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La "Rivoluzione culturale" cinese tra retroscena e Guardie Rosse

di Luigi Carlo Schiavone - 09/10/2007

 

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In seguito al fallimento della politica del “gran balzo in avanti”, varata nel maggio del 1958 per migliorare la produzione agricola cinese, e alla sempre più esplicita rottura con l’U.R.S.S., Mao Tse-tung decise, al fine di limitare l’azione dei moderati guidati dal Presidente della Repubblica Liu Shao-Chi, di varare una forma di lotta del tutto nuova per un regime comunista: egli, infatti, mobilitò contro i suoi avversari politici le generazioni più giovani, esortandole a ribellarsi contro quei dirigenti sospettati di percorrere la “via capitalistica”. Il culmine di tale mobilitazione sfociò nel fenomeno passato alla storia come “Rivoluzione culturale”, ideata da Mao per evitare l’involuzione autoritaria e burocratica della rivoluzione cinese e basata essenzialmente su una “mobilitazione delle masse” al di fuori del PCC, in modo che dalla loro inventiva scaturissero quelle forze e quelle iniziative, di stampo popolare, necessarie per il rilancio della rivoluzione stessa, senza che si dovesse far ricorso al peso dell’apparato. Una rivoluzione che fu “culturale” soprattutto nel senso del comportamento socio-politico, distanziandosi così da quella del 1949, il cui esito fu raggiunto con l’uso delle armi e non con un’opera specificatamente politica. Nonostante la periodizzazione cinese configuri tale fenomeno come un evento perpetratosi dal 1966 al 1976, tutti gli storici concordano nell’affermare che il fulcro di tale rivoluzione sia da ritrovare negli anni che vanno dal 1966 al 1969. L’attacco agli scrittori, in effetti, ebbe inizio nel novembre del 1965, grazie ad un articolo di Yao Wenyuan sul giornale di Shangai, il Wenuibaho, in cui si attaccava ferocemente il vicesindaco di Pechino, Wu Han. Costui, professore di storia e membro della Lega Democratica nonché drammaturgo, era stato autore, nel 1961, di un dramma dal titolo Hai Rui destituito, che, sebbene all’epoca non avesse provocato alcuna reazione, fu visto da Yao Wenyuan come una critica mascherata nei confronti di Mao e, allo stesso tempo, come un elogio per il maresciallo Peng Duhai, deposto nel 1959 perché contrario alla politica del “gran balzo in avanti”.
Nel 1966 l’intero mondo intellettuale, reo di essersi sottratto al primato della politica e alle direttive del partito che l’invitava a seguire la linea proletaria andando verso contadini ed operai, fu messo sotto accusa; oltre Wu Han, infatti, furono attaccati personaggi del calibro di Jian Bozan, Xia Yan, e Tian Han, colpevoli di adulare la Cina del passato anziché la nuova. Un ruolo fondamentale in questa campagna fu ricoperto dagli organi di stampa che scagliarono molteplici attacchi contro tutte le opere letterarie considerate cariche di riferimenti politici anti-socialisti e anti-partito. A questa azione di carattere culturale andò ad affiancarsi una sempre più vasta manovra militare orchestrata dal Ministro della Difesa Lin Biao; egli, infatti, approfittando dell’arresto “per complotto” del Capo di Stato Maggiore Luo Ruiging, stanziò a Pechino delle proprie truppe scelte. Tale manovra portò all’allontanamento dalla guida del PCC della città di Pechino di Peng Zhen, colui che foraggiava la maggior parte degli artisti e letterati oppostisi alla nuova Cina; questa azione, inoltre, permise a Mao Tse-tung di spostare il centro della Rivoluzione culturale da Shangai a Pechino. Giunto nella capitale il 16 luglio, dunque, il leader rivoluzionario mise sotto accusa i “gruppi di lavoro” voluti dal presidente Liu Shao-Chi, sciogliendoli il 24 luglio. Il 26, Mao decise di chiudere per sei mesi le scuole e le università in modo da riformarle in senso “rivoluzionario”. Fu in questo clima che gli studenti più impegnati rimasero nei dormitori scolastici dando vita ai primi nuclei di “Guardie Rosse”, che assunsero il ruolo di avanguardie rivoluzionarie nelle grandi città.
