, credo che i filosofi abbiano dibattuto a lungo la questione, (20)  Non è da qui che Husserl ha preso le mosse per elaborare l sua filosofia "fenomenologica", distaccandosi dal suo vecchio maestro Brentano? (21)  Ma lasciamo perdere Husserl e tutti gli altri, e proviamo a camminare con le nostre gambe. "Infine, anch'io sono pittore!", diremo: senza albagia ma anche senza eccessiva soggezione verso i grandi della filosofia.

      Dunque, ti chiedo: il concetto di numero è dentro o fuori della mente umana? Io non credo si possa onestamente sostenere che è "dentro". La mia mano, con cui ora sto scrivendo, ha cinque dita: il numero cinque, dunque, esiste di per sé, che a me piaccia o no. Tu obietterai: esiste il numero cinque, ma non il concetto di cinque; perché quest'ultimo, base della maematica, è un'astrazione. Non i numeri, tu dirai, ma la concettualizzazione dei numeri è all'origine della matematica; essa procede non per enumerazione, ma per astrazione. Il matematico non "conta" i numeri presenti nella natura, ma li "idealizza" attraverso un'operazione mentale. In questo modo e solo in questo modo ha "inventato", accanto ai numeri naturali, i numeri interi negativi (per la "natura" esistono solo quelli positivi: esiste + 1, ma non esiste- 1); e poi, via via, i numeri razionali, i numeri reali ed i numeri complessi (per non parlare dello zero).

      Risposta: se la mettiamo così, io ti dirò che non solo la matematica, ma tutto il reale - nel momento in cui ci poniamo di fronte ad esso - è "dentro" e non "fuori" della nostra mente.  Una mente passiva, una mente "in potenza" non esiste: esistono solo le menti concrete, e le menti concrete non possono che interagire con gli altri reali. Un occhio umano, me lo hai insegnato tu nell'ultima lettera, non registra passivamente quello che "vede": lo seleziona. Dunque, nel mondo delle menti reali una sedia non è mai una sedia e basta, è piuttosto il concetto di sedia: un ente con determinate caratteristiche (quattro gambe, un piano per sedile, uno schienale) che, da reali, divengono ideali per il fatto di subire un processo di universalizzazione. Così, quando io e tu diciamo "sedia" , non intendiamo questa o quella sedia in particolare, ma la sedia in generale, la sedia in astratto.

     Ebbene, per il concetto di numero è la stessa cosa: quando tu o io diciamo "uno" non pensiamo a una matita o a un paio di forbici o a un litro di latte: pensiamo al concetto di singolarità, anche senza volerlo. Dunque è vero che la matematica, a rigor di termini, è una creazione astratta della mente umana: ma la stessa cosa si può dire con altrettanta verità di un qualunque ente pensabile. Dico "pensabile" e non "reale" perché io posso enunciare molte cose che non esistono "realmente" (cioè fuori della mente): chimere, uccelli parlanti, uomini con tre gambe e via dicendo. La tua, dunque, non mi sembra un'obiezione valida.

       Ma le "leggi"della matematica, dirai tu, quelle sì sono un evidente prodotto della mente umana, un "manufatto" utile per misurare, e nulla più.  Be', esaminiamo un po' più da vicino la questione. Secondo il teorema di Pitagora, per esempio, in un triangolo rettangolo la somma dei quadrati dei due cateti è uguale al quadrato dell'ipotenusa. Questa è una proprietà della geometria, ed è chiaro che è sata la mente umana a scoprirla. Un'altra proprietà della geometria è che la somma degli angoli di un triangolo dà sempre e comunque 180 gradi. E ora vediamo in che modo la mente umana ha saputo utilizzare questa proprietà per accrescere la sua conoscenza della natura.

      Nel 1751 l'astronomo francese La Caille si trovava nell'Africa meridionale, a Città del Capo: c'era andato per studiare i cieli dell'emisfero Sud, e a lui dobbiamo quegli orribili nomi di costellazioni che tolgono ogni alone di poesia a quelle sfortunate costellazioni: Microscopio, Reticolo, Sestante, Macchina Pneumatica e così via (come hai detto, una volta?, mi pare: "sì, ne convengo, questo è il volto brutto dell'Illuminismo").

