Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il fanatismo rende tutti uguali

Il fanatismo rende tutti uguali

di Carmelo R. Viola - 10/10/2007

 

Il fanatismo rende tutti uguali
Pierre Joseph Proudhon


Ragazzo ho pianto leggendo le “Parole di un ribelle” del principe russo Pietro Kropotkin. I grandi scrittori anarchici (vedi anche Proudhon, Bakunin, Tolstoj e Malatesta) affascinano, commuovono, coinvolgono. E’ evidente che sognino una società di uguali, di liberi e di compagni: non vogliono lo Stato originario, quello attuale, ma non una società senza Stato. Sono gli epigoni che stravolgono il loro unico progetto sociale possibile: un’utopia trasformabile in realtà. E così diventano fanatici anche loro. Sembra un controsenso ma è, purtroppo, la verità. Gli anarchici politicamente intesi sono potenzialmente dogmatici, fanatici e intolleranti come qualunque altro seguace di un’ideologia o di una fede religiosa, essendo queste sorelle gemelle.
Il mio lavoro sull’anarchismo etico (di cui è apparsa sul quotidiano “Rinascita” una validissima recensione a cura di Enea Baldi) mi è stato suggerito da un incontro amichevole con militanti anarchici del settore siciliano a distanza di oltre 40 anni dalla mia appassionata e molto produttiva militanza giovanile, quando venni letteralmente “ostracizzato” dal movimento nazionale per avere messo in dubbio il dogma del senza-Stato sebbene in termini di un possibile dialogo negato. L’Inquisizione non discuteva le eresie: bruciava gli eretici e non solo questi. C’è evidente analogia.
Non si può non concordare con le critiche sintomatiche degli anarchici ma non dissentire dalla loro diagnosi (lo Stato come male supremo dei mali sociali) e dalla loro terapia (distruzione dello Stato) in quanto antibiologica.
Avevo pensato per un po’ che fossero diventati più realistici e avevo chiesto ai responsabili attuali dell’editrice, che pubblicò le mie prime cose , se pubblicassero un mio lavoro sulla mafia (che intendo come espressione paralegale del capitalismo, su cui anche loro non possono non concordare). Il lavoro stava per essere passato alla stampa quando hanno sospeso l’iniziativa solo perché hanno scoperto la mia firma sul detto quotidiano, da loro ritenuto, a torto, fascista. Ma semmai lo fosse stato, che rapporto c’è con la pubblicazione di un lavoro contro la mafia?
Proposi un questionario per farne oggetto di una pubblicazione a due voci. L’interlocutore - né altri in sua vece - non mantenne la promessa della risposta. Dopo lunghissima attesa fui costretto a rispondermi io stesso sostenendo nel contempo che l’unico anarchismo condivisibile è quello dell’individuo che assume ogni responsabilità di un’azione compiuta per una causa che la propria coscienza ritiene giusta, definendolo “etico”.
La mia risposta al questionario è risultata la dimostrazione scientifica del non senso logico e biologico di una società senza Stato, che equivale ad “organismo senza organizzazione”! Tuttavia, il mio lavoro, forzatamente monocorde, per assenza di un interlocutore, era anche un’affettuosa proposta di dialogo, un atto di perdurante “amore umano” per gli amici anarchici. Ma nessun militante e nessuna testata giornalistica del movimento anarchico - ha raccolto tale proposta di dialogo. Evidentemente, ho peccato ancora d’ingenuità.
Devo pertanto ricordare come quindici anni fa avevo avuto una riconferma clamorosa del fanatismo dogmatico degli anarchici “reali” che sistematicamente rifiutano l’occasione di chiarirsi definitivamente e uscire dal limbo dentro cui si muovono da secoli, preferendo commettere anche l’assurdo culturale della negazione del dialogo. Racconto. Sapevo dell’esistenza della rivista mensile (A) e ne avevo chiesta una copia-saggio. Era il n.ro 187 del dic. ‘91-gen.’92 e conteneva un lungo articolo dal titolo “Municipalismo libertario” a firma di Murray Bookchin fondatore dell’ecologia sociale. Nell’occhiello d’introduzione si diceva che costui rispondeva ad alcune critiche e che “il dibattito prosegue”. Ripeto: “il dibattito prosegue”. Contento (ingenuamente) dell’inaspettata felice occasione, con lettera datata 4 feb. 1992 invio un mio intervento per esprimere ed illustrare la mia opinione essere il “municipio autonomo”, per l’appunto libertario, un micro-Stato anche quando potesse essere realizzato e quindi bisognoso di uno Stato nazionale propriamente detto e di Stati sopranazionali al di dentro dei quali interagire con la innumerevole miriade di municipi libertari, ovvero di micro-Stati. Quella municipale è un’utopia più grande di quella del non-Stato. Mi si rispose che il mio discorso era estraneo alla rivista. Il fatto si commenta da sé! La locuzione “il dibattito prosegue” sottintendeva “sulle modalità del municipio in questione con assoluto diniego di negarlo”! Il fatto si commenta da sé!
Stando così le cose, che ne sarà degli anarchici? Gli attentati ad personam (che non sono terrorismo) segnarono una loro epoca romantica. Successivamente hanno avuto il merito di avere compreso la inutilità di quel gesto per realizzare la società senza Stato (anche se a Gaetano Bresci, giustiziere del Re Buono (ma fucilatore di affamati) è stato eretto un monumento). Dopo la Comune di Parigi, finita nel sangue, unica occasione di tentata realizzazione violenta dell’anarchia è stata la cosiddetta Rivoluzione Spagnola del ‘36. Quell’esperienza non è bastata ad insegnare ai nemici del potere politico che un potere si abbatte solo con un altro potere con tanto di gerarchia autoritaria. Infatti, dapprima prevalse quello del Governo Caballero, che non era l’anarchia ma quanto abbiamo detto con in più tre ministri (sedicenti) anarchici. Dopo, quello funesto di Franco.
L’anarchismo è destinato a restare - per propria determinazione - il muro di un pianto sterile; il ricettacolo di scontenti, disadattati e sbandati senza cognizione sociale; l’ambiente di fini analizzatori della criminalità dello Stato asociale-padronale; l’occasione surrettizia dell’esercizio dell’autorità in nome dell’antiautorità (la sublimazione freudiana dell’autorità repressa); il sabotatore, in nome dell’anti-Stato, di eventuali colpi di Stato socialista (v. rivoluzione di Castro); il trampolino di lancio per atti di protesta motivati ma inconcludenti (come quello dell’insurrezionismo o dell’esproprio proletario); il possibile capro espiatorio -magari innocente - di crimini commessi da altri, da parte di funzionari dello Stato in cerca di facile successo.
Mi si dimostri il contrario.