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Michel Onfray: l'ateo confuso

di Umberto Bianchi - 13/10/2007

 

Michel Onfray: l'ateo confuso
 


E’ proprio vero: i pregiudizi determinati da confusione, ignoranza, malinteso e malafede sono i più difficili ad essere estirpati e, nonostante da più parti si vada dicendo che oggidì il pensiero nelle sue elaborazioni post-moderne abbia assunto una maturità ed una consapevolezza prima impensabili, leggendo il “Manuale di ateologia” di Michel Onfray, vi renderete conto che così non è, anzi. Da più parti applaudito e considerato un salutare ritorno a posizioni di chiaro ateismo (così come da un Gianni Vattimo stesso incautamente affermato!), dimostra invece di essere un coacervo di inesattezze e sfondoni a non finire. Ad esser criticabile non è tanto la posizione atea di Onfray, quanto l’imprudente ed affrettato impianto ideologico che sta alla base dell’intero testo. Non sono pochi gli autori atei, scettici o agnostici che oggidì matengono nei riguardi della religione un prudente e costruttivo rapporto, più mirante ad un lavoro di confronto sulle tematiche della post modernità. Autori come Jurgen Habermas hanno intrattenuto con papa Ratzinger un rapporto di costruttivo confronto, lo stesso Massimo Cacciari (autore a cui non si possono certo imputare posizioni conservatrici!) ha recentemente presentato l’ultimo opera ratzingeriana sulla figura di Cristo; le posizioni di un Emanuele Severino, molto critiche nei riguardi della chiesa cattolica, possiedono una consistenza ed una profondità assolutamente non riscontrabili nel tanto osannato testo di Onfray. Ma procediamo per ordine. Il “Trattato” inizia con un distinguo tutto all’insegna della solita malcelata e smielata ipocrisia: lui, Onfray, è “buono”; non ce l’ha con chi soffre di quella strana patologia mentale, per la quale si crede che tutte le cose esistenti debbano fare riferimento ad un’origine superiore. Lui, il “buono”, lascia che costoro soffrano in pace, mentre pone i suoi paletti con quelli che da queste strane credenze guadagnano potere e posizioni di vantaggio. Religiosi, teologi e simili sono d’ora in avanti avvertiti: non credano di illudersi, dovranno fare i conti con il paladino di un nuovo ateismo, vera e propria panacea a tutti i mali del mondo d’oggi. A questo scopo il nostro traccia una serie di linee guida da cui partire in questa nuova ed appassionata avventura “ateologica”. L’Illuminismo, anzitutto; è sì necessario un ritorno allo spirito dei Lumi, ma non a quello di Voltaire, Rousseau, Kant ed altri, a detta del nostro troppo “buonisti” e moraleggianti e, come l’attuale filosofia post moderna, tutti troppo volti a sostituire alla vecchia religione una nuova forma di insipido devozionalismo moraleggiante. Al diavolo dunque la vecchia ed onusta morale kantiana, ed avanti tutta all’insegna di un sano e gaudente edonismo. Il mondo è materia pura, come diceva il buon Democrito, un vorticoso insieme di rutilanti palline (atomi). Dunque se Dio esiste, egli è fatto di atomi; la vita è qui ed ora. Nessun altro mondo, nessun principio trascendente, al diavolo Platone, Pitagora e tutta quella massa di gonzi bigotti venuti dopo. Il sapere di una filosofia laica e materialista è l’unico sano rimedio alla religione, il cui unico scopo è quello di creare illusori “oltremondi”, facendo dimenticare al povero fedele la vita di quaggiù, in tutti suoi molteplici aspetti. Quindi avanti tutta con Epicuro e Democrito, per un mondo in cui si goda e si viva “hic et nunc”, senza se e senza ma. Nell’iniziare questa nuova ed entusiasmante impresa, il buon Onfray parte a testa bassa contro le tre religioni del Libro. Ebrei, Cristiani, Islamici, sono tutti accomunati da una storia fatta di odio, guerre, intolleranza ed, in ispecial modo, esse sono tutte animate da un profondo disprezzo per la vita. Lo dimostrano tutte quelle mortificazioni e restrizioni inflitte