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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 15-30 Settembre 2007

Ultime notizie dal mondo 15-30 Settembre 2007

di redazionale - 08/10/2007

 

a)   Myanmar (ex Birmania). Alcuni elementi e notiziole per capire cosa sta accadendo nel paese e il perché dell'improvviso accendersi di interessate attenzioni estere (26, 27).

 

b)   Iran. Non accennano a smorzarsi i venti di guerra che da Washington soffiano sull'Iran (15). La Francia (Iran / Francia 16) si sta riposizionando al fianco degli Stati Uniti e sembra ambire a prendere il posto della Gran Bretagna al tempo di Tony Blair. Interviene el-Baradei dell'AIEA, l'ente internazionale per l'energia atomica (18). Nuovi sequestri di iraniani, stavolta diplomatici, da parte dei militari statunitensi accrescono la tensione(21, 24). Scenari di guerra al 23. Discorso del presidente iraniano Ahmadinejad agli studenti della Columbia University di New York (25). Il parlamento iraniano approva una mozione contro il "terrorismo" statunitense (29).

 

c)   Palestina. Israele dichiara Gaza "entità ostile". Sugli effetti di questa dichiarazione vedere  al 19 e 28. Intanto al Fatah, in modo anche contraddittorio, avvia contatti segreti con Hamas (23, 28). Olmert annuncia che lo status della Cisgiordania resterà inalterato per almeno altri 20-30 anni (25) e intanto si incrementa il numero degli odiosi checkpoint (Israele / Palestina 22). Altro al 17, 24, 28.

Sparse ma significative:

·         Euskal Herria. Soffiano venti di repressione contro l'indipendentismo basco (19). Referendum ad ottobre? (29).

·         Iraq. Ordinarie mattanze dei "liberatori" nel paese arabo occupato. Il caso della società USA di mercenari Blackwater (22).

·         Venezuela. Chávez e le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia). Si va verso un incontro ufficiale (17, 27).

·         Giappone. Significative direttrici di politica estera (15).

Tra l’altro:

Irlanda (18 settembre).

Italia (28 settembre).

Corsica (25 settembre).

Francia (26 settembre).

Repubblica Ceca / Kosovo (18 settembre).

Serbia (22 settembre).

Somalia (29 settembre).

Egitto (27 settembre).

Libano (22, 26, 29 settembre).

Russia (26 settembre).

Afghanistan (27, 30 settembre).

Nepal (19, 25, 30 settembre).

USA (19, 20, 21, 23 settembre).

Argentina (18 settembre).

Iran / USA. 15 settembre. Washington ha pronto un piano di bombardamenti per «annichilire» l’Iran. Stavolta a rivelare l’ennesima indiscrezione in merito è il Times di Londra. «Il Pentagono ha messo a punto piani per massicci attacchi aerei contro 1.200 bersagli in Iran, con lo scopo di annichilire l’intera capacità militare iraniana in tre giorni», scrive Sarah Baxter, corrispondente del giornale da Washington, sul Timesonline del 2 settembre. La fonte della giornalista è Alexis Debat, direttore del Nixon Center, che avrebbe confidato i piani ad una riunione organizzata da The National Interest, il quadrimestrale di destra fondato da Irving Kristol, figura di spicco dei neoconservatori. Debat ha precisato che non si tratterà di un attacco «accuratamente mirato» contro le installazioni nucleari iraniane, ma che l’obiettivo è di «eliminare l’intera forza armata iraniana». Infatti, ha aggiunto, «la reazione degli iraniani sarà la stessa, sia che si facciano attacchi selezionati o una azione militare totale». Dunque, tanto vale già «predisporre le cose in grande» ed elevare il preventivo di decine o centinaia di migliaia di morti da compiere. «È un calcolo strategico perfettamente legittimo», ha detto Debat.

  • Iran / USA. 15 settembre. «Una fonte di Washington ha riferito che “la temperatura sta salendo” dentro l’amministrazione (…) Il presidente George Bush ha intensificato la retorica contro l’Iran, accusando Teheran di mettere il Medio Oriente “sotto l’ombra di un olocausto nucleare”. E ha avvertito che gli USA e i suoi alleati affronteranno l’Iran “prima che sia troppo tardi”. (…) Secondo una fonte molto ben informata, Washington crede prudente usare la forza in modo rapido e schiacciante. Israele, che da tempo avverte che non consentirà che l’Iran si doti della sua arma atomica, ha compiuto i propri preparativi per bombardamenti aerei e si dice pronta ad attaccare se gli americani rinunciassero». Questi alcuni dei passi tratti dall’articolo “Pentagon three-day blitz plan for Iran” di Sarah Baxter.
    Iran / USA. 15 settembre. «Una fonte di Washington ha riferito che “la temperatura sta salendo” dentro l’amministrazione (…) Il presidente George Bush ha intensificato la retorica contro l’Iran, accusando Teheran di mettere il Medio Oriente “sotto l’ombra di un olocausto nucleare”. E ha avvertito che gli USA e i suoi alleati affronteranno l’Iran “prima che sia troppo tardi”. (…) Secondo una fonte molto ben informata, Washington crede prudente usare la forza in modo rapido e schiacciante. Israele, che da tempo avverte che non consentirà che l’Iran si doti della sua arma atomica, ha compiuto i propri preparativi per bombardamenti aerei e si dice pronta ad attaccare se gli americani rinunciassero». Questi alcuni dei passi tratti dall’articolo “Pentagon three-day blitz plan for Iran” di Sarah Baxter.

 

  • Iran / USA. 15 settembre. Condoleezza Rice, abbandonate le iniziali perplessità di fronte ad un´azione di forza, si sarebbe allineata al vice-presidente Dick Cheney, ponendo un´unica condizione: la preparazione di un dossier accurato a giustificazione dell´intervento, per evitare gli imbarazzi che piovvero sugli USA quando attaccarono l´Iraq. Sarebbe questo il significativo cambio di rotta della segretaria di Stato USA, secondo il britannico The Sunday Telegraph. In questo “dossier” si insisterebbe sulla necessità di reagire alle interferenze di Teheran negli affari iracheni, in particolare attaccando i campi di addestramento e i depositi con armi destinate alla guerriglia in Iraq. Il primo obiettivo sarebbe la base di Fajr della Forza Quds della Guardia Rivoluzionaria, nel sud dell´Iran. Se gli iraniani chiudessero per ritorsione il golfo Persico al transito delle petroliere, gli USA darebbero via libera ai raid aerei contro gli impianti nucleari iraniani. Il Pentagono starebbe esaminando due piani alternativi. Nel primo sarebbe previsto il bombardamento dei soli impianti nucleari, mentre il secondo potrebbe durare anche qualche giorno, con attacchi a tutti i più importanti siti militari. Due elementi vanno tenuti presente. Uno è che la marina militare e i marines USA hanno dispiegato da qualche mese nel Golfo Persico il più imponente schieramento di portaerei e forze di guerra dal 2003. L’altro è che l’amministrazione Bush ha cominciato a insistere molto sul presunto coinvolgimento dell’Iran in Iraq. Il generale David Petraeus, comandante delle forze USA a Baghdad, ha dichiarato in più occasioni che le sue forze stanno già combattendo una proxy war con l’Iran - una guerra per procura, in cui l’Iran armerebbe milizie sciite anti-USA.

