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Togliatti e la conquista delle organizzazioni fasciste

di Sergio Romano - 17/10/2007


Dopo la lettura del suo editoriale sulla partecipazione di Beppe Grillo alla Festa dell'Unità ho fatto qualche ricerca sull'affermazione secondo cui Palmiro Togliatti avrebbe indirizzato, dopo la guerra d'Etiopia, un messaggio ai «fratelli in camicia nera». Riconosco, comunque con stupore, che nel gruppo dirigente del Pci vi fu una discussione sull'idea di aprire alle masse fasciste (più che al regime) in vista di una improbabile riconciliazione in chiave anticapitalistica.
Naturalmente la cosa fu presto accantonata: grandissima parte del partito comunista italiano era profondamente antifascista e scoppiava in quei mesi la guerra di Spagna. Infine, l'apporto o l'appoggio di Togliatti nei confronti di questa idea è abbastanza controverso (almeno secondo Paolo Spriano) e dopo pochi mesi, da Mosca, il compagno Ercoli si oppose duramente all'idea che alcuni dirigenti ancora si ostinavano a portare avanti.
David Marceddu
david.marceddu@ tiscali.it


Caro Marceddu, per comprendere la strategia di Togliatti nel 1936, occorre cominciare dalle lezioni sul fascismo che il leader comunista fece ai quadri italiani della Scuola Lenin a Mosca fra il gennaio e l'aprile dell'anno precedente. In quelle lezioni Togliatti continuò a sostenere, come in passato, che il fascismo era la forma politica preferita dalla borghesia per meglio esercitare il suo potere. Ma dimostrò al tempo stesso di essere particolarmente interessato alle organizzazioni che il regime aveva creato per inquadrare le masse e inserirle nel suo sistema politico. Come osserva Aldo Agosti nella sua biografia («Togliatti. Un uomo di frontiera») apparsa presso la Utet nel 2003, la sua attenzione si fermò soprattutto sui sindacati e sul dopolavoro. Notò che ai sindacati erano state riconosciute alcune prerogative, che le cariche erano elettive, che il partito fascista cercava di dare in tal modo una legittimità democratica al suo progetto per la creazione di una economia corporativa. E osservò che l'Opera Nazionale Dopolavoro era il primo tentativo di organizzare dall'alto il tempo libero dei lavoratori. Il senso delle lezioni era evidente. Esistevano organizzazioni in cui i militanti del Pc avrebbero potuto inserirsi per sfruttarne le finalità e gli statuti. «E' un errore, disse Togliatti, pensare che il totalitarismo chiuda alle masse la via della lotta per delle conquiste democratiche (…). Il totalitarismo non chiude al partito la via della lotta ma apre vie nuove». La guerra d'Etiopia ebbe l'effetto di rafforzare questa strategia. Agli inizi del conflitto molti esuli comunisti in Europa occidentale dettero per scontato che l'impresa militare sarebbe fallita e che il fascismo sarebbe stato scosso da una grave crisi. Ma la guerra fu vinta e il regime, dopo la conquista di Addis Abeba e la proclamazione dell'impero, toccò lo zenith della sua popolarità. Occorreva quindi cambiare strategia. Come ricorda Agosti, nel maggio 1936 il gruppo dirigente del Pci a Parigi decise di iniziare «una larga azione di fraternizzazione » verso le masse del regime. Seguì in agosto un appello pubblicato da Stato Operaio e intitolato «Per la salvezza dell'Italia riconciliazione del popolo italiano!», dove la parola «riconciliazione » preannunciava il messaggio «ai fratelli in camicia nera». Il manifesto era firmato dai maggiori esponenti del Pc in esilio e si spingeva sino a sottoscrivere il programma fortemente sociale di Piazza San Sepolcro con cui i Fasci erano apparsi nella politica italiana il 23 marzo 1919. Il documento suscitò molte perplessità e Togliatti ne prese prudentemente le distanze. Ma in realtà, come osserva Agosti, «l'orientamento che il manifesto esprime, magari in forma ingenua, è proprio quello della saldatura tra opposizione antifascista e opposizione fascista sul quale Togliatti ha tanto insistito nei mesi precedenti». Che quelle fossero le idee di Togliatti fu confermato del resto dalle sue dichiarazioni a un gruppo di comunisti italiani nel gennaio del 1937, citate da Renzo De Felice in «Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940». Disse che il problema dell'ora era quello di «unire tutto ciò che il fascismo ha diviso; unire la classe operaia, economicamente e politicamente, unire gli operai ai contadini, unire il proletariato alle classi medie, unire il nord al sud, unire le vecchie alle nuove generazioni». In queste parole vi sono le basi di una strategia che fu definita «entrismo». Anziché combattere le organizzazioni del regime il Pc avrebbe incoraggiato i giovani a farne parte e avrebbe cercato di conquistarle dall'interno. E' una strategia, sia detto per inciso, che riconosceva implicitamente l'esistenza di un fascismo di sinistra.