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Imparare a decrescere

di Jacopo Matano - 09/10/2007

Fonte: aprileonline

 

 

Cultura/Economia      Il dibattito di ieri a Roma con Serge Latouche. Tanti i temi, dal revival ambientalista degli ultimi anni alla trappola liberista in cui è caduta la sinistra, dall' "ecomunicipalismo" alla "pedagogia delle catastrofi". Senza dimenticare un elogio della convivialità



“Un altro mondo è necessario” viene da dire dopo aver ascoltato il padre della teoria della decrescita. E giustamente, perchè Serge Latouche non solo convince, ma spinge a convincere. Latouche l’economista, Latouche il filosofo, Latouche il professore, chiamato dai parlamentari della Commissione Cultura per un illuminante seminario mattutino di formazione e scienze sociali. Latouche il guru, che davanti ad una platea pomeridiana composta da studenti e semplici interessati, insegna, incanta, spaventa, e soprattuttto fa riflettere. E se è vero che parlare di tematiche come il “tecnodigiuno” ed il “paradigma delle catastrofi” non è proprio una barzelletta, che male c’è ad esordire così: <<un vecchio pianeta e la Terra si incontrano dopo tanti anni. Si salutano, si abbracciano, ed il vecchio pianeta chiede: “come stai?”. “Non molto bene”, risponde la Terra, “ho preso questa malattia molto difficile da debellare, si chiama Umanità”. E il pianeta: “Una volta ce l’ho avuta anch’io, ma non preoccuparti: non devi farci niente, dopo un po’ si debella da sola”>>

DECRESCENDO - Seduti al tavolo insieme a lui, a discutere di ambiente, economia, modelli di sviluppo, ci sono il presidente della Rete per la Decrescita Mauro Bonaiuti, Pietro Folena, presidente della Commissione Cultura della Camera, ed il suo collega di mestiere e di partito Paolo Cacciari, moderati da Roberto Mastroianni. E tutti sono d’accordo su un punto: la decrescita non è soltanto uno slogan. Eppure come tale funziona, e lo fa notare lo stesso Latouche. Decrescita è un termine che carpisce immediatamente l’ attenzione per la forza sovversiva di quel prefisso decostruttivo posto prima dell’ormai banalizzato concetto di crescita. Perché non si tratta soltanto dell’inverso del termine crescita. La decrescita smonta la crescita. Un’idea talmente alterizzante, talmente “strana” che di primo impatto mette paura, e poi spinge a pensare alla direzione che stiamo prendendo, a quanto siamo attaccati alla libertà d’acquisto e al paradigma della modernità, quello sviluppo visto soltanto come incremento e accumulazione di capitale, e soprattutto consumo. La cultura della crescita, spiega Latouche, porta l’uomo ad essere una “specie suicidiaria” perché contiene in sé una contraddizione in termini: la crescita non ha altro fine se non sé stessa. E’ una macchina senza obiettivi se non l’espansione di sé stessa, ed è costruita per essere potenzialmente infinita. Però c’è un però: “l’uomo crede di poter crescere all’infinito”, dice l’economista. E continua: “Ma il pianeta Terra non è infinito”.

IL CALCIO CHE SERVE - Eppure non tutti sono sull’orlo del baratro, pronti a buttarsi giù: “chi segue e studia la scommessa della decrescita è già uscito dalla tossicodipendenza del consumo”, e sta già mettendo in atto la terapia per disintossicarsi del tutto. Seguendo due binari: il primo è quella “forza positiva” che spinge a “lavorare meno per vivere meglio”, il secondo è invece la “pedagogia delle catastrofi”. E cioè un vero e proprio “calcio nel culo”, come scandisce senza intoppi di traduzione. 

Latouche e gli adepti della filosofia della decrescita non sono, in buona parte, dei politici. Eppure la loro teoria è un' "utopia concreta", che agisce come progetto politico nel momento in cui si pone l'obiettivo di trasformare la società per renderla autonoma e non parassitaria. Ecco quindi l' "ecomunicipalismo", il ritorno alla comunità, l'abbattimento delle gerarchie, la modifica dei meccanismi di ricambio delle classi dirigenti su un'impronta casuale (come il sorteggio della polis ateniese), e, in ultimo, il ritorno alla convivialità, a quella "filìa" greca che ha illuminato i beaux siécles delle arti e delle idee. La decrescita è un idea-non-luogo, un'isola felice del pensiero e della politica, come quelle dei "proto" e primi socialisti, sognatori che tentarono la strada dell'applicazione pratica: i Fourier, gli Owen, come ricorda Bonaiuti. Resta il fatto che il Novecento ha visto l'Utopia, quella del diciannovesimo secolo così come quella di Tommaso Moro, trasformarsi nel mostro che divora le libertà, nello Stato totalitario, nell'alienazione sovietica. E ha spinto i vari Mumford, i vari Popper, a scagliarsi contro l'idea utopica perchè contenente in sé l'elemento autoritario per il solo fatto che essa progetta la socialità secondo crismi costrittivi (come si realizza, ad esempio, la convivialità/felicità?). Latouche cerca di dare una risposta a chi vede nella sua idea di democratizzazione radicale l'impossibile, o l'inauspicabile perchè reazionario. Per approfondire, comunque, basta ricordarsi che la "scommessa della decrescita" non è solo un'idea: è anche un saggio, edito quest'anno da Feltrinelli.