 

  • Iran / USA. 15 settembre. Sono sempre più numerosi gli analisti che concordano nel dire come la proposta di dichiarare “organizzazione terroristica” i Guardiani della Rivoluzione, il sequestro dei diplomatici iraniani in Iraq da parte dei militari statunitensi o l’incremento degli aiuti militari a paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto o Israele, sono segnali inequivoci che i tamburi di guerra suonano (ancora) a Washington. Concordemente si rileva la “follia” che rappresenterebbe un eventuale attacco e si rimarcano non solo le difficoltà che incontrerebbe lo stesso ma anche la risposta militare che senza dubbio lancerebbe l’Iran. Lo stratega principale dell’operazione sarebbe il vicepresidente Dick Cheney, dai cui uffici sarebbero partite già delle prime istruzioni molto precise per lanciare una campagna diretta a preparare la cittadinanza statunitense alla nuova aggressione militare. A questa starebbero collaborando, tra gli altri, l’American Enterprise Institute, il quotidiano Wall Street, il Weekly Standard e l’emittente televisiva Fox. Teheran si appresterebbe ad essere il protagonista principale sulla scena mediorientale e ad aumentare la sua influenza in tutte le aree di crisi, da Baghdad a Gaza passando per il Libano. Proprio la Rice ha sottolineato che «l´Iran riempirebbe immediatamente il vuoto lasciato da una partenza delle truppe americane». Il generale David Petraeus, nella sua audizione al Congresso USA della scorsa settimana, ha sostenuto che Teheran «sta cercando di trasformare le milizie sciite in una forza simile a Hezbollah per portare avanti i suoi interessi e condurre una guerra per procura contro l´Iraq e le forze della coalizione». Anche Hillary Clinton, questo fine settimana, ha parlato della minaccia iraniana, chiedendo alla Casa Bianca un´azione diplomatica più incisiva, mentre per il candidato repubblicano John McCain la sfida iraniana deve diventare la priorità dell´agenda politica statunitense «per cercare di bloccare la crescente influenza di Teheran in Iraq». Quell´influenza che l´ambasciatore USA a Baghdad, Crocker, ha definito «malefica».

 

  • Giappone. 15 settembre. Si è dimesso tre giorni fa il primo ministro giapponese Shinzo Abe, travolto dagli scandali finanziari che hanno investito vari membri del suo governo e dalla sconfitta alle elezioni dello scorso 31 luglio per il rinnovo di metà dei seggi della Camera Alta della Dieta nazionale. Nei suoi quasi 12 mesi in carica, Shinzo Abe si era segnalato per la sua politica estera particolarmente intraprendente. Tra l’altro, a parte il consistente calo dei consensi, ciò che avrebbe spinto maggiormente Abe a gettare la spugna sarebbe stata l’impossibilità di raggiungere un accordo con la principale forza di opposizione, il Partito Democratico del Giappone, per estendere oltre la sua naturale scadenza la legge speciale che permette alla Marina giapponese di effettuare missioni di rifornimento delle navi “alleate” nel Mar Arabico nell’ambito della missione “Enduring Freedom”.

 

  • Giappone. 15 settembre. La riconferma della missione nel Mar Arabico avrebbe rappresentato soprattutto il trampolino di lancio per realizzare un progetto che Abe ha illustrato per la prima volta lo scorso 22 agosto parlando dinanzi al Parlamento indiano: la creazione di una alleanza panoceanica a quattro fra Giappone, USA, Australia ed India, che Abe ha ribattezzato “Grande Asia” ed “Arco della libertà e della prosperità”. Uno spazio di sicurezza chiaramente concepito in chiave anti-cinese e che i partiti di sinistra indiani (sia di governo sia di opposizione) hanno liquidato sarcasticamente come la «NATO asiatica», dato che proprio gli USA ne sarebbero ovviamente il motore.

 

  • Giappone. 15 settembre. Il progetto della “Grande Asia” sarebbe un passo ulteriore dopo il recente avvicinamento di Tokio a Delhi, culminato nell’estensione all’India (voluta dallo stesso Abe) dell’Australia-Japan-U.S. Trilateral Security Dialogue. Nel 2006 si sono avuti frequenti scambi di visite tra gli Stati maggiori delle forze armate dei due Paesi. In particolare, il dispiegamento della Marina giapponese nell’ambito di “Enduring Freedom” favorisce la condotta di esercitazioni navali congiunte nell’Oceano Indiano, ricambiate dalla Marina indiana nel Pacifico.

  • Giappone. 15 settembre. L’alleanza sostenuta da Abe consentirebbe tra l’altro un maggior controllo delle vie di comunicazione marittime per l’approvvigionamento energetico dal Golfo Persico. I cinesi nell'ultimo anno hanno creato diverse stazioni di controllo lungo le coste della Birmania, del Bangladesh e del Pakistan. L’alleanza a quattro potrebbe coprire tutto il percorso delle petroliere in partenza dalla Penisola Arabica e dall’Iran e dirette a Oriente, con gli USA a pattugliare la sezione più occidentale, l’India quella antistante le proprie coste, l’Australia il Sud-Est asiatico e il Giappone l'Estremo Oriente. Sembra comunque difficile che il successore di Abe invertirà il saldo ancoraggio alla politica estera di Washington. Neppure il leader del Partito Democratico, Ichiro Ozawa, potrebbe discostarsi troppo da questa direttrice, sebbene si presenti un convinto assertore di una politica estera ancora più indipendente da quella USA, non veda di buon occhio il progettato accordo di libero scambio con l’Australia (voluto da Abe) e si faccia promotore di ulteriori aperture verso la Cina.

