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Caro petrolio, colpa della politica internazionale

di Marco Rogna - 17/10/2007

Fonte: voceditalia.it

 
Sfondato il tetto degli 85 dollari al barile, ma in caso di crisi con l'Iran si potrebbe arrivare ai 200

Mentre continua l’impennata del costo del petrolio c’è già chi ammonisce che questo potrebbe essere soltanto l’inizio. La notizia di possibili azioni unilaterali della Turchia nei confronti dei Curdi dell’Iraq del nord e dell’effetto destabilizzante che ciò potrebbe provocare ha fatto aumentare ancora il prezzo del greggio che ha sfondato la soglia degli 85 dollari al barile. Così oggi per acquistare un barile di petrolio Wti sul mercato Nymex servivano 85,19 dollari, mentre il Brent, ovvero il greggio estratto nel mari del Nord, scambiato a Londra, è arrivato ad 81,29 dollari per barile. Mentre alcuni vedono il prezzo attuale come qualche cosa di molto preoccupante sembra però che il peggio debba ancora arrivare. Andrea Fiano, giornalista economico di Milano Finanza, inviato a New York, ha spiegato a La Voce d’Italia che “85 dollari al barile è più un livello psicologico che altro. Per ora non si può certamente dire che questo arriverà ad avere una significativa ripercussione sull’economia. A beneficiarne, grazie all’aumento dei titoli saranno probabilmente le società di distribuzione dei prodotti petroliferi, ma ciò non vuole per forza dire che quelle fortemente consumatrici, come le imprese di trasporti subiranno pesanti perdite.” L’aumento che si è verificato oggi, effettivamente, non è stato uno sbalzo così improvviso e poi, come ha spiegato Fiano, “è avvenuto per un problema di politica internazionale. Questi aumenti potrebbero poi rientrare e quindi il prezzo del greggio calare nuovamente, mentre ci vuole solitamente molto tempo prima che le azioni delle compagie consumatrici di tale bene e più in generale l’intera economia di un paese risenta di questo aumento. Certo ora c’è l’inverno, con il conseguente aumento dei consumi da riscaldamento e quindi potrebbero esserci altri rincari per l’aumento della domanda”. Inoltre non ne saranno felici i consumatori.

E’ anche vero, però, che ormai alcuni parlano di un possibile raggiungimento di quota 100 dollari. A questo punto il superamento della quota 85 sembra qualche cosa di innocuo, mentre l’altra eventualità sì che sarebbe in grado di avere ripercussioni pesanti. Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, centro di ricerca specializzato nel settore energetico, ha affermato che in caso di sanzioni all’Iran l’eventualità non è da escludersi, ed anzi si potrebbe parlare addirittura di 200 dollari al barile in caso di un vero e proprio attacco. Lui comunque non è l’unica voce a proclamare una tale possibilità, anche Alan Greenspan, già alcune settimane fa, aveva parlato della mitica quota 100. Le vicende di politica internazionale, più che la mera legge della domanda e dell’offerta, sembrano governare il prezzo del greggio. Bisogna infatti pensare che l’Iran produce 3 milioni di barili al giorno e che attraverso lo stretto di Hormuz da lui controllato ne passano altri 17 milioni, ovvero la produzione di Emirati Arabi, Oman, Kuwait, Iraq e Arabia Saudita. Si capisce perciò come la politica americana ed internazionale in genere nei confronti di questo Stato sia uno degli elementi principali nel decidere il futuro prezzo del petrolio.

Provando a bandire ogni ombra di pessimismo e presumendo che la situazione iraniana trovi una soluzione pacifica è possibile allora che il greggio non continui a salire, ed anzi torni a calare? Secondo Tabarelli questo è probabile, anzi sarebbe lo scenario più plausibile, ma in realtà altri elementi potrebbero comunque far superare comunque la quota cento. Anche Fiano ha affermato che “essendo l’aumento attuale provocato sempre da elementi di politica estera, c’è la probabilità che, risolti questi, il prezzo torni a scendere”. Ovviamente bisogna tener conto delle speculazioni, ma riguardo ad esse Fiano è scettico, dicendo che “esistono, come in tutti i prodotti borsistici, ma attualmente non sembrano essere il principale motivo del rialzo”. Anche la speculazione poi difficilmente riesce ad essere portata avanti per un lungo periodo, tale da avere effetti significativi sull’economia in generale.

Infine bisogna considerare le differenze fra America ed Europa, per capire la possibile evoluzione. Da una parte c’è uno Stato che è riuscito ad attuare una politica di immagazzinamento di riserve dall’altro un continente i cui Stati sono sempre in equilibrio precario, così come lo è la Cina che continua a crescere e di pari passo aumenta la sua necessità di energia. Pensare, però, che ciò possa essere un motivo di possibile beneficio per gli Stati Uniti in caso di un consistente aumento del petrolio è, però, sbagliato. Le riserve sono un conto, ma solo i paesi produttori guadagnerebbero da un aumento duraturo e consistente del prezzo, come ci ha confermato Andrea Fiano: “Stiamo parlando di Stati che sono più o meno dipendenti, ma non di produttori. Al massimo gli Stati Uniti potrebbero diminuire il loro rallentamento economico, visto che adesso stanno registrando performance negative. Certo è che non servirebbe sicuramente a far progredire la propria economia ed il fatto che altri Stati possano entrare in crisi più velocemente sarebbe una consolazione da poco”. Il nostro paese in tutto questo si sta muovendo discretamente grazie alle compagnie energetiche presenti in Italia che sono molto attive all’estero. Basti ricordare l’Eni in Kazakistan, e poi c’è la costruzione dell’oleodotto Baku-Tblisi-Cheyan, che permetterebbe di evitare la via dell’Iran. Tutto ciò però non appare sufficiente in quanto il prezzo del petrolio è troppo legato al medioriente ed un aumento del prezzo potrebbe che essere mondiale.