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Commento ai "ragionevoli dubbi sull'evoluzionismo" di Massimo Fini

di Guido Dalla Casa - 18/10/2007

*(vedi in calce l'originale “I ragionevoli dubbi sull’evoluzionismo” di Massimo Fini)

 

Il fatto che lascia perplessi è che ci si vede proporre solo:

-         “l’evoluzionismo” dovuto a competizione e selezione,   oppure

-         “il creazionismo”, rilanciato recentemente soprattutto negli Stati Uniti.

 

Come se fossero le uniche posizioni possibili e ciascuno venga chiamato a scegliere fra una delle due!

 

Ma ci sono molte altre posizioni, le più semplici e chiare sono quelle “non-dualistiche”, cioè in cui non c’è bisogno di distinzione fra Dio e la Natura.

  Tra l’altro, si nomina sempre Darwin come un riferimento certo. L’unità della Vita era stata affermata già qualche decennio prima dal naturalista francese Jean Baptiste de Lamarck, che sarebbe ora di rivalutare. Gli evoluzionisti francesi della prima metà dell’Ottocento erano chiamati “trasformisti”, perché erano convinti che le specie si potessero trasformare una nell’altra, cioè che la Vita era Unica: il tutto qualche decennio prima di Darwin. Solo che Lamarck pensava che l’evoluzione fosse causata dall’ereditarietà dei caratteri acquisiti: ma questo è un dettaglio. Darwin era dotato di maggiore documentazione dopo il famoso viaggio del Beagle descritto nel suo libro “Viaggio di un naturalista attorno al mondo”: espose la teoria in modo più completo e convincente di Lamarck, che però era venuto prima.

L’idea essenziale è stata comunque di Lamarck.

  In realtà quello che si vuole difendere come un tabù intoccabile è il meccanismo darwiniano della “lotta per la vita e sopravvivenza del più adatto”, frase molto gradita alla nascente civiltà industriale nell’Inghilterra dell’Ottocento. Ma, sul piano scientifico, anche questo è un dettaglio. Il fatto importante è che la Vita è un fenomeno unico e noi ne facciamo parte a tutti gli effetti. La differenza fra l’uomo e lo scimpanzé bonobo è inferiore alla differenza fra una rana e una raganella.

Non ci sono problemi di “anelli mancanti”, ma non possiamo sostenere che tutto sia avvenuto per il “caso e la selezione”, attraverso la competizione. Per passare da un minuscolo cefalocordato a un passerotto con il caso e la selezione, non basterebbero seicento miliardi di anni, invece dei seicento milioni calcolati dalla scienza ufficiale.

 

  La Vita, o il tempo stesso, sono processi creativi, per una forza immanente che hanno in sé. Per non voler ammettere questo, si ricorre alle assurde acrobazie intellettuali del creazionismo e dell’evoluzionismo meccanicista.

  Personalmente, mi basta osservare un passerotto: pesa 7-8 grammi, ha le ossa alleggerite per renderle adatte al volo, la sua temperatura interna è mantenuta a 40 gradi anche se fuori è sotto zero, è una mente attenta a tutto, e così via.

Pensarlo come frutto esclusivo del caso e della selezione è assurdo quanto crederlo creato così com’è da un Dio personale ed esterno al mondo.

Ma il materialismo-meccanicismo si presenta come una religione. Il “materialismo nell’evoluzione” e il “creazionismo” sono i due assurdi che propone l’Occidente: entrambe le posizioni sono al limite del comico. E pensare che, mentre in biologia si insegue il meccanicismo (con lodevoli eccezioni, come Rupert Sheldrake), nella “dura” e “matematica” fisica i più giovani e i più svincolati dall’establishment ufficiale parlano tranquillamente di fenomeni mentali nei sistemi complessi, o dell’entanglement, che è né più né meno che un fenomeno “paranormale”.

Tutti questi dibattiti evidenziano la tremenda difficoltà dell’Occidente a concepire l’immanenza.

 

  Personalmente, penso che Dio SIA la Natura. Se preferite, che la Natura SIA una Mente, o che l’Universo sia un Grande Pensiero (Eddington, Hoyle, Jeans, Bateson, ecc.).

Invece la scienza “ufficiale” pensa che l’universale sia una Grande Macchina (con l’optional del Grande Ingegnere): ha sostituito il diritto divino con un ”merito” evolutivo-selettivo e tutto è rimasto come, o peggio, di prima.

 

Per quanto riguarda le certezze,  riporto questa nota:

 

IL TEOREMA DI GOEDEL

 

   Il ventesimo secolo è stato caratterizzato da molte svolte di pensiero, ma fra queste vogliamo ricordare in particolare:

-         la consapevolezza dei limiti (della Terra, della crescita, del potere umano);

-         la fine delle certezze.