 

  • Iran / Francia / USA. 16 settembre. «Bisogna prepararsi al peggio», cioè «alla guerra» contro l’Iran. Lo ha detto esplicitamente il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, stasera, in un´intervista televisiva alla LCI. «Ci stiamo preparando, gli stati maggiori militari stanno mettendo a punto i piani. Non è una cosa comunque che accadrà dall´oggi al domani». Fatto salvo ovviamente ogni tentativo diplomatico per convincere il regime di Teheran ad accettare le pretestuose e arroganti richieste di Washington. L’esecutivo francese pare voglia sostituirsi a Tony Blair e trasformare la Francia nell’alleato privilegiato, in Europa, dei piani bellicosi della Casa Bianca. Kouchner ha quindi auspicato che l´Unione Europea studi proprie sanzioni contro Teheran, «sanzioni europee», le ha definite, «al di fuori di quelle dell´ONU». «Le hanno proposte i nostri amici tedeschi», ha dovuto però aggiungere il ministro francese, per evitare nuovi attriti col governo di Angela Merkel. Kouchner alla fine della settimana sarà a Washington. Nella nuova politica estera francese, più allineata agli USA che ai tempi di Chirac ma con pretese di autonomia, c´è anche posto per una battuta salata sugli errori dell´amministrazione Bush in Iraq. «Per loro è stata una sconfitta», ha detto Kouchner, «C´è poco da fare. Ora bisogna voltare pagina». Questi tamburi di guerra da Washington e da Parigi risuonano mentre la collaborazione tra il governo iraniano e l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) starebbe dando i suoi frutti in vista di un accordo sulla cosiddetta “crisi nucleare”. 

 

  • Iran / Francia / USA / Israele. 16 settembre. La Francia di Sarkozy si avvicina agli Stati Uniti. L’orientamento atlantista e ispirato ai «neoconservatori» statunitensi ha caratterizzato da subito le relazioni estere francesi del nuovo inquilino dell’Eliseo. Parigi aumenta le pressioni sull’Iran e riposiziona, in modo apprezzato a Washington, le proprie scelte su Iraq, NATO e Turchia. «Non un allineamento, ma convergenze, particolarmente visibili sul dossier iraniano e l’insieme della crisi mediorientale», sostiene Bruno Tertrais, della Fondazione di Ricerca Strategica. Washington ha salutato entusiasticamente la recente visita del ministro degli Esteri francese a Baghdad e soprattutto l’invio di aerei da guerra a Kandahar (Afghanistan) in un chiaro segnale del suo compromesso con i piani bellicisti dell’amministrazione Bush. La decisione, poi, del presidente, Nicolas Sarkozy, di rovesciare la storica opposizione francese all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, fortemente caldeggiato da Washington, ha soddisfatto ugualmente la Casa Bianca che si è felicitata del fatto che la «Francia ha gli stessi obiettivi nostri» sull’Iran. Pure Israele plaude alle bellicose posizioni francesi verso Teheran, che intanto già fa sapere di voler riconsiderare un progettato gasdotto con la francese Total a South Pars, nel Golfo. L’annuncio è venuto direttamente dal ministro iraniano del Petrolio, Gholam Hossein Nozari, al quotidiano The Financial Times, giacché i prezzi che la Total vuole applicare per la vendita del gas naturale liquefatto sono eccessivi. L’interscambio con l’Iran rappresenta per Parigi solamente il 9,5% del suo commercio estero, ma è strategicos sul fronte petrolifero.

  • Palestina. 17 settembre. I palestinesi chiedono sicurezza nell’anniversario del massacro di Sabra e Chatila (sud di Beirut) di 25 anni fa. Le milizie cristiane di destra, con l’appoggio dell’esercito israeliano, il 16 settembre 1982 massacrarono tra gli 800 ed i 2mila civili, in tre giorni, sotto gli occhi conniventi dei militari israeliani che due mesi prima avevano invaso il Libano. L’atto voleva essere una «vendetta» per la morte del presidente Béchir Gemayel.

 

  • Venezuela / Colombia. 17 settembre. Chávez incontrerà un inviato delle FARC, l’8 ottobre, in Venezuela. La proposta è contenuta in un video che la senatrice colombiana Piedad Córdoba ha ricevuto durante una riunione nella foresta e che consegnerà ora al presidente venezuelano, Hugo Chávez. La data dell’8 ottobre per l’incontro cade non casualmente (come spiegato nel video) nel 40° anniversario della morte di Ernesto “Che” Guevara. Scenario dell’incontro tra Chávez ed il portavoce delle FARC, Raúl Reyes, sarà presumibilmente il palazzo presidenziale di Miraflores. Oggetto principale del colloquio sarà l’eventuale scambio umanitario e la preparazione dell’incontro con il dirigente guerrigliero Manuel Marulanda "Tirofijo". La settimana scorsa il governo di Bogotà aveva respinto categoricamente l’ipotesi di un incontro tra Chávez e Marulanda in territorio colombiano, come era stato chiesto formalmente dal presidente venezuelano. È noto che Uribe preferirebbe di gran lunga l’opzione militare per la liberazione degli ostaggi, anche a costo di una carneficina. Politici, ufficiali e tre cittadini statunitensi verrebbero rilasciati in cambio di 500 guerriglieri detenuti nelle carceri colombiane (ma sono stati fatti anche i nomi di due guerriglieri attualmente detenuti negli Stati Uniti). La volontà di dialogo di Uribe è solo il prodotto delle pressioni internazionali, prima tra tutte quella di Nicolas Sarkozy (che intende ottenere la liberazione di Ingrid Betancourt, di nazionalità franco-colombiana). E proprio queste pressioni hanno spinto Uribe ad affidare la mediazione a due suoi “nemici”: la senatrice progressista Piedad Córdoba e Hugo Chávez, gli unici in grado di avviare una trattativa con la guerriglia.

 

  • Irlanda. 18 settembre. Il Fianna Fáil, il partito di destra del primo ministro irlandese, Bertie Ahern, si impianterà nel nord Irlanda. L’annuncio ieri a Dublino. «È ora per il Fianna Fáil di giocare un ruolo significativo e occupare il posto che gli corrisponde in una nuova Irlanda», ha detto Ahern in un seminario annuale dei parlamentari del suo partito, sostenendo che «ci saranno nuovi mutamenti in un futuro molto prossimo». Finora l’unico partito irlandese che si presenta alle elezioni  nelle 32 contee è il repubblicano Sinn Féin.

 

  • Repubblica Ceca / Kosovo. 18 settembre. Il governo ceco respinge una «soluzione unilaterale» per il Kosovo. Il presidente ceco, Vaclav Klaus, si è detto favorevole ieri, a Praga, ad «una soluzione accettabile per tutte le parti in Kosovo» dopo un incontro avuto con il suo omologo serbo, Boris Tadic, in visita ufficiale nella capitale ceca. «Le conseguenze di una soluzione unilaterale saranno molto negative, sul lungo periodo, non solo per la Serbia ma anche per tutta la regione e per tutta l’Europa», ha sostenuto Klaus in conferenza stampa insieme a a Tadic. Secondo il capo di Stato ceco, la soluzione al conflitto del Kosovo dovrebbe venire «dall’interno del paese e non dall’esterno» ed, inoltre, «questa soluzione non dovrebbe beneficiare solo una parte». Le parole di Klaus sono di sostanziale appoggio alle tesi sostenute da Belgrado. La Serbia partecipa attualmente, sotto la direzione di una troika internazionale (USA, Russia ed Unione Europea), in negoziazioni con i dirigenti albanesi del Kosovo con l’obiettivo di definire lo status di questo territorio. Questi colloqui sono previsti riprendano a Londra e che, in linea di massima, si concludano il 10 dicembre. Gli albanesi (90% della popolazione del Kosovo) reclamano l’indipendenza. Belgrado, appoggiato dalla Russia, accetta un'ampia autonomia per questo territorio ma respinge fermamente qualunque formula di indipendenza.

