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Le tre influenze della natura materiale

di Francesco Lamendola - 07/10/2007

 

Il capitolo quattordicesimo della Bhagavad-Gita è interamente dedicato ad illustrare la dottrina delle tre influenze materiali (gunah) sulla vita degli esseri umani: virtù, passione e ignoranza; e sulle conseguenze che esse hanno per l'anima. Tale dottrina presenta alcune analogie con il mito platonico della biga alata, esposto nel Fedro e così riassunto da Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero (Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia, 1986, vol. 1, p.131):

 

"L'anima (…) è simile ad una coppia di cavalli alati, guidati da un auriga: l'uno dei cavalli è eccellente, l'altro è pessimo, sicché l'opera dell'auriga è difficile e penosa. L'auriga cerca di indirizzare nel cielo i cavalli al seguito degli dei, verso la regione sopraceleste (iperuranio) che è la sede dell'essere. In questa regione sta la 'vera sostanza', priva di colore e di forma, impalpabile, che può essere contemplata solo da quella guida dell'anima che è la ragione, la sostanza che è l'oggetto della vera scienza. Questa sostanza è la totalità delle idee (giustizia in sé, temperanza in sé, ecc.): Ma essa può essere contemplata solo per poco dall'anima che è tirata in basso dal cavallo balzano,.

"Ogni anima perciò contempla la sostanza dell'essere più o meno, e quando per oblio o per colpa s'appesantisce, perde le ali e s'incarna, va a vivificare il corpo di un uomo che sarà tale e quale essa lo rende. L'anima che ha visto di più va nel corpo di un uomo che si consacra al culto della sapienza o dell'amore; quelle che hanno visto di meno s'incarnano i uomini che sono via via più alieni dalla ricerca della verità e della bellezza. .."

 

Non sappiamo se un'eco delle dottrine contenute nel Mahabaratha, di cui la Bhagavad-gita è la parte più conosciuta (e, forse, più splendida). non sia giunta fino in Occidente e, magari attraverso l'orfismo e il pitagorismo, non sia entrata nell'orizzonte speculativo di Platone. Ad ogni modo, Krishna dice ad Arjuna, sul campo di battaglia di Kuruksetra, che la natura materiale è la risultante di tre influenze: virtù, passione e ignoranza; e che gli esseri viventi, venendo a contato con la pakrti o natura materiale, sono inevitabilmente condizionati da esse. Le loro vite successive saranno pertanto la diretta conseguenza del modo in cui hanno subito tale condizionamento: andranno fra i grandi saggi, sui pianeti celesti, coloro che hanno subito l'influenza della virtù (sattvam); fra coloro che si dedicano ai frutti dell'azione, sui pianeti terrestri, coloro che hanno subito l'influenza della passione (rajah); fra gli animali e addirittura nei regni infernali, coloro che si sono lasciati dominare dall'ignoranza (tamah).

 

 

“Dio, la Persona Suprema, disse: - Ti esporrò di nuovo questa saggezza suprema, la conoscenza più elevata, grazie alla quale tutti i saggi hanno raggiunto la perfezione suprema.

“Restando fissi in questa conoscenza si può raggiungere la natura trascendentale, che è simile alla Mia. Allora non si nascerà più al momento della creazione né si resterà turbati al momento della dissoluzione.

“La sostanza materiale nella sua totalità, detta Brahman, è la fonte della nascita, ed è questo Brahman che Io fecondo rendendo così possibile la nascita di tutti gli esseri viventi, o figlio di Baharata.

“Sappi, o figlio di Kunti, che la vita di tutte le specie è resa possibile dalla nascita in questa natura materiale, e Io sono il padre che dà il seme.

“La natura materiale è formata da tre influenze: virtù, passione e ignoranza (sattvam, rajah, tamah). O Arjuna dalle potenti braccia, quando l’essere vivente entra in contatto con la natura materiale subisce il condizionamento di queste tre influenze.

“O Arjuna senza peccato, sappi che l’influenza della virtù (sattvam), la più pura delle influenze materiali, illumina l’essere e lo libera dalle conseguenze di tutti i peccati. Chi è sotto il suo influsso sviluppa conoscenza, ma diventa condizionato dal senso di felicità che esso procura.

