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Italia, un seggio in più o in meno in Europa… Ma per andare dove?

di Carlo Gambescia - 19/10/2007

 

“Accordo raggiunto al Consiglio Europeo riunito a Lisbona.L'Italia avrà 73 seggi al Parlamento Europeo, come la Gran Bretagna. "Risultato ottimo" è il commento che filtra da Palazzo Chigi. In realtà l'Italia si opponeva alla perdita della parità anche con la Francia, che avrà 74 rappresentanti. Ma nel 2014 dovrebbe esserci un'altra redistribuzione (prevista dal nuovo trattato) basata sul criterio della cittadinanza e non su quello della residenza. E l'Italia ne sarebbe largamente avvantaggiata”.
(Da “Cani Sciolti”)

Questa litigiosa spartizione è un altro segno di come la famigerata “casta” sia attiva anche all’interno delle istituzione europee. E non è una scoperta di oggi…
Ma c’è di peggio… E' a dir poco fuorviante, presentare come “ottimo”, il fatto che il nostro Paese abbia conseguito un seggio in più: ma come in Italia ci si batte per diminuire il numero dei parlamentari, mentre in Europa si festeggia il quasi scampato pericolo?
Tre riflessioni.
In primo luogo, il problema delle caste “parlamentari” non riguarda direttamente le persone di Prodi o Berlusconi è un fatto sociologico. Pertanto se in Italia e in Europa si giungerà in futuro a ridurre il numero dei parlamentari, di sicuro gli onorevoli in eccesso, se “giovani” saranno “sistemati” in qualche istituzioni parallela o creata ad hoc, se in età di pensione congedati con sontuose “liquidazioni”… Per farla breve, siamo in presenza di un ceto politico “invasivo”, radicato socialmente e rapace. Che non “mollerà” la preda, per la semplice ragione che la politica, così come è oggi, difficilmente riformerà se stessa. Anche perché, nonostante le critiche (più apparenti che reali) che provengono dagli ambienti economici, in realtà una classe politica elefantiaca che non decide nulla, è funzionale alla conservazione dello status quo economico e sociale. E quindi dei privilegi del ceto economico dominante.
In secondo luogo, l’Italia e l’Europa, di fatto, non esercitano più dal 1945, e ancor più dopo il 1989, alcun ruolo in politica internazionale, se non quello di affiancare gli Stati Uniti. Di qui il ripiegarsi sulle questioni, o meglio, beghe interne… Del resto, anche in questo caso, un’Europa divisa e litigiosa e nelle mani di “orde fameliche” di politici e parlamentari, è funzionale alla conservazione dello status quo internazionale. E quindi dei privilegi in politica estera degli Stati Uniti.
In terzo luogo, questa incapacità di autoriformarsi della politica rischia di provocare reazioni antipolitiche, come già sta accadendo. Il che non è un male. Ma neppure un bene: perché in assenza di quadri e istituzioni capaci di incanalare per tempo le straripanti forze dell’antipolitica resta il rischio di reazioni autoritarie precedute o seguite da non brevi fasi di caos sociale e politico. Dalle quali , certo, potrebbero emergere i nuovi quadri di cui sopra. Ma solo dopo - ecco il punto - un “parto” complicatissimo. Le transizioni, lo abbiamo già scritto, non sono mai facili.
Perciò il lettore capirà quanto il discutere del numero di seggi parlamentari sia non solo fuorviante ma ridicolo. In particolare di fronte a una tempesta sociale in avvicinamento… Del resto è così: una classe politica che rinunci a riformarsi seriamente (ad esempio favorendo la democrazia diretta, il controllo sociale dell’economia e una politica estera indipendente) rischia di “scavarsi la fossa da sola”. Ma, purtroppo, rischia di farvi precipitare anche l’intera società europea… E così innescare una lunga crisi di transizione, che non potrà non passare per un’ antipolitica fatta purtroppo di ferro e fuoco.
Altro che un seggio in più o in meno…