 

  • Iran. 18 settembre. El Baradei (AIEA) ricorda la lezione dell’Iraq e invita a non attaccare l’Iran. Le ultime minacce francesi, che si sono allineate a quelle statunitensi, hanno sollevato grandi reazioni. Il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Mohamed El Baradei, ha invitato a non ripetere drammatici errori come quello compiuto in Iraq. Ha quindi dichiarato che l’uso della forza deve essere, in ogni caso, l’ultimo ricorso e che solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può autorizzarlo. «Esistono norme su come si deve usare la forza, ed ho la speranza che tutto il mondo abbia appreso la lezione della situazione in Iraq, dove decine di migliaia di civili innocenti hanno perso la vita per il sospetto che il loro paese avesse armi nucleari», ha dichiarato, criticando duramente le dichiarazioni del ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner. Questi aveva ventilato, ore prima, la possibilità di un’aggressione militare all’Iran se mantiene il suo programma nucleare che Teheran rivendica d’uso civile. La settimana scorsa l’AIEA, che non ha mai interrotto le sue normali ispezioni negli impianti nucleari iraniani, ha annunciato di aver trovato un accordo con Teheran su un «piano di lavoro» per risolvere le questioni aperte sulle sue attività (il punto è dimostrare che siano finalizzate solo alla produzione di energia e non a programmi militari). L’annuncio ha mandato su tutte le furie gli Stati Uniti: la segretaria di stato Condoleezza Rice mercoledì ha lanciato un violento attacco al direttore dell’AIEA Mohammed el Baradei, pur senza nominarlo, dicendo che «non spetta all’AIEA fare diplomazia».

 

  • Argentina. 18 settembre. «Concezioni ideologiche e interessi hanno portato settori della Chiesa a compromettersi con la dittatura e la repressione». Sono parole del Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, che ha deposto nell’ultima udienza del processo contro l’ex cappellano della Policía Bonaerense Christian von Wernich, collaboratore dei torturatori. Pérez Esquivel ha raccontato i suoi tentativi, infruttuosi, di spingere la gerarchia ecclesiastica a interessarsi al problema dei desaparecidos. Inutile anche l’udienza del 1981 con Papa Giovanni Paolo II, al quale Esquivel presentò un rapporto su 84 casi di bambini scomparsi: «Non fu un incontro felice. Fu una riunione molto complessa, un’udienza molto dura e molto fredda. Spiegai al Papa che gli portavo il dossier che ci aveva dato Chicha Mariani, fondatrice di Abuelas. Questo rapporto glielo avevo inviato attraverso tre canali, ma mi disse che non era mai giunto nelle sue mani. Il Papa lo guardò e poi, in malo modo, mi rispose: Lei deve pensare ai bambini dei paesi comunisti».

 

  • Euskal Herria. 19 settembre. «È in atto una strategia repressiva cui è stato dato un deciso impulso negli ultimi mesi». Lo denuncia il movimento basco pro-amnistia che accusa i centristi del PNV di esserne parte e di realizzare «un nuovo tradimento politico a questo popolo, come 30 anni fa, con le punte che il governo spagnolo vuole imporre». In rappresentanza del movimento pro-amnistia, ieri a Bilbo (Bilbao), in conferenza stampa, sono comparsi Asier Birunbrales e Julen Larrinaga, insieme agli avvocati Arantza Zulueta e Amaia Izko. Si è sottolineato «il nuovo impulso nella strategia repressiva» degli ultimi mesi e ricordato che ci sono state «mobilitazioni che sono state proibite e disperse con la violenza poliziesca», come quella dello scorso 9 settembre a Donostia. E poi la richiesta alla procura per un procedimento giudiziario contro Udalbiltza (l’organismo che raggruppa gli eletti municipali della sinistra indipendentista basca, ndr) che porti a condanne tra i 10 ed i 15 anni, l’imminente uscita «della sentenza del 18/98 (maxiprocesso contro l’indipendentismo basco, ndr), con tutta una serie di indicazioni che fanno propendere per pesanti condanne», la politica penitenziaria, l’occupazione militare del territorio basco e che ora «sta ponendo al centro della nuova fase repressiva l’ANV (Azione Nazionalista Basca, formazione della sinistra basca indipendentista che ha ottenuto un significato successo alle ultime elezioni, ndr)». Vi è poi l’arresto del portavoce di Batasuna, Arnaldo Otegi, ed altre figure di spicco sono nel mirino.

 

  • Euskal Herria. 19 settembre. «L’Audiencia Nacional legittima e dà copertura alla repressione». Gli avvocati Arantza Zulueta e Amaia Izko sottolineano, nella conferenza stampa di Bilbo (Bilbao, ndr), che questo alto tribunale «si è trasformato nello strumento giuridico della via impositiva e repressiva del governo del PSOE (i socialisti di Zapatero, ndr)». In tal senso è stata reclamata la dissoluzione dei «tribunali speciali». L’Audiencia Nacional «legittima e dà copertura ad ognuna delle attuazioni poliziesche e repressive come le violazioni dei diritti nelle carceri e la proibizione delle manifestazioni».

 

  • Francia / Antille. 19 settembre. I pesticidi provocano un «disastro sanitario» nelle Antille sotto dominio francese. Lo ha riconosciuto il ministro dell’Agricoltura francese, Michel Barnier, presentando, lunedì, un rapporto che parla di «un autentico avvelenamento di Martinica e Guadalupe». Autore del rapporto presentato ieri in parlamento è l’oncologo Dominique Belpomme. Il suolo e l’acqua sono stati contaminati dal clordecone, una sostanza particolarmente nociva (tempo di degrado intorno al secolo) che in Francia è stata proibita nel 1990 e che, secondo il professor Belpomme, ha continuato ad essere usata nelle Antille fino al 2002. Molto alto il tasso dei malati di cancro e di nati con malformazioni congenite.