“L’influenza della passione (rajah) nasce da desideri illimitati e ardenti, o figlio di Kunti. Essa lega l’anima incarnata all’azione materiale e ai suoi frutti.

“O discendente di Bharata, sappi che l’influenza delle tenebre (tamah), nata dall’ignoranza, è causa d’illusione per tutti gli esseri incarnati. La pazzia, l’indolenza e il sonno, che legano l’anima condizionata, sono il risultato di questa influenza.

“O  discendente di barata, la virtù condiziona l’uomo alla felicità, la passione lo condiziona ai frutti dell’azione, e l’ignoranza, coprendo la conoscenza, lo vincola alla pazzia.

“Talvolta l’influenza della virtù prevale e sconfigge l’influenza della passione e dell’ignoranza. Talvolta è l’influenza della passione a sconfiggere virtù e ignoranza, e altre volte l’ignoranza sconfigge virtù e passione. Così, o discendente di Barata, questa lotta per il sopravvento non ha mai fine.

“Quando tutte le porte del corpo umano sono illuminate dalla conoscenza, si possono sperimentare gli effetti della virtù.

“O capo dei Bharata, quando vi è un incremento della passione, si sviluppano i sintomi di un grande attaccamento, si moltiplicano le attività interessate e gli sforzi intensi, i desideri incontrollabili e le aspirazioni ardenti.

“Quando l’ignoranza cresce, o figlio di Kuru, si manifestano le tenebre, l’ozio, la pazzia e l’illusione.

“Chi muore sotto l’influenza della virtù raggiunge i pianeti superiori, i pianeti puri dove vivono i grandi saggi.

“Chi muore sotto l’influenza della passione rinasce tra coloro che si dedicano all’attività interessata; chi muore sotto l’influenza dell’ignoranza rinasce nel regno animale.

“L’azione compiuta in virtù, l’azione pia, porta alla purificazione, quella compiuta in passione porta alla sofferenza, mentre l’azione compiuta in ignoranza porta alla stupidità.

“Dalla virtù si sviluppa la vera conoscenza, dalla passione si sviluppa l’avidità e dall’ignoranza si sviluppano la stupidità, la follia e l’illusione.

“Le persone situate nella virtù si elevano gradualmente ai pianeti superiori, le persone dominate dalla passione vivono sui pianeti terrestri, e coloro che subiscono il condizionamento ignobile dell’ignoranza scivolano nei mondi infernali.

“Quando in ogni azione si comprende con chiarezza che sono soltanto le influenze della natura materiale ad agire, e che Io, il Signore Supremo, le trascendo, allora si raggiunge la Mia natura spirituale.

“Quando l’essere incarnato è in grado di superare queste tre influenze che accompagnano il corpo, si libera dalla nascita, dalla morte, dalla vecchiaia e dalle sofferenze che ne derivano, e può gustare il nettare in questa vita stessa.

“Arjuna chiese: - Mio caro Signore, da quali sintomi si riconosce colui che ha già superato le tre influenze materiali? Come si comporta e in che modo le trascende?

“Dio, la Persona Suprema, disse: - O figlio di Pandu, chi non prova avversione per l’illuminazione, l’attaccamento e l’illusione, né prova desiderio per queste cose in loro assenza; chi non vacilla né si lascia turbare da tutte queste reazioni causate dalle influenze materiali, ma resta neutrale e trascendentale sapendo che sono soltanto queste influenze ad agire; chi si situa nel sé e guarda con equanimità il piacere e la sofferenza; chi considera dello stesso valore la zolla di terra, la pietra e l’oro, chi è equanime verso ciò che è desiderabile e ciò che non lo è, chi è stabile, equilibrato di fronte all’elogio e al rimprovero, di fronte all’onore e al disonore, chi tratta con imparzialità l’amico e il nemico, e ha rinunciato a ogni attività materiale – di questa persona si può affermare che ha trasceso le influenze della natura materiale.

“Chi s’impegna completamente nel servizio devozionale, senza deviare in nessuna circostanza, trascende subito le tre influenze della natura materiale e raggiunge il livello del Braman.

“Io sono la base del Brahman impersonale, che è immortale, imperituro, eterno ed è la posizione costituzionale della felicità suprema.” (abbiamo seguito la traduzione di A. C. Bhaktivedanta Brabhupada, Ka Bhagavad-Gita così com'è, Firenze, Edizioni Bhaktivedanta, 1981).