      Per fortuna La Caille, una volta che si trovava laggiù, sulla Montagna della Tavola, ha fatto anche qualcosa di utile: una semplice triangolazione col collega Lalande, che si trovava a Berlino, e che gli ha permesso di stimare esattamente la distanza Terra-Luna (peraltro conosciuta già, con una certa approssimazione, da duemila anni). Sapere che la somma degli angoli di qualsiasi triangolo è sempre, esattamente, 180° significa che, conoscendo gli angoli A e B, possiamo calcolare l'angolo C. Dunque La Caille, da Città del Capo, e Lalande, da Berlino, calcolarono i rispettivi angoli A1 e B1 partendo dalle rispettive posizioni; poi calcolarono gli angoli A2 e B2 misurando, rispettivamente, l'altezzza della Luna sui loro rispettivi orizzonti.  Così, ti faccio lo schizzo. [Nel teso dei Quaderni vi sarà a questo punto l'illustrazione: si può intanto confrontare G. RUGGIERI, La Luna, Milano, 1968, pp. 40-41]. Sommati rispettivamente gli angoli A1 con A2 e B1 con B2, e trovati gli angoli A e B, è stato facile dedurre l'ampiezza dell'angolo C e, di conseguenza, l'altezza CH, che è la distanza Terra-Luna. (22)

      Perché ti ho voluto fare questo esempio? Per dimostrarti che la distanza Terra-Luna, calcolabile col sistema della triangolazione, esisteva da sempre, indipendentemente dalla capacità umana di calcolarla e dall'umana conoscenza delle leggi matematiche.. Io non ho mai inteso dire che l'Universo obbedisce alle regole della matematica (o della geometria), ma che esso, indubbiamente, risponde a tali regole, e quindi è comprensibile a partire dalle loro categorie. C'è una intelligenza, in tutto questo: non vi si vede l'opera del caso, ma di una forza che esprime rigore matematico, dunque volontà intelligente.

      Da tutto questo mi sembra legittimo dedurre che ci troviamo in un mondo razionale, nel quale la mente umana non si sente sola e smarrita, ma si sente "affine" a quella razionalità che si esprime nella natura. Intuisce, cioè, una sorta di parentela tra le sue facoltà intelligenti e le proprietà insite nellamateria di cui è fatto il mondo. Una materia che non è, evidentemente, pura e semplice res extensa, come pensava Cartesio. (23)  Se in questa materia si possono riconoscere delle leggi matematiche, delle proporzioni e dei rapporti armoniosi e "utili" per la materia stessa (come le leggi di accrescimento dei vegetali), ciò significa che essa non è opera del caso e che "parla" un linguaggio accessibile alla nostra intelligenza. Non voglio scomodare il principio antropico, ma è chiaro che diventa legittima l'ipitesi che la materia si sia evoluta come si è evoluta, proprio perché essa, diventata autocosciente, potesse comprendersi.

      Per questo sono arrivata alla conclusione che, forse, Leibniz non aveva torto, e che noi viviamo davvero nel "migliore dei mondi possibili" (che non è, bada bene, un'affermazione necessariamente trionfalistica: potrebbe semplicemente voler dire. "il meno peggiore").

 

       Tu dici sempre che la cosa più notevole che l'uomo possa fare nel corso della sua (secondo te, inutile) vita, è quella di capirsi e rivelarsi sé stesso. Ebbene, io ti propongo un modello di evoluzione del mondo basato esattamente sullo stesso principio: una materia che gradualmente, faticosamente arriva a riflettere su sé stessa, a prendere coscienza della propria realtà, a "guardarsi dentro" senza veli né malintesi. Ti pare poco? Riflettici, vecchio mio: ne vale la pena. Quanto a me, non riesco a pensare nulla di più armonioso, nulla di più elevato, nulla di più prefetto di questa dinamica che porta la sostanza di cui è fatto l'Universo a ripiegarsi sul mistero di sé stessa, in pensoso e devoto raccoglimento.

      Vorrei poterti comunicare un po' di questa esaltante sensazione! Pensaci su, e non essere incredulo, ma credente. (24) Vale atque vale, Giuliano: ti penso e sento la tua mancanza, forse più di quanto non t'immagini.