 

  • Palestina. 19 settembre. «La Striscia di Gaza “entità ostile”». Così oggi il consiglio di difesa del governo israeliano. Ora ci si aspetta che Israele adotti a breve «sanzioni di carattere economico» nei confronti della Striscia (un milione e mezzo di palestinesi). Lo riferisce radio Gerusalemme. La definizione di “entità nemica” serve a giustificare, nel diritto internazionale, l’applicazione di sanzioni economiche. Il consiglio ha votato la decisione di ridurre il rifornimento di carburante per la centrale termoelettrica di Gaza, in modo da garantire solo le forniture per gli ospedali e per il sistema idrico, e di limitare l’apertura dei passaggi di frontiera al solo transito di generi alimentari e di emergenza. Per il portavoce di Hamas, Fawzi Barhoum, «è una dichiarazione di guerra». Secondo il portavoce del premier destituito, Ismail Haniyeh, Taher al-Nunu, in dichiarazioni all’Ansa, «Israele già ci considera nemici e lo dimostra tutti i giorni». La decisione costituisce «una punizione collettiva che equivale a un crimine di guerra, crimine che la comunità internazionale non deve permettere. Noi contatteremo i paesi arabi per prevenire questa azione nei confronti del popolo palestinese», ha aggiunto. Contro il nuovo embargo non ha potuto non esprimersi anche il presidente palestinese Abu Mazen, che a Ramallah ha definito il gesto di Israele «una decisione arbitraria». Fonti del governo del premier Salam Fayyad hanno aggiunto che «chiederanno agli Stati Uniti di esercitare pressioni su Israele per recedere da questa decisione destinata a colpire unicamente il popolo palestinese». Imbarazzata Condoleezza Rice, il segretario di Stato USA, in Israele per preparare la conferenza internazionale di pace convocata per metà novembre a Washington. Consapevole che le sanzioni contro la popolazione di Gaza, in coincidenza con il suo arrivo, non agevolano il dialogo, la Rice ha così tenuto a precisare che «per il governo degli Stati Uniti l’entità nemica è Hamas».

 

  • Nepal. 19 settembre. I maoisti lasciano il governo, dove avevano quattro ministeri. Gli ex guerriglieri lo hanno fatto ieri e annunciato «un diluvio di proteste» in tutto il paese per forzare l’abolizione della Monarchia. Il «numero due» dell’antica guerriglia, Baburam Bhattaria, lo ha detto a chiare lettere parlando ieri ad una manifestazione a Kathmandù. Il governo di coalizione era stato costituito ad aprile, in virtù dell’accordo di pace firmato nel novembre 2006. Dopo aver accusato il re Gyanendra di boicottare il processo di pace, i maoisti vogliono che il Parlamento voti l’abolizione della Monarchia prima delle elezioni.

 

  • USA. 19 settembre. La giustizia USA commina solo una multa per la Chiquita Brands. Caso definitivamente chiuso per l’impresa che ha riconosciuto di aver finanziato i paramilitari colombiani. Tutti assolti i suoi dirigenti, ed una semplice multa di 25 milioni di dollari in cinque anni, irrisoria, se si pensa che tra il 2001 e il 2004, sotto “protezione paramilitare”, Bananex, la filiale dell’impresa statunitense, fatturò quasi 50 milioni di dollari. «Cosa direbbero gli Stati Uniti se un paese, che ha tra le mani uno dei responsabili degli attentati dell’11 settembre, lo lasciasse libero dietro pagamento di una multa?», ha commentato il procuratore generale Alfonso Gómez. E il vicepresidente Francisco Santos ha ricordato che Bananex ha «finanziato la morte» di centinaia di persone. I familiari delle vittime sanno comunque che il governo Uribe non vuole andare allo scontro con Washington e si mostrerà condiscendente con l’alleato/padrone. Non ci sono dunque molte speranze che l’esecutivo promuova un processo in territorio colombiano contro i dirigenti della Chiquita, come hanno chiesto Paul Wolff, legale di 140 delle vittime, e lo stesso procuratore Gómez.

 

  • Iran / Israele / USA. 20 settembre. L’Iran avverte: in caso di attacco da parte di Israele, questo sarà bombardato. Il generale Mohamed Alavi, comandante aggiunto delle Forze Aeree iraniane, ha dato come esistente «un piano di rappresaglia» in caso di attacco. Sono frequenti le dichiarazioni di politici e alti ufficiali israeliani su piani di raid aerei contro installazioni nucleari iraniane, seguendo il modello dell’«Operazione Opera», con la quale apparecchi israeliani distrussero nel 1981 la centrale nucleare irachena di Osirak. Esperti militari occidentali hanno espresso scetticismo sulla capacità aerea iraniana e che i relativi velivoli abbiano l’autonomia per attaccare Israele e tornare.

 

  • USA. 20 settembre. Gli alleati / subalterni della NATO non riescono a dar vita alla “Forza di reazione rapida”. Il progetto targato Donald Rumsfeld di una “Response Force” di 25mila uomini pronti per essere proiettati in qualunque angolo del mondo al servizio delle direttive imperiali di Washington è in stato d’impasse. Come ha spiegato all’edizione odierna dell’Herald Tribune Tomas Valasek, analista strategico al Center for European Reform di Londra:«non ci sono abbastanza truppe: la NATO sta chiedendo agli Stati membri di contribuire alla Response Force nel momento in cui più truppe sono richieste in Afghanistan. La NATO ha i suoi militi, e la Response Force è un lusso che non ci si può permettere». Insomma, gli Stati membri, che avrebbero dovuto destinare loro mezzi navali, aerei e di forze speciali, sono in forte difficoltà. «Già abbiamo problemi a ottenere forze per tutte le missioni che la NATO, la UE e l’ONU richiedono per operazioni nel mondo», ammette James Appathurai, il portavoce dell’Alleanza.

 

  • USA. 20 settembre. Significativo il commento dell’Herald Tribune: «La decisione è un colpo per l’Alleanza, che ha cercato di costruire un modello per la trasformazione della NATO da pesante organizzazione difensiva dell’epoca della guerra fredda a un corpo composto di unità flessibili, proiettabili nei punti di crisi nel giro di pochi giorni, capaci di compiere una quantità di operazioni, incluso l’anti-terrorismo». Un nodo significativo che emerge è quello del finanziamento dei costi. Commenta ancora l’Herald Tribune: «un Paese NATO che manda truppe in una missione internazionale di mantenimento della pace è obbligato a pagare l’operazione sotto il principio che i costi sono addossati all’operatore. Questo è divenuto un peso eccessivo per Paesi che forniscono un alto numero di truppe, fra cui Gran Bretagna, Canada e Olanda», tra i fedelissimi di Washington. De Hoop Scheffer, dal 2004 segretario generale NATO, vorrebbe, scrive il quotidiano, «cambiare il sistema di finanziamento espandendo il sistema di finanziamento comune: i Paesi che non mandano truppe dovrebbero contribuire con denaro. Ma i progressi sono lenti».

 

  • USA. 20 settembre. Il Senato USA ha respinto ieri una mozione per modifiche legislative che permettessero ai prigionieri di Guantanamo di presentare un habeas corpus davanti ad un giudice per denunciare le condizioni nelle quali sono (stati) detenuti. La mozione ha avuto solo 56 dei 60 voti necessari.

