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Profumo in lotta con la sua diversità. I turbamenti del banchiere democratico insidiato da Report

di redazionale - 19/10/2007

E’ un momento complesso per

Alessandro Profumo, alle prese con alcune

scelte difficili. Deve decidere innanzitutto

che cosa fare delle sue partecipazioni, a

partire dalle due principali, Mediobanca-

Generali e Rcs. Le dichiarazioni rilasciate

l’altro giorno (cessione di Pirelli, Rcs e

quota diretta in Generali, ma mani salde

sul sistema Generali, via Mediobanca) hanno

destato curiosità, perché costituiscono

per gli studiosi di AP una perfetta sintesi

del suo profilo di banchiere. Riguardo alla

compagnia triestina egli ha spiegato di augurarsi

che resti indipendente da Unicredit

e da chiunque altro: però – ha aggiunto

– noi non facciamo come Alice nel paese

delle meraviglie, sappiamo che se vendiamo

l’8,68 per cento di Mediobanca, qualcuno

se la compra e così finisce che si compra

anche le Generali. Una presa di posizione

opportuna alla luce delle turbolenze

sulla compagnia triestina: dai report negativi

delle banche d’affari – evidente segno

d’interesse del mercato – alla querelle per

la successione ad Antoine Bernheim, alle

indiscrezioni sui litigi fra la prima linea di

manager che si intensificano. La pragmatica

posizione su Generali sembra non essere

in linea, però, con l’ostentazione di disinteresse

per la partita Rcs. Da una parte

è vero – nessuno nel suo entourage ha il

minimo dubbio – che lui sarebbe effettivamente

pronto a vendere le azioni. Ma è altrettanto

vero che l’amministratore delegato

è consapevole che nessuno dei suoi compagni

di viaggio, Cesare Geronzi e Fabrizio

Palenzona in testa, avallerebbe mai l’uscita

dal Corriere della Sera, a maggior ragione

con Giovanni Bazoli allarmato dall’attuale

antiprodismo corrierista. Ritenere

che Profumo sia tanto ingenuo da credere

effettivamente di poter vendere la quota

Rcs sarebbe dunque ingiusto. Il punto è un

altro. Egli ha sempre coltivato la sua immagine

di alterità rispetto al panorama

bancario. Gli interessa la sua dimensione

industriale e non quella relazionale. Poteva

coltivare questa immagine da un lato

perché aveva diretto la sua attenzione all’estero,

acquistando Hvb, dall’altro perché

la solidità degli assetti industriali delle

partecipate, da Mediobanca in giù, era garantita

dall’opera di Geronzi, con cui è in

sintonia da prima che la fusione Unicredit-

Capitalia venisse messa in cantiere. Dopo

la fusione questa alterità è molto più difficile

da rappresentare, a se stesso e agli altri.

Geronzi, banchiere delle partecipazioni

strategiche, non è più un alleato ma un

compagno di viaggio con cui condividere le

ricadute, finanziarie e relazionali, delle

scelte effettuate. Inoltre, anche se AP non

ha mai nascosto il suo interesse per la politica

e il suo progressismo, negli ultimi

tempi l’intera vicenda del processo costitutivo

del Partito democratico, il sostegno alla

nuova avventura, il riflesso famigliare –

lui che dice: “Non mi spiace nell’occasione

essere considerato marito di”, perché sua

moglie Sabina Ratti è candidata con Rosy

Bindi – hanno contribuito ad assimilarlo al

resto della classe dirigente economica che

dialoga fittamente con la politica. Pertanto

la ribadita disponibilità a uscire da Rcs

nel marzo del 2009 ha soprattutto il sapore

di una rivendicazione identitaria.

Ma che nella considerazione degli osservatori

Profumo sia tornato sulla terra lo dimostra

anche il servizio di Report su Unicredit

Group, con il rude trattamento riservato alla

banca dalla trasmissione di Milena Gabanelli.

Naturalmente lo stile giornalistico di Report

ha un elemento impressionistico. I mercati

ritengono che il coinvolgimento di Unicredit

nei derivati sia contenuto, se raffrontato

all’ammontare complessivo del business,

la cautela ha sempre prevalso. Però AP rischia

di perdere la sua icastica diversità.