Dal 1° al 15 agosto del 1966 si tenne l’XI° Plenum del Comitato Centrale, voluto da Mao per ufficializzare i mutamenti avutisi nei mesi precedenti ed annunciarli alla nazione; il 5 agosto, intervenendo con un dazibao dal titolo: “Bombardare il Quartier Generale”, il presidente Mao chiese di attaccare con forza le istanze revisioniste di Liu Shao-Chi, (nel frattempo precipitato dal 2° all’8° posto della scala gerarchica del partito) definito il “Kruscev cinese”, oltre ad ottenere l’approvazione di un documento di sedici punti. Considerato la carta fondamentale della rivoluzione culturale, quest’atto mirava anche a spiegarne il senso, individuando in essa una grande rivoluzione che “tocca l’uomo in quello che ha di più profondo”, impegnata a rivoluzionare il modo di pensare dell’uomo, a migliorarne le prestazioni, e quindi non in contrasto con lo sviluppo della produzione. Come già accennato in precedenza, protagoniste assolute di questo fenomeno rivoluzionario furono le Guardie Rosse.
Queste formazioni, sostenute da Mao, che nella manifestazione inaugurale della Rivoluzione culturale, il 18 agosto 1966 a piazza Tian’anmen, ne indossava il bracciale come segno di approvazione della loro azione, s’erano organizzate inizialmente nella scuoia media indipendente dell’Università di Qinghua, per poi creare ulteriori nuclei in tutte le strutture scolastiche ed universitarie; il nome rievocava il passato eroico del PCC quando era in lotta col Kuomintang e i giapponesi.
Precedentemente organizzate dal partito, ben presto le Guardie Rosse iniziarono realmente a formarsi spontaneamente, abbandonando così l’originale impostazione teorica volta a discutere e a migliorare, alla luce dei nuovi principi esposti nel Libretto Rosso, le situazioni che osservavano da vicino in favore di un impegno concreto nella strenua lotta per eliminare tutti i dirigenti dell’apparato partitico e statale in odor di “imborghesimento”. La loro azione, finalizzata a “distruggere il vecchiume”, si sviluppò soprattutto nelle campagne adiacenti alle città e nelle fabbriche e si servì di tutti i mezzi messi a loro disposizione: dalla violenza fisica al reperimento di materiale riservato dagli archivi di Polizia… Tutto era lecito per accusare quegli elementi che il “Sottogruppo del Comitato Centrale per la rivoluzione culturale” non aveva deciso di difendere. Dal novembre del 1966 iniziarono a circolare nella capitale libelli contro Liu Shao-Chi ed altri massimi dirigenti; il 4 dicembre 1966, inoltre, Peng Zhen fu arrestato e sottoposto, con altri dirigenti, alla pubblica gogna nello stadio di Pechino. Di fronte a ciò, l’apparato del PCC cercò di reagire, ma Mao, deciso a far piazza pulita dei suoi oppositori, diede ordine alle Guardie Rosse di “prendere in mano il potere”. Iniziò così la “tempesta di gennaio” nella quale le Guardie Rosse, coadiuvate dai reparti militari, occuparono tutte le sedi del partito nelle grandi città.
La presenza dei militari, come descritto nelle circolari della Commissione Militare del PCC, oltre a sostenere gli elementi di sinistra, aveva la duplice finalità di garantire la definitiva scomparsa di ogni tendenza anarchica e di contenere la libertà di azione di cui avevano fino ad allora goduto le Guardie Rosse. Si tentò, inoltre, un’irreggimentazione di tutti quei gruppuscoli creatisi a livello cittadino e provinciale obbligandoli a formare alleanze e federazioni, unica soluzione per garantire al Partito Comunista di guidare ancora la rivoluzione cinese.
