Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ma l’islam non è il Nemico

Ma l’islam non è il Nemico

di Edoardo Castagna - 16/10/2007


 

 È
la storia di una lunga incomprensione, quella tra Occidente e islam. Che ancor oggi sembra lontana dal risolversi. Lo conferma lo storico francese Bernard Heyberger dell’Università di Tours, che da domani a Milano prenderà parte al convegno 'L’islam visto da Occidente'. Partendo da un momento cruciale dell’incontro­scontro tra le due culture: il Seicento.
 Perché tanta attenzione proprio al XVII secolo?

 «Mentre molti studi si sono soffermati tra i rapporti tra Europa e mondo musulmano nel Medioevo, il Seicento resta un periodo piuttosto oscuro. Eppure è quello cruciale, perché è stato allora che la scienza orientalista, secolarizzandosi, è andata oltre alla semplice apologia cristiana. E poi, in quegli anni anche il contesto politico mutò, passando dallo spirito della Crociata a una concezione moderna dei rapporti tra gli Stati. A partire dal fallito assedio di Vienna del 1683, la potenza turca faceva meno paura: così presero piede progetti di conquista del mondo islamico che non avevano più i caratteri spirituali di un ritorno in Terrasanta, ma quelli concretamente politici di un’espansione territoriale».

 Che tipo di conoscenza dell’islam iniziò allora a prender piede?

 «L’orientalismo mosse i primi passi per allontanarsi dalla precedente tradizione apologetica e controversista, tutta tesa non tanto a comprendere, quanto a confutare l’islam. Ma gli strumenti, per un’operazione simile, mancavano del tutto.
  Nacque però lo spazio per una visione antropologica più ampia che, pur senza avere nuovi dati in mano, seppe leggerli in maniera più critica, aprendosi anche al dialogo con gli ulema e i dotti musulmani. In questo processo, un ruolo di primo piano spettò ai missionari cattolici, tra i primi a scrivere libri sul Medio Oriente dopo averlo visitato – e non soltanto confutazioni: furono loro a diffondere le prime conoscenze, per esempio, sul sufismo. E non si limitavano alla teoria, ma mettevano anche in pratica la convivenza: le cronache testimoniano come, già nel 1630­40, i gesuiti avessero invitato dervisci a 'danzare' nella basilica del Salvatore, a Gerusalemme, accompagnati dall’organo».

 Quali elementi della cultura europea sono debitori, in questa fase storica, all’islam?

 «Prime vennero le conoscenze linguistiche, poi alcune storie del mondo. Il grande cambiamento venne con la traduzione de
Le mille e una notte, a cavallo tra Sei e Settecento. Dal punto di vista della cultura materiale, invece, fu quella l’epoca in cui gli ottomani fecero da tramite all’introduzione in Europa del caffè e della banana. Ma l’Europa non ebbe mai la consapevolezza di esserne debitrice al mondo islamico: era quasi inconcepibile l’idea che qualcosa di positivo potesse venire da quello che continuava a essere il Nemico».
 E oggi?

 «Non abbiamo fatto molti passi
avanti. Per esempio, resta diffusa in Occidente – così come, d’altra parte, tra i fondamentalisti islamici – l’idea che l’islam coincida esattamente con il Corano. Cosa che non è, ovviamente. Se nel Seicento era comprensibile, perché non esisteva un abito mentale capace di confrontarsi a un’altra religione senza lasciar prevalere la volontà di confutarla, oggi lo è un po’ meno».
 Potrebbe andare diversamente, in un momento di forte conflitto politico come quello attuale?

 «Forse no. Ma qualcosa si potrebbe fare; per esempio, i media potrebbero evitare di esaltare così tanto gli aspetti conflittuali. Poi, c’è un problema ancor più di fondo. Dopo il Concilio Vaticano II da parte cattolica è venuta una grande spinta, che ha fatto nascere un’islamologia seria, preparata, aperta; e dall’altra parte si sono trovate numerose personalità musulmane entusiaste di questa possibilità. Ma oggi i miei amici islamologi cattolici sono disperati: non ci sono più contatti, non trovano più controparti per una discussione di alto livello».

 Anche a causa del clima politico oggi dominante nei Paesi islamici?

 «Anche. Oggi molti musulmani vorrebbero la democrazia: e sono tutti o quasi costretto a fuggire in Occidente. Non credo che l’islam sia per natura tirannico, però è evidente che esiste un blocco, di natura intellettuale, che impedisce loro ogni atteggiamento autocritico sull’islam. Non solo sulle questioni fondamentali, ma perfino su quelle di filologia coranica. In politica, c’è il conflitto dovuto al fatto che la democrazia, cioè l’Occidente, è il primo nemico dei musulmani».

 «Dopo il Vaticano II i miei amici islamologi cattolici trovavano molte personalità arabe pronte al confronto.
  Oggi sono disperati: non c’è più nessuno»