 

Pur se vi sono evidente e significative analogie, una importante differenza fra il mito platonico della biga alata e la dottrina esposta nella Bhagavad-Gita è che, in quest'ultima, tutte e tre le influenze materiali, non solo la seconda la terza, ma anche la prima, ossia la virtù, creano condizionamento e, di conseguenza, legano l'anima invece di scioglierla e liberarla verso l'Essere. Più precisamente, l'ignoranza lega l'anima alla follia (illusione), la passione ai frutti dell'azione (desideri ardenti, senso di attaccamento e desiderio di possesso), mentre la virtù al senso di felicità causato dalla vera conoscenza. Il senso di felicità non è certamente un genere di influenza negativa, ma è pur sempre una forma di dipendenza dal mondo materiale e, come tale, anch'esso lega l'anima al mondo, invece di liberarla. Le anime virtuose, infatti, non cessano di reincarnarsi, anche se ciò avviene nei pianeti superiori, popolati dai grandi saggi che hanno saputo estirpare dai loro cuori sia la passione che l'ignoranza.

Infatti Krishna dice chiaramente ad Ajuna che, per liberarsi dal ciclo delle rinascite e per giungere alla illuminazione definitiva già ora, in questa vita, è necessario liberarsi dall'influenza di tutte e tre le influenze materiali ed emanciparsi da ogni forma di desiderio: quello della illuminazione non meno di quello dell'attaccamento e dell'ignoranza. È un pensiero particolarmente profondo: il virtuoso odia e fugge l'ignoranza e le passioni ma, così facendo, è di nuovo risucchiato - senza che se ne renda conto - nell'orbita della dialettica desiderio-avversiome, felicità-infelicità, piacere-sofferenza. Invece l'anima, per spezzare le catene del condizionamento materiale, deve compiere un supremo movimento che consiste nel trascendersi e collocarsi, salda e sicura, nel cuore del Sé, donde può contemplare con assoluta equanimità le molteplici forme del desiderio e dell'attaccamento. Una volta collocatasi nel Sé, l'anima diventa perfettamente limpida e tranquilla, non più turbata da alcun residuo di influenza materiale: l'amico e il nemico, l'elogio e il rimprovero, l'onore e il disonore le si presentano con eguale distacco, essa nulla teme e nulla desidera (mentre l'anima "virtuosa" desidera la conoscenza e il senso di felicità che questa procura). In tal modo essa diventa un'anima divina e si fonde con l'anima di Dio: l'atman si fonde col Brahman e, tornando nella dimora dell'Essere, realizza pienamente la sua vocazione e il suo destino.

 

Si tratta di una dottrina di altissimo valore spirituale e che ricorda per più aspetti, oltre a quella platonica, sia la filosofia di Plotino, sia l'intuizione dei grandi mistici cristiani, Meister Eckhart per ricordare solo un nome (ma potremmo citare anche Santa Teresa d'Avila e mille altri).

Riportiamo adesso alla mente quanto già abbiamo esposto in precedenti lavori, ad esempio nell'articolo Ogni uomo è un viandante con la doppia cittadinanza, nel quale abbiamo sostenuto che, fin da quando viene al mondo, ogni essere umano si trova a vivere contemporaneamente su due distinti piani di realtà: quello del relativo e quello dell'assoluto; anche se, forse, è possibile che molti di noi non se ne rendano neppure conto. Molti di noi vivono la propria vita come avvolti in un denso e folle sogno: sono sotto l'influenza dell'ignoranza; altri si agitano in preda a desideri e timori senza fine, la cui radice è l'attaccamento e la volontà di possesso: essi sono sotto l'influenza della passione. Alcuni pochi, infine, si discostano da questi eccessi e perseguono il fine della conoscenza: ma anch'essi, sia pure su di un piano molto più elevato, sono ancora soggetti all'influenza del mondo materiale: cercano la gratificazione che deriva dal senso di beatitudine che la virtù porta con sé. E anche questo è uno stadio che deve essere superato. Desiderando la conoscenza e temendo gli effetti della passione e dell'ignoranza, senza accorgersene anche queste anime sono ancora inviluppate, per mille e mille fili, al mondo illusorio della materia.

 

Vorremmo concludere queste brevi riflessioni sulla dottrina dei tre gunah citando una frase di un  grande filosofo moderno: Friedrich Wilhelm Schelling.