 

  • Iran / Iraq. 21 settembre. Washington fa sequestrare nel Kurdistan Sud un membro di una delegazione ufficiale iraniana. È accaduto ieri. Il cittadino, componente di una delegazione diplomatica in visita a Suleimaniya, è accusato di «traffico di esplosivi». Teheran ha già presentato una lamentela a Baghdad per questa «violazione degli accordi internazionali». L’hotel di Suleimaniya, dove alloggiava l’uomo, è stato circondato dai militari statunitensi. L’arrestato è responsabile della sezione degli «interscambi transfrontalieri» dell’ufficio del governatore della provincia di Kermanshah e componente di una delegazione ufficiale appositamente invitata dalle autorità di Suleimaniya. Teheran ha parlato, riferendosi al sequestro operato dalle forze USA, di «una flagrante violazione degli accordi internazionali che mira a distruggere le relazioni tra Iran e Iraq». Non è la prima volta che gli Stati Uniti sequestrano iraniani in Iraq sotto l’accusa di spionaggio e di collaborazione con le milizie sciite. Lo scorso 11 gennaio, effettivi dell’esercito statunitense hanno sequestrato cinque iraniani ad Arbil (Kurdistan Sud), sostenendo che facevano parte di un’unità della Guardia Rivoluzionaria dell’Iran che «forniva fondi, armi e addestramento alle milizie sciite dell’Iraq». A febbraio, ad essere sequestrato per conto di Washington, in spregio delle regole del diritto internazionale ad altri richieste, fu il secondo segretario dell’ambasciata di Teheran nel paese arabo occupato. La segretaria di Stato, Condoleezza Rice, ha assicurato che il presidente George W. Bush ha autorizzato le operazioni.

 

  • Iran / Iraq. 21 settembre. Il presidente dell’Iraq, il kurdo Jalal Talabani, ha chiesto l’immediata messa in libertà del diplomatico iraniano sequestrato dall’Esercito statunitense in Kurdistan Sud.

 

  • USA. 21 settembre. La CIA mostra l’A-12, un aereo spia mitico dei tempi della Guerra Fredda. La CIA ha mostrato in pubblico uno dei suoi aerei di sorveglianza, gioiello dei tempi della Guerra Fredda, l’A-12, utilizzato negli anni Sessanta nello spionaggio in Vietnam e Corea del Nord e che raggiunse, all’epoca, una velocità ed un’altezza record. L’apparecchio, battezzato come Lockheed Martin, era capace di volare a 25.000 metri di altezza e a più di 3.500 km all’ora, 3,2 volte la velocità del suono. Furono costruiti solo 15 apparecchi, dei quali ne rimangono nove. Nel 1968 è stato sostituito dal più conosciuto SR-71 Blackbird.

 

  • Serbia. 22 settembre. La Serbia si avvicina sempre più alla Russia per l’appoggio di Mosca che sta contrastando, con il suo veto all'ONU, ogni risoluzione che prefigura uno scenario di status indipendente del Kosovo. Questa tendenza va in controtendenza con la politica ufficiale di integrazione nell’Unione Europea come priorità strategica. Così Belgrado, se prosegue sugli importanti progetti di privatizzazione richiesti dall’Occidente per la sua futura, possibile, integrazione, sta allo stesso tempo aprendo le porte agli investimenti russi. «La Serbia era una zona proibita ai russi all’inizio della transizione del paese (all’economia neoliberale, ndr), ma le cose sono cambiate», constata il redattore capo della rivista Ekonomist, Misa Brkic. Compagnie russe figurano così in settori importanti dell’economia serba, come nella compagnia petrolifera NIS e in quella aerea JAT. A dicembre, Vojislav Koštunica ha firmato con il presidente russo, Vladimir Putin, un documento di intenti per la costruzione di un gasdotto che attraversi la Serbia. Lo stesso ministro si è incontrato recentemente con il magnate russo dell’alluminio, Oleg Deripaska, per un progetto di privatizzazione della fabbrica di rame di Bor (est del paese). «In una certa misura la Russia dovrà essere per noi nei prossimi anni il primus inter pares», ha detto di recente il viceprimo ministro, Bozidar Djelic, che è considerato un riformatore pro-europeo, come lo stesso presidente, Boris Tadic. Kostunica si è quindi dichiarato contrario all’ingresso della Serbia nella NATO, nonostante il paese sia già membro della "Associazione per la pace della NATO", sorta di (ipocrita, terminologicamente, ndr) area di attesa per futuri membri da sondare, plasmare ed inserire nella struttura militare NATO.

 

  • Libano. 22 settembre. «Un più ampio intervento internazionale in Libano finirebbe per accelerare la marcia verso la guerra civile». Lo scrive in un editoriale il direttore del giornale progressista as-Safir, Talal Salman. I partiti del fronte del “14 marzo”, la coalizione che sostiene il governo di Fuad Siniora, ieri hanno invocato l’intervento internazionale della NATO-Stati Uniti (una Unifil 3) e continuato ad attaccare il principale partito di opposizione, Hezbollah e, soprattutto, la Siria, accusata di «essere dietro» tutti gli attentati che hanno devastato il Libano negli ultimi due anni e mezzo. Eppure anche l’ultimo omicidio, quello del deputato falangista Antonie Ghanem, ucciso mercoledì, sembra avere nel mirino più la Siria che i rappresentanti del “14 marzo”. Damasco è puntualmente finita sotto pressione, nel momento in cui il regime di Bashar Assad sembrava aver rotto, in parte, l’isolamento riallacciando forme di dialogo con la Francia e altri paesi europei. George Bush ha lanciato accuse pesanti a Damasco –che non verrà invitata all’incontro sul Medio Oriente previsto tra due mesi a Washington– mentre Israele, da parte sua, il 6 settembre aveva colpito, con i suoi bombardieri, quelle che alcuni giornali statunitensi hanno definito «installazioni nucleari» nel nord-est della Siria.

  • Israele / Palestina. 22 settembre. Israele aumenta i checkpoint: 40 in più in un mese. Si tratta di una delle pratiche più odiose dell’occupazione militare sotto cui da 40 anni Israele costringe gli arabi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Secondo i dati resi noti dall’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, soltanto negli ultimi due mesi le autorità israeliane hanno messo su altri 40 blocchi stradali, che sono passati da 376, nell’agosto 2005, al numero attuale di 572. Anche quelli sorvegliati da militari sono aumentati, da 86, nello scorso luglio, a 96. Veri e propri posti di blocco, massi giganteschi che chiudono l’accesso alle strade, barriere che isolano villaggi: tutti questi mezzi secondo gli occupanti vengono utilizzati per fermare «terroristi». Ma le associazioni per i diritti umani, come l’israeliana B’tselem, parlano di una «chiara discriminazione basata sull’origine etnica» dal momento che i coloni ebrei che risiedono nei Territori occupati sono liberi di circolare senza limitazioni. «Israele ha diviso la Cisgiordania in un gran numero di sezioni e rende difficile ai palestinesi spostarsi dall’una all’altra» denuncia B’tselem. Recentemente un’altra associazione israeliana, Machsom watch, con un filmato ha documentato come questi posti di blocco non rappresentino che la punta di un iceberg. Prima di presentarsi davanti ai militari da cui dipendono i loro spostamenti, i palestinesi sono costretti a munirsi di permessi e lasciapassare senza i quali recarsi a un checkpoint è totalmente inutile.

