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Fuoco sacro

di Claudio Ughetto - 11/10/2007

     

Autore: Bruce Sterling
Titolo: Fuoco sacro
Edizioni: Fanucci, Roma 2000
Pagine: 320

Nabokov diceva, giustamente, che le idee non fanno bene ai romanzi. Difatti, è irritante leggere dei romanzi a tesi, strumenti utilizzati dall’autore per dimostrare una “verità” o la sua adesione alla “verità”.
Viceversa, la poesia del romanzo dovrebbe innalzarsi al di sopra d’ogni tesi e d’ogni visione realistica. Parafrasando Kundera, il romanzo è una riflessione sull’esistenza: deve innanzitutto porsi delle domande, esprimere quel regalo della modernità che è l’umorismo nell’ambito del beneficio del dubbio.
Dopo questa premessa, eccomi a discorrere di un romanzo di Bruce Sterling, scrittore d’idee che continua a definirsi di fantascienza. Difatti, Sterling non ha mai nascosto la sua verve di raffinato polemista e geniale catalizzatore delle idee e delle inquietudini postmoderne. Inventore, con William Gibson, del movimento cyberpunk, in realtà Sterling ha spaziato nel campo delle idee animato da una partecipe curiosità intellettuale. Proprio per questo i suoi romanzi non appartengono alla categoria propagandistica, bensì si muovono nelle idee senza esporre certezze e ci giocano con leggerezza pop, nel più sano beneficio del dubbio.
“Fuoco Sacro” ci sorprende ad ogni pagina, sia per le domande che pone, sia per le originali soluzioni letterarie all’interno del genere “fantascienza”.
Mi chiedo, ad esempio, se Sterling non ha mai letto “Potere e sopravvivenza” di Elias Canetti (ed. Adelphi), poiché le analogie tra “Fuoco sacro” e il pensiero dell’autore di “Massa e potere” sono evidenti. Difatti, il romanzo non mi sembra tanto interessato alle conseguenze della sperimentazione scientifica, come invece pretendono in quarta di copertina, e nemmeno si fossilizza sulle conseguenze morali della raggiunta immortalità. Questi argomenti, semmai, sono un pretesto per dissertare su tre questioni legate alla nostra epoca, sospesa tra il secondo e il terzo millennio: il rapporto con il Potere (chi lo detiene e su che basi), la denominazione di “vita autentica” in quella che James Hillman chiama “Cultura dell’air bag” e il destino dell’arte in tale cultura.
Sterling mette in scena l’ipotetico mondo del 2095. Superate le grandi epidemie della prima metà del secolo, i sopravvissuti hanno costruito una società nella quale l’industria farmaceutica ha il monopolio economico. Gli sforzi più intensi sono rivolti all’allungamento della vita umana, tant’è che la classe dirigente è formata da gerontocrati in buona salute e discreta forma all’età di 90 anni. Prima non è possibile avere ruoli di rilievo. Si vive in un mondo a basso tasso di violenza e se anche i giovani sono costretti ad arrangiarsi, conducendo una vita tra l’espediente e il bricolage, i gerontocrati si prodigano a rivolgere sussidi e sostegni economici pur di mantenere la quiete pubblica. È una società priva di inventiva, statica: la scienza ha sostituito l’arte, il mercato non è competitivo (abolita la pubblicità) ma non per questo collettivizzato – semplicemente le multinazionali si fanno pagare ciò che offrono dall’alto.
Mia Zieman è una gerontocrate di 94 anni che lavora in campo farmaceutico. Ormai è riuscita ad accumulare la ricchezza che le permette un certo grado di sicurezza, eppure è profondamente insoddisfatta. Quando si reca al capezzale di un amante che ha conosciuto 70 anni prima, la sua crisi aumenta. Come se ciò non bastasse, incontra una giovane che sta per commettere gli stessi sbagli che lei ha commesso in gioventù, e da quel momento decide di cambiare. Si sottopone ad un trattamento dei telomeri cellulari e ringiovanisce ad un’età apparente di circa 20 anni. I dottori dovrebbero monitorare la prognosi, seguirla nell’evoluzione, ma lei riesce ad eludere la sorveglianza e fugge in Europa a vivere come una sbandata. Diventata Maya, vive il suo wanderjarh, viaggio di iniziazione tra Strasburgo, Praga e una Stoccarda di salubre muffa. Avrà come amici degli anarcoindividualisti alla ricerca del “fuoco sacro” dell’arte, che in quella società rappresenta una rischiosa risposta all’immobilità e alla mancanza di idee.
Non vado oltre, se non dicendo che il romanzo e bellissimo.
Personalmente sono stato colpito da come l’arte rinasce in una simile società: non sperimentazione ardita, bensì recupero della materialità e degli oggetti d’uso. Artigianato nel terzo millennio. Maya diventerà una fotografa vagabonda, alla ricerca di un’intuizione che troverà solo a fine romanzo, proprio di fronte a quell’umanità che lei, postumana, ha rifiutato per recuperare a livello concettuale.
Inoltre, questo romanzo sembra appunto dar ragione a Canetti: chi sopravvive agli altri che muoiono acquisisce potere; ma, aggiunge Sterling, a prezzo della creatività: anche i postumani come l’amica Benedetta, orgogliosi della raggiunta immortalità, come artisti non possono escludere quella percentuale di rischio e di decadenza che è propria dell’arte.
Strutturalmente “Fuoco sacro” rinnova buona parte dei topos fantascientifici. Si presenta come un Bildungsroman, romanzo di formazione sulla scia che da Goethe va a Thomas Mann e, nonostante Sterling sia considerato un cyberpunk, del romanzo manniano prende a prestito la scrittura dialettica, le brevi digressioni e le descrizioni degli elementi decorativi e architettonici dell’epoca, il confronto delle idee.
C’è poca azione in “Fuoco sacro”, eppure non vi è escluso il fascino dell’alta letteratura.