 

 

2b)  GIULIANO A SANDRA, 3 luglio.

 

      Carissima, oggi sono io che desidero raccontarti un mito o, se preferisci, una semplice favoletta.

     Un giorno Odisseo, dopo aver molto navigato su mari sconosciuti, giunse ad un paese straniero. Là, come l'indovino Tiresia gli aveva a suo tempo vaticinato, incontrò uomini che scambiaronoil suo maneggevole remo per un ventilabro, non avendo essi mai visto il mare, né mai mangiato cibi conditi col sale, né mai veduto navi o remi. (25)  Che cosa significa questo? Episodio misterioso. Fiumi d'inchiostro sono stati versati dagli studiosi di Omero sulla faccenda del ventilabro. (26)  Io, però, non voglio parlarti del ventilabro: quello che m'interessa è il remo. Un remo serve per remare: ma coloro che non hanno mai visto il mare, né un'imbarcazione; che non hanno alcuna nozione dell'acqua o dell'arte di navigare, non possono capire in alcun modo che cosa sia o a che cosa serva. Ma pochè è nella natura della mente umana di voler  riempire tutti gli spazi, di non accettare il vuoto (gli antichi parlavano di horror vacui), ecco che per il remo viene fornita una "spiegazione" pronta e soprattutto "logic": è un ventilabro. Serve, cioè, a spargere al vento le sementi sull'aia, in modo a separarela pula dal grano.

     Capisci cosa voglio dire? La mente, a posteriori,  trova sempre il modo di razionalizzare il reale. Per l'appassionato di ufologia, il rapimento in cielo del profeta biblico Elia è chiaramente opera di un un velivolo extraterrestre. (27)  Analogamente (e a differenza dell'etnologo), per lui c'è una sola spiegazione al fatto che il popolo africano dei Dogon conosceva l'esistenza della stella Sirio B, invisibile ad occhio nudo: l'informazione deve essere di origine extraterrestre, probabilmente mediata dai sacerdoti dell'antico Egitto. (28) Per il cultore di Atlantide, i passi di Platone che vi si riferiscono non narrano un mito poetico, ma (a dispetto delle acquisizioni della geologia e, in particolare, della tettonica a zolle), sacrosanta verità storica. (29)  E per chi crede nella realtà della demonologia, i diavoli non sono solo una meafora del male, ma spiriti antropomorfi, capaci perfino di insidiare donne mortali, uccidendone per gelosia i mariti. (30) Rocce sottomarine dalle forme insolite sono i resti di antiche costruzioni sommerse. (31) Teschi di dinosauro attestano l'esistenza dei draghi, e così via. (32) Non si vede, ti ripeto, quello che c'è, ma quello che si è "deciso" di vedere. Anche vari esperimenti della psicologia percettiva lo dimostrano. Hai presente quel disegno in bianco e nero che si può "vedere" ora come un recipiente, ora come due profili contrapposti di volti umani; oppure quello che appare alternativamente come una giovane ragazza o come una vecchietta rugosa? (33)

       Tu dici che la triangolazione effettuata da La Caille e Lalande nel 1751 dimostra che determinati princìpi matematici sono insiti nella struttura dell'Universo. Non ho obiezioni da fare in proposito, a patto che tu convenga con me che quei princìpi sono comunque il frutto di una speculazione della mente umana e che si possono applicare tanto alla geometria in astratto, quanto a qualsiasi altra realtà esistente, laddove si dimostrano efficaci. Per esempio io posso trovare, per mezzo di una triangolazione, la distanza del mio comodino dalla parete di fondo della mia camera da letto: basta che conosca gli angoli che giacciono alla base del triangolo formato dal comodino, dalla porta e dalla finestra. Non occorre che vada a misurare col goniometro l'angolo che ha il suo vertice nel mio comodino, come La Caille e Lalande non dovettero andare fin sulla Luna per realizzare i loro calcoli. Ma spero non vorrai sostenere che questo metodo di calcolo delle distanze sottende una forma di intelligenza attiva da parte del comodino, o della porta, o della finestra della mia camera. Capisci  che cosa voglio dire?