al corpo ed a tutti i piaceri della carne, dalla pratica della circoncisione, all’odio per la donna eletta a simbolo di tentazione. Non solo. Il cieco devozionalismo mal si accorda con tutte le forme di sapienza filosofiche viste come fumo negli occhi dai sostenitori di un bieco devozionalismo ad oltranza. In questo titanico tentativo, Onfray passa in rassegna le tre religioni a cui accolla di tutto e di più. A partire dal Mosè genocida del Vecchio Testamento, alla storia delle violenze cattoliche dalla fine dell’impero romano alla tragica epopea della colonizzazione europea, passando per lo spirito guerresco islamico, da Maometto ad Al Qaida, nulla e nessuno viene risparmiato dall’impietosa analisi del filosofo d’oltralpe. La storia dei tre monoteismi è vista come un reciproco sterminarsi tra le tre confessioni senza esclusioni di colpi. Tanto per dare al proprio lavoro un pizzico di revisionismo, il nostro ci pone nelle orecchie il dubbio sull’esistenza della figura di Cristo. Nonostante piena di inesattezze e luoghi comuni, l’analisi dell’Onfray potrebbe offrire alcuni interessanti spunti di riflessione ma, ad un certo punto, il Nostro, come si dice a Roma, “sbrocca”. La parte finale del suo testo è integralmente dedicata a dimostrare che lo spirito violento ed intransigente dei cattolici si travasa nel Fascismo e nel Nazismo, di cui certo Islam sarebbe addirittura l’ideale prosecutore. Da analisi un po’ sopra le righe sulle umane degenerazioni dello spirito religioso, il suo testo diviene uno sgangherato tentativo di attribuire al Fascismo ed al Nazismo tutti mali presenti e passati ( e perchè no, anche futuri!) del mondo.
Fascisti e Nazisti furono antisemiti, dittatoriali ed intransigenti come quei preti con cui stipulavano concordati e da cui nell’immediato dopoguerra ricevettero ospitalità, e via dicendo. Il piatto del solito e melenso antifascismo d’annata è servito! Onfray sembra qui aver totalmente dimenticato che Fascismo e Nazismo nacquero e si svilupparono in un ambito laico, come estrema sintesi tra socialismo, nazionalismo e futurismo. L’ammirazione nei riguardi del cattolicesimo da parte di alcune figure-chiave del nazionalsocialismo (come nel caso di Himmler) riguardava più che altro la storia e la struttura totalitaria dell’organizzazione ecclesiastica, non certo il suo impianto ideologico. In questo caso, anzi, Hitler mostrò la propria ammirazione ed il proprio interesse per la religione islamica (si leggano a tal fine le testimonianze di Leon Degrelle…), affermando ripetutamente l’immaturo antropomorfismo del cristianesimo. La politica dei due totalitarismi fascista e nazista puntava ad una supremazia assoluta del partito o dello stato, in veste di vera e propria religione laica. Gli accordi con le singole autorità ecclesiastiche rivestendo, in tal caso, un valore di meri tatticismi. Non solo. Nella sua carrellata anti-monoteista Onfray parte a testa bassa nell’ammucchiare ed accomunare tutte e tre le religioni in un unico calderone di violenza ed intolleranza, dimentico delle fondamentali differenze teologiche e narrative tra i tre testi. Se nel Vecchio Testamento sono riportate le vicende militari di Mosè, conclusesi con il genocidio e la strage dei vari Cananei, Amorrei, Filistei e via discorrendo, con tanto di esortazione divina, con l’Islam la cosa è un po’ differente. Maometto dovrà affrontare “manu militari” coloro che lo perseguitavano (in primis le tribù ebraiche Quraishite) accordando a costoro, dopo la vittoria sul campo, un generoso perdono, permettendo ai fedeli cristiani ed ebrei la possibilità di continuare a professare la propria religione, a patto della corresponsione di un simbolico obolo. Maometto affermerà risolutamente la propria contrarietà alla morte di innocenti in guerra, al suicidio, ponendo in tal modo dei precisi limiti e prescrizioni alla pratica del Jihad o “Guerra Santa”, da intraprendersi solamente in