Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Che votate a fare?

Che votate a fare?

di G.P. - 11/10/2007

 

Che il referendum sul welfare sarebbe stato solo una formalità, una passiva asseverazione di quanto già deciso da governo e sindacati, nessuno lo dubitava. Che si sarebbe arrivati anche alla “sofisticazione” del voto poteva, invece, apparire meno scontato, anche se qualcuno aveva paventato tale possibilità, tanto che una parte della sinistra “di lotta e di governo” si era già messa sul chi vive. Il là alla contestazione è stato dato ieri da Marco Rizzo del PCDI con una dichiarazione al fulmicotone che ha denunciato manovre poco chiare intorno alla consultazione dei lavoratori sul protocollo del welfare, alle quali non sarebbero estranei i vertici sindacali. Qualora la cosa fosse vera, e personalmente credo che i termini della questione, così come posti da Rizzo, non siano affatto peregrini*, sarebbe solo l’ennesima testimonianza del ruolo giocato dal sindacato nelle relazioni sociali, industriali e nell'approntamento della politica economica in Italia, soprattutto allorchè sulle “cadreghe” di palazzo Chigi stridono i culi mastodontici di governatori cosiddetti amici.
Ma fare due conti, in questi casi, non guasta mai anche perché serve a capire dove eventuali rapporti di forza sfavorevoli possono essere raddrizzati. I sindacati stanno perdendo la rappresentanza nei settori industriali, in seguito alla sigla di scriteriati accordi che hanno frantumato le prerogative conquistate dai lavoratori dopo decenni di dure lotte; la CGIL, in particolare subisce, e non da ora, una grave emorragia di adesioni, tanto che deve cedere il passo alle altre due “sorelle” confederali e alle varie sigle autonome (in termini relativi, sintende, perché in termini assoluti tutti i sindacati sono in calo di adesioni) anche nei settori metalmeccanici, con una tendenza al declino che appare irrefrenabile (in proposito vedere il Successo della Uilm nelle elezioni per il rinnovo delle Rsu allo stabilimento Sata-Fiat di Melfi. Qui  la maggior perdita di consensi rispetto ai risultati della precedente consultazione l'ha fatta registrare la Fiom, -7%). Quindi diciamo che era abbastanza scontato, in un clima di diffidenza generalizzata da parte dei lavoratori, che il quesito referendario sulla proposta di accordo con il governo, voluta da questi sindacati profondamente “ingialliti”, incontrasse il massimo sfavore nei luoghi di lavoro. Ma i sindacati pur essendo ormai avulsi alle dinamiche industriali – più interessati ad ottenere concessioni per i propri apparati collegandole, di volta in volta, ad interessi corporativi da tutelare a livello aziendale- possono contare sul controllo di pensionati e di spezzoni del pubblico impiego. In pratica, i Sindacati Confederali, hanno scelto per sé un ruolo molto più redditizio adottando il modello americano, importato in Italia dalla Cisl, per la tutela degli interessi corporativi ma facendo la propria parte nell’elaborazione complessiva della politica economica del paese. Per questo Epifani lega la vittoria del "Si" al referendum alla sorte del governo di centro-sinistra, preoccupandosi di questioni che non dovrebbero riguardarlo affatto. (A proposito, se voi foste lavoratori sottopagati e costretti ai lavori più usuranti vi fareste rappresentare da queste gente senza un minimo di empatia economica con la vostra situazione? Guglielmo Epifani della CGIL guadagna 3.500 euro netti al mese, i 12 segretari confederali circa 2.400 euro. Raffaele Bonanni della Cisl 3.430 euro netti al mese. Luigi Angeletti della Uil 3.300 euro netti al mese, mentre i dieci segretari confederali 2.850 per quelli di via Po, 2.900 quelli di via Lucullo).
Però a condannare l’attacco di Rizzo ci ha pensato l’ineffabile SubComandante Bertinotti, il quale udite udite, ha dato sfoggio, per l’ennesima volta, di buon senso democratico appreso a livello istituzionale: «il referendum è un esercizio di democrazia straordinario. Possono esserci dei nei, ma trovo fuorviante discutere di brogli(…)Il referendum è un'operazione impegnativa e complessa fondata sulla autodisciplina. Non c'è un'autorità che vigila, come ad esempio il Viminale nelle ordinarie consultazioni elettorali». Di fronte ad una dichiarazione di questo genere rispunta prepotente la frase di Marx citata nell’articolo (apparso oggi sul blog) a firma di A. Berlendis “è abbagliato dalla magnificenza della grande borghesia e simpatizza con le miserie del popolo. Interiormente si lusinga di essere imparziale e di aver trovato il giusto equilibrio, che—egli pretende—è qualcosa di diverso dalla mediocrità. Un piccolo borghese di questo tipo divinizza la contraddizione, perché la contraddizione è la base della sua esistenza. Egli stesso non è altroché una contraddizione sociale in atto. Egli deve giustificare in teoria ciò che è in pratica….”.
Ed ecco definito, come meglio non si poteva, quello che si può stigmatizzare con il nomignolo di “comunistardo”, uno che si convince delle proprie menzogne perché il praticarle ordinariamente gli ha fatto guadagnare un bel po’ di fama e di ricchezza. Così il “comunistardo” imbastardisce la teoria “rivoluzionaria”, in ossequio ad una “pratica” quotidiana che è tipica del “borghese” illuminato, quello che scambia il materialismo storico con la filantropia.
Bertinotti, se fosse un comunista vero, partirebbe da ben altri presupposti prima di lanciare le sue lezioni diplomatiche e democratiche. Un comunista realmente tale non potrebbe fare a meno di constatare che i sindacati confederali sono apparati pienamente inseriti nella gestione del potere, sono cinghie di trasmissione che funzionano come selzer, con l’obiettivo primario di far digerire ai lavoratori accordi peggiorativi ma tutelando i propri apparatnik. E No! Perchè Lui in tutto questo ci vede solo dei “nei” che non inficiano la proceduralità democratica. Allora, democrazia per democrazia, non sarebbe stato più giusto far decidere ex ante ai lavoratori su un’ipotesi di accordo da sottoporre, in seconda battuta, al governo e poi ritornare ai lavoratori per la ratifica o la ripulsa del testo eventualmente modificato? Questa sarebbe una forma di democrazia “alta” che Bertinotti non può contemplare nel suo vacuo frasario di uomo delle istituzioni.
Con questo accordo nequizioso s’iscrive, invece, un epitaffio definitivo sulla possibilità di dare nuova dignità al lavoro, la legge Biagi diverrà la bibbia con la quale si continuerà a smembrare il mondo del lavoro spalancando alle future generazioni il baratro di una precarietà inarrestabile, sia per  qualità delle prestazioni che per trattamenti economici.