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Legge Gozzini?

di Massimo Fini - 06/10/2007

La tentazione di dare addosso al magistrato che ha scarcerato un criminale autore poi di un altro delitto è forte, automatica, quasi inarrestabile. Accade così dappertutto, ma non è accettabile un giudizio sommario, senza avere prima esaminato approfonditamente il problema.
Certo, formula re un'attendibile prognosi per il futuro comportamento di un uomo è impresa difficile, quasi sovrumana. In realtà si tratta poco meno che di una scommessa. L'errore è dietro l'angolo, e ogni giudice, anche il più esperto e scrupoloso, può incapparvi, con o senza colpa. Eppure proprio in queste condizioni si trovano tutti i giudici della Magistratura di Sorveglianza, che, per legge , devono concedere o negare i cosiddetti benefici penitenziari. Questi si basano tutti su una prognosi benevola : il giudice li concede solo se si convince che in base all'esame del percorso di rieducazione compiuto, il condannato può essere utilmente riammesso nel consorzio civile, in tutto o in parte.

Naturalmente la legge fissa i presupposti e le specifiche condizioni per ogni istituto, ma il punto decisivo resta sempre lo stesso: il corretto comportamento del condannato da cui sia possibile desumere la prognosi di cui prima si diceva e che, a sua volta, dovrebbe evidenziare una sorta di redenzione morale o di avvenuto riscatto sociale.Si sa però che l'animo umano è sostanzialmente insondabile, e a volte capita che il condannato mantenga un comportamento assolutamente ineccepibile in carcere e fuori ma solo per beneficiare degli istituti previsti dalla legge , salvo poi a confermarsi con i fatti malvagio, inguaribilmente malvagio.

Ovviamente è da scartare la risposta che il giudice salvi i casi di sicurezza assoluta della conquistata redenzione (ipotesi, in realtà, meramente teorica) debba sempre negare il beneficio. Sarebbe come abrogare interi istituti che si pongano su un principio costituzionale che è basila re nel nostro ordinamento: quello che la pena deve tendere alla rieducazione del colpevole.

Né si può ignorare che i benefici penitenziari sono stati in passato e sono ancora oggi assolutamente decisivi per assicurare il governo del carcere. Prima del 1975 le rivolte in carcere erano all'ordine del giorno. Da quando è in vigore la cosiddetta legge Gozzini (da cui derivano i benefici di qui si parla ) i detenuti non si ribella no più ed anzi colla borano fattivamente. Il motivo è evidente: hanno interesse a conseguire i benefici, ma in tal modo colla borano anche all'ordine e alla sicurezza degli istituti.Tutto questo non toglie però che il magistrato possa sbagliare. Come tutti. Ma per saperlo in concreto, occorre controlla re i rapporti e le informative degli esperti e della direzione carceraria perché è proprio su tali documenti che il giudice formula la diagnosi e la prognosi. Nel caso del brigatista direi di più: aveva scontato 25 anni e per ottenere la semilibertà, almeno teoricamente ne bastano venti. Anche l'ergastola no dopo 26 anni può (non deve) uscire per effetto della liberazione condizionale. In base all'esperienza non sembrano esservi errori marchiani visto che si tratta di un beneficio minore ottenuto molto tempo dopo il periodo minimo previsto dalla legge .

Sarebbe però il caso di rendere pubblica tutta la documentazione di base. Forse scopriremo davvero che il giudice ha sbagliato, o forse dovremo ammettere che si è comportato con buon senso, equanimità e prudenza.

Anche un giudice ha diritto al beneficio del dubbio, se il caso non è chiaro, ma sono sicuramente da evitare i giudizi frettolosi, sommari. In un senso o nell'altro. Altro discorso è quello della legge . Se la si vuole cambiare la si cambi ma il giudice deve sottostare appunto alla legge finché è tale.