caso di aggressione e pericolo di sopravvivenza dei sacri principi del Corano. Il Dio universalista degli islamici si contrappone così all’iroso ed etnocentrico Jahvè della tradizione ebraica. Quando si trova a trattare del cristianesimo, ci sembra che Onfray commetta un’altra leggerezza: Cristo per lui non è mai esistito, le testimonianze in questa direzione sono troppo frammentarie e postume, in tal modo va da sé che l’importanza del testo evangelico si sminuisce. Anzitutto, non vediamo perché Buddha, Mahavira, Zoroastro, Maometto sarebbero esistiti, mentre la figura di Cristo rappresenterebbe una colossale invenzione. Secondo poi, il nostro imprudente “maitre a penser” dimentica la natura metaforica dei testi religiosi; per farsi capire dai semplici fedeli, essi debbono usare un linguaggio fatto di immagini, segni e simboli la cui interpretazione ed esegesi rappresenta una vera e propria branca di studi. La figura del fanciullo divino (Zeus, Dioniso, Eracle, Mosè, Cristo, etc.) la risurrezione (Zeus, Dioniso, Eracle, Persefone, Osiride, Cristo, etc.), il paradiso (Eden, Campi Elisi, Walhalla, etc.) ma anche le semplici prescrizioni igieniche (divieto di ingerire determinati cibi o bevande, la circoncisione, etc.), l’apparizione di un personaggio dalle virtù o dai poteri miracolosi (Eracle, Tagete, Ermete Trismegisto, Esculapio, Buddha, Mosè, Cristo, etc.), fanno tutti parte di quel bagaglio di contenuti simbolici la cui valenza archetipica è comune a tutte le culture umane, di tutti i tempi, non solo quindi alle cosiddette “religioni del Libro”. Tutto questo anziché sminuire, rafforza la natura del messaggio religioso, imperniato sulla tensione dell’uomo verso l’infinito. Il messaggio religioso, nella propria fase di elaborazione non può non tener conto delle radici storiche e culturali del popolo a cui si riferisce, che informano di sé l’intero svolgimento di un determinato testo mitologico o religioso che dir si voglia. Per cui la natura dei vari messaggi religiosi non può essere sminuita più di tanto dalle vicende di un singolo popolo, né però questo fatto può comportare una automatica eguaglianza e fratellanza tra tutti i credi.
Una cosa è quindi la fisiologia del fenomeno religioso, altra le giuste e le- citissime differenze di contenuto tra le varie fedi. Ma di tutto ciò il nostro “maitre a penser” sembra non avvedersi, intento com’è a sparare a zero su tutto ciò che sa di religione, dimentico delle storture e delle tragedie provocate dalle nuove “fedi atee” quali marxismo o capitalismo le cui origini, anche se mutuate da precedenti schemi organizzativi monoteistici, proseguono su una strada del tutto peculiare ed originale, quale quella rappresentata dalla sintesi tra economia e tecnica. Nel rivalutare a tutto campo una filosofia di materialistico edonismo, Onfray non si rende conto che in un contesto dominato da una simile visione unilineare dell’esistenza, l’unico sicuro punto di approdo diviene giuocoforza l’economicismo più bieco.
Nessuno nega l’importanza dell’esperienza estetica o estetizzante sul percorso esistenziale di ciascun individuo. Tale esperienza è però frutto di quella tensione volta all’affermazione del proprio sé sul continuo fluire della realtà circostante. Tale tensione è a sua volta l’espressione di un superiore impeto vitale, che fa dell’uomo un essere le cui potenzialità conoscitive ed interiori sono proiettate verso l’infinito. L’Onfray di tutto ciò dimentico, ha paradossalmente fatto del suo libello il manifesto di un nuovo intollerante e bigotto fideismo, imperniato su un materialismo ateo a buon mercato, qui e là condito di un rancido ed avariato antifascismo, nel miserando tentativo ( tra l’altro avallato da più di una voce della sinistra radical-chic) di accreditare le proprie deboli argomentazioni, come unica via d’uscita dalle secche del tanto deprecato relativismo frutto del dominio economicista sull’intero pianeta.