 

  • Iraq. 22 settembre. Cinque giorni dopo la sua ultima mattanza, Blackwater torna nelle strade dell’Iraq occupato. Washington dà così politicamente un ulteriore schiaffo al governo al Maliki. Washington riaffida la protezione dei diplomatici statunitensi in Iraq alla società USA di mercenari Blackwater, interdetta dal premier iracheno Nouri al Maliki. I mercenari, per ragioni ancora non chiarite, avevano iniziato a sparare all’impazzata, a Baghdad, domenica, sulla folla causando la morte di una ventina di civili iracheni ed il ferimento di svariati altri. Un’«azione criminale» l’aveva definita lo stesso al-Maliki. Dall’ambasciata USA è giunta la conferma: tutti i convogli saranno scortati da mezzi e uomini della Blackwater. Il governo iracheno, la cui essenza di governo-fantoccio torna così per l’ennesima volta ad essere messa in evidenza, aveva proibito lunedì, il giorno dopo la mattanza sui civili, le attività della Blackwater. Tanto Gary Jackson, presidente della Blackwater, come Erik Prince, proprietario della compagnia di mercenari, sono assidui e significativi contribuenti delle campagne del Partito Repubblicano statunitense.

 

  • Iraq. 22 settembre. Contraddittorie le versioni dai militari. Ora si parla dell’azione di un cecchino, ora dello scoppio di un’autobomba e dell’esplosione di numerose raffiche di mitra contro di loro, ma le testimonianze di civili iracheni presenti sul posto, fonti ospedaliere, polizia e soldati iracheni, raccolte sia dal quotidiano britannico Independent che dall’Associated Press, raccontano un’altra storia. Ci sarebbe stata un’esplosione, un chilometro e mezzo a nord di piazza Nisoor. Gli uomini della Blackwater avrebbero ordinato a un gruppo di automobilisti di allontanarsi. Questi ultimi avrebbero «perso tempo» e, a quel punto, i mercenari avrebbero aperto il fuoco su auto in movimento, su civili (donne e bambini) che terrorizzati si precipitavano fuori dalle macchine, ed anche su poliziotti e soldati iracheni. Da qui le proteste vibranti dell’esecutivo filo-USA. L’Independent ha definito l’episodio il «bloody sunday iracheno, che è diventato una prova di sovranità tra i poteri del governo iracheno e gli Stati Uniti». Al Maliki ha tuonato: «Non tollereremo l’uccisione a sangue freddo dei nostri cittadini» e ieri il ministero dell’interno ha reso noti altri sei casi in cui, in passato, la Blackwater avrebbe ucciso o ferito decine di iracheni. Washington, dopo le minacce del governo iracheno, ha risposto ri-autorizzando la ripresa delle scorte da parte della Blackwater, una delle tre aziende titolari d’appalto (300milioni di dollari) da parte del ministero della difesa USA. La presenza di mercenari in Iraq è stimata tra le 25mila e le 50mila unità. Operano in un regime giuridico che rende difficile la loro perseguibilità, non essendo considerati civili né militari. In base all’Ordine numero 17 dell’Autorità Provvisoria della Coalizione, una delle tante norme varate dall’allora proconsole USA Paul Bremer tuttora in vigore, questi mercenari hanno l’immunità nei confronti delle autorità irachene.

 

  • Iraq. 22 settembre. Nuove prove e dati inchiodano i pistoleri di Blackwater. Fonti anonime del ministero degli Interni iracheno informano dell’esistenza di un video girato pochi istanti dopo la mattanza, che si aggiunge ad un dossier che conta già «numerose testimonianze» ed immagini “catturate” con il cellulare. Funzionari del ministero dicono apertamente che i mercenari «hanno aperto il fuoco senza alcuna ragione». Nuovi dettagli appaiono sui media statunitensi; secondo uno di questi, durante i momenti della sparatoria, almeno una guardia della compagnia Blackwater avrebbe puntato l’arma contro i colleghi per invitarli a “cessare il fuoco” perché non esisteva alcun pericolo.

 

  • Palestina. 23 settembre. Contatti segreti tra Hamas e al-Fatah. A rivelarne l’esistenza è stato ieri Ahmed Yusef, consigliere del primo ministro palestino, Ismail Haniye (Hamas). I due grandi movimenti palestinesi mantengono contatti segreti per limare le loro differenze. «Ci sono canali segreti di dialogo tra al-Fatah e Hamas in un tentativo di uscire dalla crisi», ha assicurato Yusef. Uno dei dirigenti di al-Fatah vicini ad Abbas, Qadura Fares, ha confermato da Ramallah che «l’opzione di dialogo tra i due movimenti è sicura, ma ritengo che ora sia rallentata finché non si conosceranno i risultati della conferenza» patrocinata dagli Stati Uniti a novembre. Intanto Hamas ha apprezzato la dichiarazione («un passo nella direzione corretta») del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas (al-Fatah), critico di fronte alla politica israeliana di dichiarare Gaza territorio nemico. Per Hamas l’«unità palestinese è in cima a tutto». In tal senso, prosegue Hamas, è necessario che Abbas chiarisca la posizione di al-Fatah di fronte ad Israele e chiede che sospenda la cooperazione di sicurezza con gli organismi israeliani ed i contatti diplomatici con il primo ministro Ehud Olmert. Le perplessità infatti non mancano. L’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen collabora con i servizi israeliani. La polizia fedele a Fatah ieri ha condotto, in contatto con le forze di occupazione, una operazione di «sicurezza» ad Huwwara (Nablus) dove ha arrestato oltre 100 palestinesi.

 

  • Iran / USA. 23 settembre. Bombardare l’Iran aprirebbe un ciclo dalle «conseguenze imprevedibili» non solo per il Medioriente ma anche per tutto il mondo. È il contenuto di uno studio dell’Oxford Research Center, a firma del ricercatore Frank Barnaby, per il quale l’Iran (ammesso che questo sia il suo intendimento, ndr) non potrebbe dotarsi di una bomba atomica prima del 2012. Barnaby aggiunge che i bombardamenti, peraltro, non raggiungerebbero l’obiettivo cercato ed anzi spingerebbero Teheran a propendere decisamente per questo obiettivo e cercare di allestire un arsenale nucleare in due anni, il tutto «in un contesto di ostilità dalla portata incalcolabile». Di diverso avviso il MIT, l’Istituto di Tecnologia del Massachusetts, secondo il quale i raid aerei determinerebbero un duro colpo per il programma di ricerca nucleare nucleare iraniana. È arrivato a calcolare l’arsenale necessario (due bombe a guida laser da 907 kg e 24 bombe di penetrazione) per distruggere le installazioni sotto terra situate a Natanz. La rivista francese di Difesa e Sicurezza Internazionale si addentra in una simulazione militare che individua 200 obiettivi da attaccare, tra cui basi aeree, porti, la centrale nucleare di Bucher, la fabbrica di acqua pesante di Arak... «I danni materiali e umani inflitti agli iraniani ritarderanno di 10 anni il loro programma nucleare militare», sostiene il redattore capo jefe Joseph Henrotin, che avverte anche lui, questo sì, delle «conseguenze a cascata difficilmente controllabili da entrambe le parti».