Nel maggio del 1967 si riacutizzò il dibattito sull’arte e la letteratura, con una svolta che sembrò riportare la Rivoluzione culturale ad interessarsi agli argomenti dal quale era scaturita. Ma ciò rappresentò esclusivamente una pausa. I militari che avevano sostenuto i reparti di sinistra attenendosi per lo più al rispetto degli ordini, infatti, iniziavano a mostrare segni di insofferenza e a pretendere maggiore autorità. Non furono rari i casi in cui decisero d’appoggiare gruppi più moderati e opposti alle Guardie Rosse, di cui mal digerivano i metodi d’azione. Simbolo di tale insofferenza fu l’episodio della città di Wuhan sul fiume Yangzi. Qui le truppe del generale Chen Zaidao sostenevano un gruppo denominato “Milione di eroi”, composto principalmente da giovani operai e minatori, che cercava di ridurre all’impotenza le Guardie Rosse locali; quando, il 14 luglio del 1967, le Guardie Rosse ricevettero la visita di due loro potenti protettori di Pechino quali Wang Li e il generale Xie Fuzhi, il gruppo del “Milione di eroi”, ritenendo un simile atto come un’ingerenza inaccettabile del centro per la gestione della zona, insorse, appoggiato dalle truppe di Chen Zaidao. Le ripercussioni furono notevoli: Wang Li, malmenato dagli insorti, fu deposto dai suoi incarichi, mentre il generale Chen fu solo allontanato dal comando. Tale decisione rappresentò un segno evidente del cambiamento di rotta che Mao stava ormai operando. Giunto alla consapevolezza di non poter gestire il paese senza l’apporto dei militari, infatti, Mao iniziò a concedere loro la maggiore autorità richiesta. A questa manovra affiancò ben presto un’ampia epurazione dal Sottogruppo di tutti quegli elementi colpevoli di aver orchestrato un attacco in forze contro i “borghesi nell’esercito” e di aver organizzato una “Brigata Sedici Maggio” per portare avanti un simile intento. Le violenze, che avevano occupato la scena per tutta l’estate, iniziano a scemare proporzionalmente al crescere del potere dei militari. Mentre le scuole vennero riaperte, all’esercito furono assegnati compiti più vasti inquadrati nella formula: “tre sostegni e due compiti militari” o per meglio dire di: sostenere la sinistra, l’industria e l’agricoltura oltre al controllo e istruzione.
Sulla fine del 1967 abbondarono i temi teorici che alimentarono la “critica di massa” e la stessa storia del PCC venne riscritta seguendo i crismi della più pura ortodossia maoista. Il 1968 vide il rafforzarsi dell’apparato amministrativo e lasciò intravedere una possibile riabilitazione dei normali organi di partito, mentre Lin Biao rafforzava sempre più la sua posizione, approfittando anche del fatto che il PCC continuava ad operare attraverso le strutture politiche dell’esercito. Tuttavia, Mao, coadiuvato dal Sottogruppo e dagli organi di stampa, tentò, nella primavera del 1968, di rilanciare la tematica di sinistra con cui s’era aperta la Rivoluzione culturale. Ma a questo predominio congiunto dei militari e dell’apparato risorgente s’opposero ancora molte delle “organizzazioni di massa” sorte nel 1966-67. Questa resistenza allo scioglimento indusse Mao a dare l’ordine di occupare militarmente alcune delle roccaforti delle Guardie Rosse ancora in vita. Le truppe, accompagnate dalle “Squadre Operaie di propaganda del pensiero di Mao Tse-tung” occuparono dunque il Politecnico Qinghua di Pechino; le altre università seguirono l’esempio.
Con un articolo a firma di Yao Wenyuan apparso il 25 agosto su “Bandiera Rossa”, nel quale furono elencati i principi ispiratori della nuova fase, racchiusi nell’espressione di Zhou Enlai “unificare il nostro sapere, i nostri passi, i nostri atti”, la Rivoluzione Culturale diede l’addio alla fase di rottura. Allo scioglimento definitivo delle Guardie rosse fece seguito un provvedimento che toccava soprattutto i giovani, i quali, una volta terminata la scuola secondaria inferiore, era mandati nelle zone rurali per essere rieducati dai contadini poveri.
Nonostante la fine ufficiale della Rivoluzione culturale sia stata sancita con l’XI° Congresso del PCC nel 1977, fu negli anni 1966-67 che essa si batté duramente per evitare che il sistema cinese scivolasse verso una burocratizzazione come era già accaduto a quello sovietico. Gli strumenti dovevano trovarsi nel sorgere di meccanismi istituzionali, controllati dalla base produttiva e sociale, capaci di fornire un’espressione rivoluzionaria al potere politico proletario.
Ma, alla fine, anche Mao, che aveva lanciato la Rivoluzione culturale per sconvolgere la cultura nel senso socio-antropologico del termine e sconfiggere così ogni sorta di “confucianesimo” antico o moderno, rinunciò alla democrazia diretta e optò per l’integrazione dei delegati popolari nell’apparato rinnovato, tramite una triplice unione composta da: “ribelli rivoluzionari, militari rivoluzionari e quadri rivoluzionari”.