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I costi ambientali della carne

di Marina Mele - 11/10/2007

 
 
Tra tutte le più serie minacce all’ambiente viene trascurato un fattore fondamentale: l’allevamento di bovini e altri animali per l’alimentazione umana.
Recentemente ha trovato ampia eco sugli organi di stampa la notizia  – ripresa a più voci soprattutto in chiave ludica – che il bestiame genera il 18% dei gas serra, valore più alto di quello dei trasporti. In particolare al  bestiame sono riconducibili una percentuale maggiore di gas nocivi come ad esempio il 65 % delle emissioni di protossido d’azoto in gran parte provenienti dal letame (che contribuisce al riscaldamento terrestre quasi 300 volte di più del biossido di carbonio) e il 37% del metano, che ha un effetto 23 volte superiore a quello dell’anidride carbonica come fattore di riscaldamento del globo.
L’allevamento su vasta scala, sia di tipo intensivo (in grosse stalle senza terra come in Italia), sia di tipo estensivo (i grandi ranch degli Stati Uniti o i pascoli di paesi del Sud del mondo) è chiaramente insostenibile dal punto di vista ecologico. E si osserva inoltre che il pervasivo modello alimentare – tutto americano - basato sull’iperproduzione di alimenti di origine animale ha spinto intere popolazioni da sempre a regimi alimentari diversi a consumare carne abitualmente.
Si calcola che la metà delle terre fertili del pianeta sia oggi usata per coltivare cereali, semi oleosi, foraggi destinati agli animali: nella foresta dell’Amazzonia l’88% dei terreni disboscati è adibito a pascolo, così come quasi il 70% delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama. La grande richiesta di mangimi incoraggia i governi dei paesi del terzo mondo ad abbandonare le loro pratiche di agricoltura sostenibile per avventurarsi nella produzione di cereali e mais remunerativi per l’esportazione: anche durante la carestia della metà degli anni ’80, l’Etiopia ad esempio esportava grano ai paesi occidentali invece di utilizzarlo per sfamare le popolazioni locali.
Spinti dal facile ed immediato lucro interi settori della zootecnia tradizionale vengono smantellati mentre sorgono immensi capannoni per gli allevamenti. Anche il Worldwatch Institute denuncia gli allevamenti intensivi e sottolinea come nel prezzo della carne dovrebbero perlomeno essere conteggiati i costi ambientali.
 
Eccoli dunque i costi ambietali della carne:
 
MONOCULTURE e DEFORESTAZIONE
L’allevamento intensivo riduce la biodiversità ed incentiva le monoculture; a lungo termine, le monoculture rendono la terra improduttiva. Nel caso della foresta pluviale lo strato di terra su cui crescevano le foreste è molto fine e una volta tagliato o bruciato il verde la terra può produrre foraggi solo per qualche anno (circa  8) prima che si innesti un processo di desertificazione. La desertificazione e la veloce erosione della terra contribuiscono all’aumento della povertà. E ciò senza considerare tutti i danni arrecati all’intero ecosistema locale, sia in termini di fauna che di flora..
 
CLIMA
E’ immediato il collegamento tra i cambiamenti climatici ed il citato scempio delle foreste ed il progressivo inaridimento di vastissime zone del pianeta: anche alcune parti delle Grandi Pianure del “West” americano si stanno trasformando in deserto, con fiumi divenuti ruscelli.
 
PRODOTTI CHIMICI
Il massiccio uso di fertilizzanti è dovuto soprattutto alla pratica della monocultura che risulta conveniente perché consente una industrializzazione spinta. L’abuso di prodotti chimici è evidente dai dati statistici: in Germania, Giappone, Gran Bretagna se ne usano più di 300kg per ettaro, in Italia 104, 35 in Cina, 22 in Messico. Dal 1945 ad oggi il consumo di pesticidi è decuplicato, mentre il danno provocato dagli insetti alle colture è raddoppiato.
 
