Quella di Venter non è vita e non è artificiale
di redazionale - 09/10/2007
Il cromosoma “creato” dal biochimico americano deve ancora
superare la prova dell’innesto in una cellula.Per ora la sua è
un’innovazione tecnologica, non una “second life” prodotta in laboratorio
Il biochimico americano Craig Venter
ama stupire il mondo con effetti speciali.
Primo a realizzare, nel 1992, della decodifica
dell’intero Dna di un batterio, l’Haemophilus,
Venter è stato anche il primo ad
aver decifrato un intero genoma umano. Il
suo, per la precisione, anche se, forse per
un eccessodi fretta comprensibile nel fondatore
di Celera Genomics, Venter annunciò
l’avvenuta decodifica con qualche anno
di anticipo, salvo poi recuperare.
Appare però del tutto prematuro attribuirgli
l’atto di esordio di una vera “second
life”, la costruzione del primo mattone
della “vita sintetica” di cui abbiamo
letto in questi giorni, con toni ammirati o
scettici. Venter, come ha ben spiegato il
biologo Angelo Vescovi, ha tutt’al più realizzato
“un’innovazione tecnologica importante,
non una scoperta epocale”. Il cromosoma
artificiale da lui creato nei laboratori
della Synthetic Genomics (la società
da lui cofondata con il Nobel 1978 per la
medicina, Hamilton Smith) e che sul Guardian
dello scorso sabato è stato descritto
come la scoperta che segnerà il secolo,
non è infatti artificiale in senso stretto.
Venter ha semplicemente eliminato una
parte del Dna, da lui giudicata “inutile”,
dall’unico cromosoma del Mycoplasma genitalium,
un batterio estremamente semplice
e per questo facile da manipolare.
Ha così ottenuto un “nuovo” (le virgolette
sono obbligatorie) cromosoma dal genoma
abbreviato, ribattezzato Mycoplasma laboratorium,
e lo ha riprodotto. Ma un cromosoma
non è, di per sé, sinonimo di vita,
tantomeno di “vita sintetica”. Può crederlo
solo chi si beve la ridicola equazione
“Dna=vita”. La vita di un organismo è
qualcosa di infinitamente più complesso
del suo Dna, e il cromosoma ottenuto da
Venter deve ancora dimostrare di riuscire
a indirizzare la crescita di un organismo,
di sapersi autoriprodurre, di poter produrre
proteine. Dovrà quindi essere inserito
in una cellula, per capire se è davvero in
grado di assumere il controllo dei processi
biochimici che possiamo chiamare –
quelli sì – “vita”.
Il mago Craig Venter, da ieri è impegnato
nell’annuale conferenza del suo istituto
di ricerca, a San Diego, quel passaggio non
l’ha – ancora – realizzato. Si è limitato ad
annunciarlo come prossimo, ma ammesso
che tutto funzioni, rimane il fatto che i
“mattoncini” del suo cromosoma artificiale
esistono già tutti in natura. Venter si è
dimostrato ancora una volta molto abile,
ha “tagliato e cucito” da maestro in modo
tecnicamente sofisticato (in laboratorio e
sui mezzi di comunicazione) ma ci vuole altro
per dichiararsi concorrenti di Dio. Anche
i superscienziati come lui, possono
“creare” vita solo partendo da altra vita.
L’antico sogno dell’alchimista è il passaggio
dall’inanimato all’animato: irealizzabile,
anche per Venter. La frontiera sulla
quale il biochimico californiano agisce riguarda
per ora “il disegno e la costruzione
di nuovi dispositivi, parti e sistemi biologici,
e il ri-disegno, per fini vantaggiosi, di sistemi
biologici naturali esistenti”, come ha
scritto l’Economist in un articolo che un
anno fa descriveva la ricerca sulla “vita
sintetica”. Il Mycoplasma laboratorium
potrà forse davvero servire, un giorno, a
fabbricare combustibile o farmaci a basso
costo. Ma in attesa che si realizzino i sogni,
non sarebbe male ragionare sugli incubi
che potrebbero generarsi dall’interazione
tra organismi dal genoma “artificiale” e organismi
naturali. Non si tratta di pomodori
geneticamente modificati, ma di batteri.