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La casta dei giornali

di Giulio Gargia - 11/10/2007





 

Anche le più recenti inchieste sulla “casta” e sui “costi della politica” glissano o ignorano totalmente quello pure è uno dei più grossi scandali degli ultimi decenni: il finanziamento statale dei giornali.

Non si tratta solo di un intricato caso di rapina delle risorse pubbliche, ma anche di una micidiale distorsione del mercato editoriale (che penalizza, marginalizza ed elimina l'editoria indipendente, minore e locale) e di una sistematica manipolazione della vita democratica.
“La casta dei giornali” di Beppe Lopez, in libreria il 15 ottobre (edito da Stampa Alternativa – Eri Rai), riempie questo vuoto, raccontando più in generale lo stato in cui è mortificata in Italia l'informazione, ridotta a “specchio del diavolo”della casta del Potere.

L'inchiesta di Lopez fa luce sul portentoso flusso di danaro pubblico, calcolato sui 700 milioni di euro in un anno, che finisce per mille rivoli, sotto forma di contributi diretti o indiretti – attraverso una stratificazione di norme clientelari, codicilli, trucchi e vere e proprie truffe - nelle casse di grandi gruppi editoriali, organi di partito, cooperative, giornali e giornaletti, agenzie e radio e Tv locali, ma anche di finti giornali di partito, di giornali di finti “movimenti” e di cooperative fasulle. Rimpolpando gli utili degli azionisti di grandi testate in attivo. Alimentando sottogoverno e clientele. E consentendo illecite rendite e privilegi mediatici a un esercito di “amici degli amici”. Di destra, di sinistra e di centro.

Ne “La casta dei giornali” si ripercorre la storia ultra- venticinquennale di questa vicenda: dalla legge n. 416 del 5 agosto
1981 (“Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l' editoria”) e dalle prime ragionevoli motivazioni dell'intervento
economico pubblico diretto nell'editoria, alla stratificazione progressiva di privilegi, norme clientelari, codicilli, trucchi,
mediazioni, trattative di corridoio, accordi trasversali, inciucii e vere e proprie truffe attraverso le quali quell'iniziale intervento si è via via degradato e gonfiato a dismisura. Sino all'attuale, disperato tentativo – già fallito dall' ultimo governo Berlusconi e ora ripreso, fra mille, potenti resistenze trasversali dal governo Prodi – di risanare e ridurre quell'esborso
pubblico, specie in presenza di politiche di contenimento della spesa pubblica e di una situazione economica assai difficile per il Paese e in particolare per i ceti più meno abbienti.Lo scandalo è clamoroso non solo per la straordinaria entità di questa voce dei “costi della casta”, ma anche sul piano etico e morale perché esso è stato sostanzialmente nascosto alla
pubblica opinione e “trascurato” dai giornali, direttamente percettori di rendite inconfessabili o comunque “politicamente scorrette”. Siamo cioè di fronte a quello che è forse il più vergognoso fenomeno di collusione e di omertà di cui si sia macchiata l'informazione in Italia, perseguendo un consapevole e sistematico disegno di occultamento dei fatti, per interessi di settore e di casta. I giornali, in questa vicenda, sono venuti meno non solo al sistema di principi deontologici che ne hanno conformato la funzione storica, sociale e morale, ma al principio più elementare che solo ne determina, giustifica e consente la sopravvivenza: dare le notizie.

In definitiva il finanziamento pubblico dei giornali e le particolari tipologie d'intervento applicate hanno ulteriormente
accentuato le caratteristiche di autoreferenzialità, di separatezza dalla gente e dal mercato, e di subalternità al potere politico ed economico che hanno storicamente qualificato il nostro sistema della comunicazione. Sino a farne complessivamente – ad esclusione di poche isole di professionalità e di impegno civile – un pezzo della casta del potere.