DEIEZIONI ANIMALI
Le deieizioni, prodotte in milioni e milioni di tonnellate, non possono essere impiegate tutte come concime e soprattutto contengono metalli pesanti, quali zinco e rame, che sono somministrati artificialmente agli animali allevati e che raggiungono il terreno in concentrazioni notevoli al limite della fitotossicità. Si parla oggi di “fecalizzazione ambientale” - lo smaltimento di questi liquami avviene per spandimento sul terreno - con i conseguenti rischi di inquinamento microbiologico per le falde acquifere ed eutrofizzazione dei mari. Come dimenticare poi di segnalare i residui dei farmaci (soprattutto antibiotici ed ormoni) somministrati alle bestie.
Un dato per dare un senso alle dimensioni del problema: il livello di inquinamento da deiezioni da animali equivale in Italia ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini (più del doppio del totale della popolazione).
 
LE ACQUE
Il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall’agricoltura (i cui prodotti sono per lo più destinati agli animali). Quasi la metà dell’acqua consumata negli Stati Uniti è destinata alle coltivazioni di alimenti per bestiame.
Una vacca da latte beve 200 litri di acqua al giorno, un bovino 50, un maiale 20, una pecora 10.
Considerato l’utilizzo dell’acqua per l’irrigazione, la pulizia delle stalle e dei macelli si calcola che per produrre un grammo di proteine animali è necessario usare in media 15 volte la quantità d’acqua necessaria per produrre un grammo di proteine vegetali.
 
IL CONSUMO DI ENERGIA
L’ “indice di conversione” è un dato che misura la quantità di cibo necessaria a far crescere di 1 kg l’animale. Ad un vitello servono 13 kg di mangime per aumentare di 1 kg, 11 kg ad un vitellone, 24 ad un agnello.
Mediamente la produzione di carne richiede un investimento di energia 10-20 volte superiore alla produzione della stessa quantità di alimentazione sotto forma di grano.
 
TRASPORTI
Sono un altro pesante costo per l’ambiente: gli animali allevati vengono macellati altrove e quindi trasportati nei “viaggi della morte” in condizioni per lo più inaccettabili e brutali.
 
MALATTIE
Come già accennato, e sempre più testimoniato dalle indagini incrociate su produttori/veterinari/allevamenti, l’utilizzo di ormoni (stimolanti della crescita cui si ricollega il fenomeno di anticipo della pubertà) e medicinali di ogni tipo - anche cancerogeni – è frequente: un rischio serio e concreto per la salute pubblica. Ma non è tutto: il bestiame costretto in ambienti malsani ed innaturali sviluppa 30 volte più grassi saturi, i più dannosi.
 
                 
Secondo le stime della FAO, la produzione mondiale di carne raddoppierà entro il 2050, con effetti potenzialmente catastrofici per la biosfera. Tanto concreto è il rischio che è stato lanciato il monito per dimezzare i danni ambientali prodotti da ciascun capo di bestiame.  Metodi più efficaci di conservazione del suolo, nuove diete animali per ridurre le emissioni di metano e sistemi di irrigazioni più efficienti sono le proposte, che appaiono davvero poco incisive rispetto alle dimensioni del problema. Per l’Europa, sia i governi che gli allevatori industriali dovrebbero operare congiuntamente in un’ottica di protezione ambientale e sono indispensabili sussidi che incoraggino solo metodi di allevamento e coltivazione armoniosi.
Inesorabilmente la riflessione su tutti questi dati ci porta a dover riconsiderare la nostra dieta indicandoci una via decisamente più vegetariana. A dire il vero da tempo diverse organizzazioni vegetariane avevano sollevato il problema della eccessiva produzione di carne e delle sue conseguenze, ma scarso risalto hanno trovato a livello nazionale. Essendo la zootecnia il settore in più rapido sviluppo dell’agricoltura mondiale, non è difficile immaginare che interessi economici immediati ci spingono – ancora una volta – a comportamenti alimentari non corretti e soprattutto insostenibili a lungo termine.
Non è certo necessario abbracciare il credo vegetariano nelle sue molteplici forme; si tratta solo di seguire con costanza una dieta bilanciata. Riscoprire ad esempio per quanto riguarda il nostro paese le meraviglie della dieta mediterranea e concedersi l’apporto di proteine animali con giudizio.
Gli effetti della sovrapproduzione di carne sono devastanti, le conseguenze sul pianeta definitive.
Anche in questo caso ogni cittadino può e deve con la propria scelta di acquisto quotidiana segnare un punto di svolta per le politiche ambientali.