 

  • Iran / USA. 23 settembre. L’Iran potrebbe tentare di bloccare lo stretto di Ormuz, l’ingresso al Golfo Persico per le petroliere, «vena giugulare dell’Occidente». Per gli Stati Uniti un primo passo militare sarebbe quindi la «neutralizzazione» dei tre sottomarini iraniani di fabbricazione russa (clase Kilo) e della base navale iraniana di Bandar Abbas. Sempre in questo gioco di simulazione di scenari, l’Iran potrebbe spingere per un’insurrezione generale in Iraq, a maggioranza sciita, contro le truppe militari degli Stati Uniti, obbligando la Casa Bianca ad inviare rinforzi. Gli esperti non escludono la possibilità che Teheran tenti di coinvolgere il suo principale nemico e primo istigatore dell’Occidente contro di sé, cioè Israele. L’«Iran, con l’aiuto della Siria, potrebbe infiammare tutto il Medio Oriente», epicentro del petrolio mondiale. Non manca chi, come Cédric Poitevin, del Gruppo di Ricerca e Informazione sulla Pace e la Sicurezza di Bruxelles, assicura che se gli Stati Uniti prefigurano un piano tanto temerario è perché, tra le altre ragioni, temono un’iniziativa aggressiva unilaterale di Israele determinando «uno scenario ancor più incontrollabile».

 

  • USA. 23 settembre. Un pozzo senza fondo. Bush chiede ancora fondi supplementari per la guerra in Iraq. I costi sono ormai lievitati a 12 miliardi al mese. Ora il presidente statunitense George W. Bush intende chiedere al Congresso 194.5 miliardi di dollari supplementari per l’anno fiscale 2008 (che parte dall’1 ottobre prossimo) l’anno più caro in assoluto. Ne dava notizia ieri il Los Angeles Times, citando fonti del Pentagono. Complessivamente, tra il 2004 e il 2008, la guerra in Iraq verrà a costare quindi circa 700 miliardi di dollari. L’aumento della spesa è legato all’invio dei militari supplementari prima dell’estate e allo sfruttamento di nuove e più costose tecnologie per blindare i mezzi cingolati Mrap, in modo da resistere alle mine, oltre che a costi aggiuntivi delle operazioni CIA e alle ulteriori spese per la mega-ambasciata di Baghdad.

 

  • Palestina. 24 settembre. Abbas caldeggia la presenza di Damasco alla «conferenza di pace». Il presidente palestinese, Mahmud Abbas, che incontrerà la prossima settimana il suo omologo statunitense, George W. Bush, vuole che gli USA invitino Siria e Libano a partecipare alla «conferenza internazionale di pace» prevista per novembre. Lo riferisce un collaboratore del dirigente palestinese, Nimer Hamad, che ha rilasciato dichiarazioni in tal senso al quotidiano israeliano Haaretz. La segretaria di Stato statunitense, Condoleezza Rice, che presiederà questa conferenza, si è impegnata ad invitare il Comitato di Supervisione della Lega Araba, nel quale sono rappresentati Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Siria, Libano. Secondo fonti palestinesi, anche l’Arabia Saudita avrebbe esercitato pressioni in tal senso su Washington. Beirut condiziona la sua partecipazione a quella della Siria.

 

  • Iran. 24 settembre. Teheran chiude il confine con il Kurdistan iracheno. La Repubblica Islamica Iraniana ha deciso di chiudere i suoi confini con la regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno. Tale decisione, in base alle dichiarazioni ufficiali, sembra essere la conseguenza del recente arresto di un iraniano in territorio iracheno da parte della truppe USA con l’accusa di terrorismo. In realtà l’arresto di Firhadi è solo l’ultimo di una serie iniziata lo scorso gennaio quando i militari statunitensi hanno arrestato ad Irbil cinque diplomatici iraniani con l’accusa di essere collegati al corpo dei Guardiani della Rivoluzione. Con l’occasione Teheran potrebbe aver inteso anche dare un colpo al fantomatico gruppo di separatisti kurdi iraniani del Pejak, le cui basi sono tacitamente accettate sul proprio territorio dal Kurdistan iracheno e supportate degli Stati Uniti. Da verificare anche l’atteggiamento della Turchia, che proprio nel corso dell’ultima settimana ha firmato un accordo con il governo iracheno per combattere gli indipendentisti kurdi, rifugiatisi anch’essi nel nord Iraq. La mossa di Teheran metterà comunque in difficoltà le autorità kurde. Circa il 60% dei prodotti esteri consumati in particolare nella regione di Sulaimaniya sono di provenienza iraniana, così come ottanta compagnie commerciali iraniane operano nella regione. Ciò significa che il Kurdistan iracheno sta andando incontro ad una vera paralisi commerciale con una dei suoi maggiori partner nel settore, nonché ad una impennata dei prezzi di molti beni di prima necessità.

 

  • Corsica. 25 settembre. Razzo anti-carro contro una caserma della gendarmeria francese. È accaduto ieri a Montesoru (Bastia). Ingenti i danni materiali, ma nessuna vittima o ferito, secondo fonti di polizia. Dieci giorni fa, sempre con un razzo anti-carro, era stata colpita una caserma dei reparti anti-sommmossa ad Aiacciu. Allora la polizia segnalò che il razzo era «di fabbricazione yugoslava o statunitense».

 

  • Palestina / Israele. 25 settembre. Ehud Olmert conferma che Israele non cederà il controllo di parte della Cisgiordania per almeno altri 20-30 anni. E poi: quella che George Bush sta promuovendo per novembre «è una riunione internazionale e non una conferenza di pace», ha proseguito parlando ieri alla Commissione Parlamentare degli Esteri e della Difesa della Knesset (Parlamento). Il primo ministro israeliano ha quindi ribadito il suo rifiuto a qualunque negoziazione con Hamas e che la sua interlocuzione si limita al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas, e al suo primo ministro, Salam Fayyad.

 

  • Iran / USA. 25 settembre. Discorso del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad dinanzi agli studenti della Columbia University (New York). Parlando in un clima non certo favorevole, il presidente Ahmadinejad ha ribadito che il pr