Michael Clayton

Il cinema ri/scopre che le donne sono (anche) cattive. Esce Michael Clayton, con George Clooney che affronta una manager di ferro, disposta a tutto per il potere, e si rimane di stucco. Ma come, non erano loro le vittime, schiacciate dalla sete di potere degli uomini? Lo sono, rispondono altri, solo che ora fanno le cattive per conto dei maschi, come nel film. Le cose, però, sono più complesse. L’ambizione, e la concretezza, sono infatti, da sempre, un talento femminile.
Non sono solo i film (per esempio: Una donna in carriera, o Il diavolo veste Prada), a raccontarlo, ma anche ricerche e sondaggi, che hanno documentato come le donne che lavorano preferiscano avere superiori maschi, perché più comprensivi e meno pignoli, delle manager.
L’ultimo è stato organizzato con notevole cura dal canale televisivo americano per donne lavoratrici “Lifetime”, pochi mesi fa. Risultato: solo una donna su tre preferisce avere un capo donna, e la percentuale diminuisce man mano che sale l’età, e l’esperienza, delle intervistate. Non solo perché la conflittualità femminile è altissima, oggi come sempre. Infatti, i commenti più spietati sulle donne, anche tra i VIP, vengono di solito proprio dalle colleghe.
I sondaggi sull’ostilità verso le donne capo, in azienda, letti più attentamente, documentano anche alcuni tradizionali talenti femminili: precisione, concretezza, attenzione. Tutte qualità importanti nel lavoro, e nell’amministrare cose e beni. Ma che possono essere vissute come spietate per chi le deve subire.
Questi stessi talenti non dipendono da questo o quel modello culturale, ma rimandano direttamente ai fondamenti simbolici delle differenze di genere. Il simbolo eterno della donna è quello della terra, un quadrato, e ne indica la stabilità, la persistenza, appunto la concretezza. Quella stessa qualità che la spinge, fin da giovane, a scegliere tra due partner il più solido, quello che ha maggiori prospettive appunto di carriera, di affermazione, per sé, ma quindi anche per la sua donna.
E’ questa stessa attenzione al successo, insomma la sua ambizione, che consente poi alla donna di aiutare il marito nella propria affermazione, contribuendo in modo decisivo al benessere familiare. Con qualche rischio, per via della tendenza a sovrapporre i propri obiettivi elevati alle capacità reali del compagno. Come accadde, ad esempio, nella coppia formata dal musicista Robert Schumann e sua moglie Clara, pianista dal talento straordinario.
Schumann, grandissimo compositore romantico, non sapeva però dirigere un’orchestra. La composizione tuttavia assicurava (allora come oggi) guadagni minori, ed un prestigio meno stabile e visibile, Clara lo spinse allora, fin dall’inizio, alla carriera di direttore di orchestra e coro, aiutandolo ad ottenere incarichi prestigiosi, ma per lui faticosissimi. Che contribuirono non poco a scatenare poi la sua crisi di follia, come racconta oggi lo psichiatra Uwe Peters (Robert Schumann e i tredici giorni prima del matrimonio, ed. Spirali).
Cattiva dunque Clara Schumann? No, piuttosto una moglie e madre devota, e molto efficiente. Persino troppo, per la più inquieta, ed in fondo instabile, sensibilità maschile, e certamente per quella del grande compositore romantico.
Così è anche, spesso per le donne manager. Non sono cattive: piuttosto molto efficienti, e sicuramente ambiziose. Un ottimo affare per l’azienda, come sono state, da sempre, per la famiglia, che senza la donna non sarebbe mai nata, né certamente sopravvissuta. Un rischio però per i collaboratori, specie se deboli e con la testa per aria.