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Pollicini verdi di tutto il mondo, unitevi

di Teodoro Margarita - 17/10/2007

 

 

Rischiamo la desertificazione. Una parola che dovrebbe mettere in allarme gli abitanti di questo pianeta. Povero di terre, per due terzi mare. E intanto ci avviciniamo alla fine degli incendi, ma per mancanza di materia prima da incendiare. Tutto brucia perché non esiste in questo paese un serio, ovvero di massa, amore per gli alberi e la natura in genere. Quell’amore che ha animato il progetto Green Belt in Africa per riforestare con una pianta, la jojoba, che resiste benissimo alla siccità e dà prodotti utili, oltre a poter riparare sotto gli alberi più grandi un orto familiare. L’amore per gli alberi, lo volle suscitare il presidente Sankara nel suo arido Burkina Faso.
Bisogna far leggere L’uomo che piantava gli alberi (Salani editore) di Jean Giono. Se tutti quanti facessero come Elehazard Bouffier, l’uomo che piantava gli alberi in un’arida regione francese, avremmo battuto le ecomafie della riforestazione, una delle concause degli incendi: bruciare per aggiudicarsi appalti nella riforestazione. In massa, cittadini italiani in possesso di un balcone mettono a dimora un albero - di varietà adatta - in un vaso, poi in massa lo vanno a piantare là dove c’è stato un incendio. Li sradicano, li bruciano? Si rifà il processo a partire dal balcone. Fine delle ecomafie legate agli incendi. Gandhi, con il suo satyagraha aveva già detto tutto: una pacifica, amorosa, cosciente, bella, educativa azione di massa risolve le cose. Invece troppi, per abitudine, interesse, pigrizia, per mantenere potere, scartano questo tipo di logiche autogestionarie, gandhiana risposta ai megaprogetti, alle megainiziative che spremono e buttano soldi. Esistono, si esistono microiniziative di riforestazione dal basso, nella valle dell’Itria, in Puglia, a Cisternino. Hanno provato a fare le palline d’argilla con i noccioli dentro, per rimboschire la valle bruciata. C’è qualcosa anche nel nord della Grecia. Nasceranno mille piantatori solitari e selvaggi per arrestare il deserto culturale prima ancora che biologico?
I boschi non sparirebbero in mezzo alle fiamme se i cittadini avessero familiarità vera con la bellezza del mondo vegetale. Possiamo allora partire dall’orto e dai bambini. L’orto è un piccolo ecosistema perfetto: ha bisogno di cura, di progetto, di costanza, ed anche , un pochino, di essere affidato «alla clemenza del tempo»: ovvero, facendo l’orto s’impara ad amare la vita in modo molto profondo. E nell’orto van piantate varietà antiche e resistenti, per presidiare la biodiversità. In Italia noi seed savers (salvatori di semi, a scuola o su un balcone, su pochi metri quadrati di terra) siamo trecvento, in Francia sono migliaia...
I docenti dell’Istituto comprensivo di Asso (Como) hanno lanciato il progetto «Pollicini verdi», per fare l’orto. Il Comune ha approvato l’uso di alcune aree adiacenti l’istituto, sotto un maestoso faggio le cui foglie saranno preziose per il compost. Sarà un orto di biodiversità, un orto di conservazione ed educativo. Un orto contro il deserto. Già da alcuni anni, a Valbrona e a Sormano, i piccoli della scuola dell’infanzia realizzano mini-orti. Per spiegare cosa significa abbiamo portato varietà antiche ancora presenti in alcuni orti, fra cui pomodori dai colori e dalle forme più «strane». Il «pomo d’oro» che può essere anche giallo, da cui il nome, il nespolo nostrano che ammezzisce nella paglia col tempo, da cui il noto proverbio «col tempo e con la paglia...». Ecco, sono bastati questi pochi frutti, questi pochi esempi per spiegare cosa è la biodiversità.
Ma con i ragazzi vogliamo condurre un lavoro di ricerca sulle antiche specie e varietà della Vallassina. Una maestra ci ha detto di poter trovare una vecchia varietà di mais, perché no? Un filare di granoturco ci sta proprio bene lungo il muretto. E siamo aperti alla collaborazione dei genitori e dei nonni, di quelli che si autoriproducono da soli i propri semi e anche di tutti gli altri.