Egli disse, una volta: «La brama di vivere sospinge le cose fuori dal loro centro». Ossia, le sospinge verso qualcosa che sta oltre di esse: ma, partendo dall'attaccamento esistenziale, è alquanto dubbio che possa spingerle verso il Sé, verso il compimento. Le spinge fuori di sé, ma sempre nella sfera del finito e del relativo: da ciò derivano ansia e sofferenza, senza possibilità di trascendersi ontologicamente. Le cose finite restano cose finite, solo con un ardente desiderio di andar oltre: il movimento spirituale che ne consegue non potrà essere, in ultima analisi, che una implosione. Il finito ricade sul finito, cioè su se stesso; il relativo ricade sul relativo. Questa, molto probabilmente, è - come bene aveva visto Julius Evola (cfr. Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo)  la radice ultima dello squilibrio psichico di Nietzsche.

 

"Nietzsche - egli scrive - ci si presenta come una figura tipicamente moderna, ci si presenta cioè come una personalità fortemente delineata, però completamente priva del senso, che la personalità stessa è solo l'espressione contingente di un superiore principio. Così in lui si è realizzata una specie di circuito chiuso nel quale la forza si accumula, si differenzia, si  esaspera e cerca disperatamente una liberazione.  Per le grandi tradizioni del passato Nietzsche non ebbe effettivamente quasi nessuna comprensione." Interessante, poi, il suo punto di vista sull'Oltre-uomo nietzschiano. "L'intima essenza del superuomo può (…) piuttosto definirsi come un'ascesi per l'ascesi stessa, come una estrema, quintessenziata accumulazione della volontà di potenza  intesa come valore e fine a sé stessa. Ma qualora si mantenga inflessibilmente questa direzione e, d'altra parte, si resti 'fedeli alla terra', cioè restino ferme le condizionalità proprie alla persona umana, la saturazione può avere per effetto un corto circuito, perché il potenziale che i 'figli della terra'  possono sopportare è limitato. Il Merezkovskij, a tale riguardo, ha una felice immagine: se gli esseri che, di balza in balza,  hanno raggiunto una vetta, senza saper volare vogliono portarsi oltre, avanzando precipiteranno nel baratro che si apre dopo la vetta."

 

Tendere al Sé, dunque, vuol dire accumulare e liberare energia psichica; ma è necessario che tale energia sia diretta verso l'assoluto, verso l'Essere, e non verso il piano del relativo; altrimenti ricadrà su sé stessa, generando ancora più attaccamento, ancora più condizionamento dalle influenze materiali, ancora più sofferenza.

Ecco perché l'autore della Bhagavad-gita insiste sul fatto che, per raggiungere la liberazione e l'illuminazione vera, è necessario sottrarsi all'influenza di tutti e tre i gunah, compresa la virtù. L'obiettivo, infatti, non è quello di creare un super-uomo (come lo era, appunto, per Nietzsche) ma qualche cosa che vada realmente al di là dell'uomo, rendendolo capace di guardare senza più desiderio né timore ogni aspetto della vita terrena. Quando l'essere umano sarà in grado di realizzare un tale trascendimento di sé stesso, allora sarà veramente un liberato. Allora, e soltanto allora, sarà divenuto una cosa con l'assoluto, reintegrandosi nell'Essere dal quale proviene.

Si badi: ciò non significa che deve isolarsi da tutto e da tutti, che deve rinchiudersi in un mostruoso e solipsistico egoismo; non più di quanto si possa accusare di uno scopo simile, nella tradizione cristiana,  il monaco eremita o la suora di clausura. Il fatto è che, come diceva Platone, solo quando si chiudono gli occhi del corpo, noi cominciamo a vedere veramente le cose. Solo quando siamo pronti a lasciare tutto, possiamo ritrovare tutto; solo quando ci abbandoniamo fiduciosamente all'Essere, rinunciando alla presunzione del nostro piccolo ego, consentiamo alla Grazia di agire in noi e di trasformarci dall'interno.

Come ha affermato Raimon Panikkar, nel corso di una rara intervista concessa alla Televisione svizzera, col suo caratteristico sorriso di benevolenza: «Perché, dunque, vuoi attaccarti alle cose? Lasciati andare. Lascia che la corrente ti porti».