      "Il mondo è pieno di dèi", diceva Talete. (34)  Il mondo è anche pieno di razionalità, se vogliamo misurarlo con gli strumenti della matematica. Se, viceversa, decidiamo di valutarlo dal punto di vista del cosmologo, diremo che è pieno di galassie; se dal punto di vista del fisico, che è pieno di forze;  se dal punto di vista del poeta, che è pieno di mistero. Ciascuno ha ragione, dal suo punto di vista; ciascuno "vede" quel che vuole vedere in base alla propria esperienza, alle proprie aspirazioni, al proprio bisogno di ordine e di coerenza.

       Tu, a questo punto, dirai che esagero con la reductio ad absurdum dei tuoi argomenti, e che non ti sei mai sognata di dire che  Plutone, ad esempio, ha "deciso" di occupare la propria orbita in base ai calcoli di quegli astronomi che ne avevano predetta l'esistenza e la posizione, semplicemente studiando le anomalie nell'orbita di Nettuno. (35) E hai ragione. Solo che quando tu parli della razionalità che il linguaggio matematico rivela (e che invece è, quest'ultimo, opera esclusiva della nostra mente), non ti accorgi del filo sottilissimo che separa le due affermazioni: che con la matematica si può descrivere la natura (vera) e che il mondo ha una struttura matematica (falsa). Tu mi ribatterai che è ben arduo distinguere la matematica come forma di conoscenza (della mente) e come forma dell'Universo (come cosa in sé). E io, a mia volta, ti oppongo che l'effetto non può precedere la causa: la mente è l'effetto, e la matematica una sua creazione; il mondo, o meglio la sua evoluzione, è la causa della mente. Ergo, la matematica non può procedere dalla materia, non più di quanto il Sole possa procedere dalla luce; bensì la luce, dal Sole.

      Secondo te, le leggi della matematica non sono soltanto nella nostra mente, ma appartengono alla materia: ne sono, per così dire, una proprietà. Io credo, invece, che la matematica ci consenta di misurare alcuni fenomeni della natura, come un raggio di Sole che entra dal buco della serratura per illuminare un minuscolo angolo della cantina. Ma guai a confondere la cantina con quell'unico, esile raggio di Sole! Sono troppe le cose che non sappiamo, per poter sopravvalutare la natura e la portata della matematica. Non  sappiamo neppure se, nell'Universo, vi sia antimateria quanta materia e, più in generale, fino ache punto vi siano rispettate le leggi della simmetria. (36) Che altro? Utilizziamo pure la matematica, finchè ci aiuta a gettare un fascio di luce sul mistero el mondo. Ma non illudiamoci che la natura debba sentirsi obbligata a rispettare le leggi matematiche (così come a noi sembra di averle comprese), solo per fare un piacere al nostro bisogno di un ordine razionale. E poi, quali leggi? Tu mi hai citato il teorema di Pitagora, facendo impicito riferimento alla geometria euclidea. Ma lo spazio-empo einsteniano è curvo,  dunque non-euclideo: perciò, nell'Universo, possono esservi benissimo dei triangoli rettangoli che non rispettano il teorema di Pitagora.

     Ti faccio un semplicissimo esempio, e senza scomodare lontani e ipotetici universi non-euclidei; anzi, ti pongo un indovinello. Un cacciatore parte dal suo accampamento e procede per 2 km. a sud e per 2 km. a est, uccide un orso e torna al campo con la pelle, percorrendo ancora 2 km. in direzione nord. Ora dimmi, di che colore è l'orso? (37)  Tu penserai: e che c'entra il colore dell'orso? Ma poi rifletterai che solo gli orsi bianchi vivono al Polo Nord, e che solo partendo dal Polo Nord si può tornare al punto di partenza descrivendo un triangolo del perimetro di 6 km., secondo le indicazioni di cui sopra. Se tu parti a una latitudine diversa da quella di 90°, non tornerai affatto al punto di partenza.

      Eppure...; basta, non ti dico altro. E non avere fretta di rispondere: un'altra soluzione c'è.

