Anche loro, le coppie della cronaca, come Chiara Poggi e Alberto Stasi, risultano aver passato poco tempo assieme. Un paio di incontri la settimana, più SMS che telefonate, “perché non c’è poi tanto da dirsi”. Rapporti affettuosi, molto rispettosi (il “rispetto reciproco” è, in tutte le ricerche, il requisito più richiesto dai giovani in coppia), ma ad una certa distanza. Non diversa, del resto, da quella che i giovani tengono verso i genitori, gli insegnanti, verso tutti.
Come se la prima necessità fosse quella di ritrovare sé stessi, di capirsi, di affermarsi anche, ma individualmente, innanzitutto per conto proprio. Poi, come coppia, si vedrà. Questa distanza riguarda, fatalmente, anche la grande forza che spinge all’avvicinamento ed allo stare assieme, il sesso. I rapporti sessuali cominciano sempre prima, ormai molto spesso prima dei tredici anni; ma si diradano anche in fretta: verso i 19 anni si tratta per molti di un’esperienza già svuotata del suo pathos originario.
Lo si fa, senza perderci la testa, si torna a dormire a casa propria anche quando i genitori non ci sono o non farebbero obiezioni, la propria camera, e le proprie abitudini e comodità la vincono di gran lunga sul desiderio (non più irrefrenabile) di stare con l’amato/a.
L’altro, del resto, la pensa spessissimo nello stesso modo. Gli anni della simbiosi, nei quali domina l’attaccamento per l’altro, assieme a quello, fortissimo, per il gruppo di amici, sono quelli della preadolescenza e dell’inizio dell’adolescenza. Verso la fine delle superiori, 17-18 anni appunto, è già tutto finito. Il giovane si applica, con attenzione e senza troppi voli di fantasia, alla costruzione della propria identità e della propria vita. Questo nella maggior parte dei casi, se si è riusciti ad evitare il circuito distruttivo delle dipendenze da sostanze (droghe e alcool), e della socialità patologica che vi convive.
Il valore di questo tipo di coppia sta nel programma, e nell’abitudine, di “farcela da soli”, e nella rinuncia a quella rassicurazione narcisistica, continuamente richiesta all’altro, e al gruppo amicale, che ha indebolito gran parte delle generazioni dagli anni Settanta fino a poco fa. E’ come se, di fronte al proliferare delle famiglie che scoppiano, ed ai martellanti e un po’ demenziali messaggi del sistema di comunicazioni, con la loro ipersessualità gridata e il loro stile caratterizzato da un’euforia maniacale, i giovani ripiegassero sul “porto sicuro” della loro camera e delle loro esperienze quotidiane, scuola – lavoro – forma fisica, per trovare il modo di resistere e crescere in un universo collettivo e relazionale da cui non si sentono affatto rassicurati.
Come dar loro torto? E’ probabilmente anche in questo ripiegamento su di sé che nascono scelte molto avvedute, che contrastano con la visione banale che la politica italiana sembra avere dei giovani “bamboccioni”. Come, ad esempio, la forte ondata di emigrazione di giovani dall’alta qualificazione scolastica e professionale verso Gran Bretagna e Stati Uniti, dove vedono possibilità di formazione e guadagno che l’Italia chiacchierona non offre. Scelte, anche queste, ispirate da un preciso progetto individuale, e più difficili da realizzare in coppia.
E’ come, insomma, se l’indebolimento delle istituzioni familiari e sociali spingesse i giovani ad una sorta di percorso di sopravvivenza individuale, spesso solitario e discreto. Certo, l’autosufficienza individuale è un mito altrettanto falso di quello della coppia-aggiustatutto. I nuovi giovani, innamorati della libertà e della distanza, scopriranno anche quello.

da “Il Mattino di Napoli”