 

  Dato che il primo punto è abbastanza noto e dibattuto, ci soffermeremo in particolare sul secondo.

   In campo scientifico, la svolta è iniziata soprattutto con la formulazione del principio di indeterminazione da parte di Werner Heisenberg (e, in forma diversa, di Erwin Schroedinger), che si fa risalire al 1927. Le certezze hanno quindi cominciato a vacillare proprio per una evoluzione di pensiero nata nel campo della scienza considerata più esatta e indagatrice della cosiddetta “realtà ultima”, cioè la fisica.

   In anni abbastanza recenti è stato pubblicato un libro di Ilya Prigogine, noto scienziato belga, Premio Nobel, intitolato “La fine delle certezze” (Bollati Boringhieri, 1997): le tesi di Prigogine, oggi abbastanza accettate nel mondo scientifico, si basano in gran parte sulla complessità e sull’instabilità dei sistemi dinamici.

   Nella mentalità corrente, resta però la certezza almeno nella matematica, in quanto sistema astratto.

  A mio avviso, non è mai stato sufficientemente discusso né messo in evidenza che, ancora nella prima metà del ventesimo secolo, il matematico di lingua tedesca Kurt Goedel ha dimostrato l’interessante teorema di logica-matematica che porta il suo nome: il cosiddetto “teorema di incompletezza”, per cui Goedel ebbe il Premio Nobel nel 1936.

   La dimostrazione del teorema di Goedel, accettato dal mondo scientifico-filosofico ma assai poco noto, è molto elaborata e di non facile comprensione.

   Con linguaggio divulgativo e non rigoroso, il teorema afferma che “Un sistema assiomatico (la matematica) o è incompleto o è contraddittorio”. In altre parole, e solo come esempio esplicativo, se si parte da cinque assiomi, c’è sicuramente un teorema che non si riuscirà mai a dimostrare; se aggiungo un assioma, per renderlo sicuro, c’è certamente almeno un altro teorema di cui posso dimostrare sia l’enunciato che il suo contrario.

 

   Quello che qui interessa mettere in evidenza è che:

Con la dimostrazione del teorema di Goedel è finita ogni certezza anche nella matematica, cioè anche in un sistema astratto che non ha necessariamente un riscontro nella cosiddetta “realtà”.

 

   Qualcuno dice che senza alcuna certezza ci si sente “franare la terra sotto i piedi” e che bisogna pure aggrapparsi a qualche punto fermo. Trovo invece che si sta benissimo anche senza certezze e che volersi aggrappare ad un punto fermo è un comportamento simile a quello di un nuotatore che vuole aggrapparsi all’acqua in cui sta nuotando.

 

* Ignoro se Massimo Fini sia uno studioso di

letteratura, di storia e filosofia, o di scienze

politiche e sociali. Sicuramente non è uno

studioso di scienze naturali, altrimenti

saprebbe che l’evoluzionismo (fondato da

Darwin e da allora costantemente aggiornato)

non è «un’ipotesi», ma una teoria dimostrata

scientificamente).

Il creazionismo, invece, è solo un’ipotesi priva

di fondamento scientifico, e quindi è giusto che

non venga insegnata a scuola.

Andrea Domenica

 

NON ESISTONO certezze.

Né fisiche né metafisiche.

Anche una scienza ‘esatta’

come, appunto, la fisica ha dovuto

ammettere che non ci sono certezze

assolute né verità oggettive, ma che la

conoscenza di ogni fenomeno dipende

dal punto di vista dell’osservatore.

(Del resto già più di un secolo fa

Nietzsche—poi seguito

dall’empiriocriticismo di Mach e

Avenarius—avvertiva che non

esiste la realtà ma solo le sue

interpretazioni. Anche se pure questa

è, ovviamente un’interpretazione). Se

questo è valido per la fisica tanto più

lo è per una materia così

sdrucciolevole qual’è quella

dell’origine e dello sviluppo

dell’universo, della vita, della specie

umana. Noi potremmo essere solo

uno degli infiniti universi possibili e

vivere in una delle infinite

dimensioni possibili. Ma non

possiamo uscire da questa

dimensione. Ecco perché né

evoluzionismo né creazionismo

possono dare risposte certe alla

domanda cui pretendono rispondere.

Si legga il bel racconto, ‘Flatlandia’

(1882), del reverendo Edwin A.

Abbott, signor scientista, e vedrà che

perderà molte delle sue granitiche

certezze.             (Massimo Fini)