      Per intanto, volevo richiamare la tua attenzione sul fatto che la situazione A (al Polo Nord) e la situazione B (a Parigi), pur essendo identiche quanto al giro che deve compiere il cacciatore, aprono la possibilità di due soluzioni completamente diverse. Dunque, vedi che le leggi matematiche sono relative al particolare spazio-tempo in cui sono contestualizzate. Ora ti chiedo: Dio è euclideo o non-euclideo? Oppue, come Einstein, è euclideo a livello microcosmico, e non-euclideo a livello macrocosmico?

 

     Perdonami, Sandra, queste battute di gusto forse un po' scadente. Il fatto è che non riesco a capire perché tu ci tenga tanto a fondare l'ordine del mondo su un presupposto esterno ad esso. E la ragione, come tu la concepisci (e assodato che non è lo Spirito degli idealisti, che so che disprezzi quanto me) è talmente un qualcosa di esterno, forse addirittura di anteriore. Perchè non ti guardi dentro e non vuoi vedere la bellezza che è in te? La tua onestà interiore, il tuo bisogno di verità, la tua generosità bastano e avanzano per dare un senso compiuto alla tua vita. Che t'importa se il mondo è frutto del caso o di un piano ben preciso? Tanto, nessuno sforzo della mente umana arriverà mai a svelare un tale arcano. Questa è una "finestra" che non riuscirai ad aprire, per quanti sforzi tu faccia. Ti resta un'altra strada, casomai: abbandonati all'istinto che ti "dice" che il mondo è frutto di un "ordine altamente sofisticato" (38), non resistere alla fede che è in te. Ed esclama anche tu:

       "Quando contemplo i tuoi cieli, l'opera delle tue dita,

        la Luna e le stelkle da te disposte,

        che è l'uomo da ricordarti di lui,

        o il figlio dell'uomo da visitarlo?

        L'hai fatto di pocpo inferiore agli angeli,

        l'hai coronato di maestà e di gloria,

        l'hai costituito sopra l'opera delle tue mani." (39)

 

      Anch'io sento la tua lontananza. "Amabo te, eodem ad me, cum revertere". (40)

 

 

3a)  SANDRA A GIULIANO, 7 luglio.

 

      Caro Giuliano, ecco come fa il nostro cacciatore. Parte da un punto nei pressi del Polo Sud: avanza a sud per 2 km., a est per 2 km. (descrivendo un giro completo attorno all'asse terrestre), e torna al punto di partenza camminando verso nord, in modo da procedere parallelo al tratto iniziale.

     Tu stesso mi hai sugerito la soluzione, quando hai affermato che partendo da una latiutudine diversa da 90°, non sarebbe riuscito a tornare al punto di partenza. Ora, vi sono due punti della superficie terrestre che si trovano a 90 gradi di latitudine: il Polo Nord e il Polo Sud. Rispetto al primo, tutti gli altri sono a sud; rispetto al secondo, sono tutti a nord. E dopo aver giocato con le coordinate geografiche, gli orsi bianchi (che, però, non vivono al Polo Sud) e le geometrie non euclidee, vengo subito al tuo buffo e tuttavia commovente invito a esplicitare la mia fede: buffo, perché lanciato da un ateo; commovente, perché sincero. L'ho preso come un'allegra provocazione, e te ne sono grata. Anche se, pur "sentendo" la presenza di un ordine soprannatuale, faccio fatica a collocarmi in una religione rivelata, ho colto lo spirito del to appello, e lo faccio mio.

      Del resto, se mai dovessi gettarmi nelle braccia di una fede, certamente sceglierei la cristiana: la più alta e nobile vetta toccata dallo spirito umano nella sua ansia bruciante di verità e vita. Sì, in questo mi riconosco nelle parole di san Paolo: perché credo che siamo stati fatti per la vita, non per la morte.

      "Io tengo per certo che i patimenti del tempo presente non sono da paragonarsi alla futura gloria che sarà manifestata in noi. Difatti, la creazione sta ansiosamente aspettando la rivelazione dei figli di Dio." (41)

 

      Aspettami, ho quasi sbrigato le mie faccende e intendo partire quanto prima possibile. Tornerò presto, molto presto.

      Sono impaziente di rivederti.