Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 1-15 Ottobre 2007

Ultime notizie dal mondo 1-15 Ottobre 2007

di redazionale - 20/10/2007

 

a)   Iran. Secondo il gen. Fabio Mini, ex comandante NATO in Kosovo, i preparativi della nuova aggressione militare USA, stavolta contro l’Iran, sono ultimati (2). Il giornalista statunitense Hersch, dalle sue fonti, informa sulle dinamiche (7). Per Bolton, ex ambasciatore USA all’ONU, non esistono alternative alla guerra all’Iran (3). Silenziato (anche sui mass media internazionali che contano) el-Baradei dell’AIEA, l’ente internazionale per l’energia atomica, che dice che l’Iran non rappresenta un pericolo (4). Da Mosca cercano di frenare l’aggressività statunitense (11, 13) e la Rice replica minacciando chi fa affari con Teheran. E l’Italia? Aspetta ulteriori ordini di Washington, of course, ma già è di fatto in guerra contro l’Iran sul fronte afghano. Parola de L’Espresso (Italia / Iran 2). Altro all’1 e al 4.

b)   Myanmar (ex Birmania) è un terreno di scontro (anche) tra Cina e India (12). Sullo sfondo, poi, un’occhiata agli interessi francesi nel paese del sud-est asiatico (5).

c)   Libano. Fatah al-Islam: le confessioni di un suo comandante (4). Nasrallah (Hezbollah) accusa Israele e lancia una proposta per le imminenti elezioni presidenziali libanesi, proposta bocciata dal premier libanese filo-USA Fouad Siniora (7). Intanto Saad Hariri, leader del blocco filo USA al governo in Libano, parte alla volta degli USA. Altro al 4.

Sparse ma significative:

Euskal Herria. Arrestata quasi tutta la dirigenza di Batasuna (6), la sinistra patriottica basca (abertzale). Accadde praticamente lo stesso nel 1998. È la risposta di Madrid alla questione nazionale basca. Manifestazioni (ed incidenti) si susseguono in tutta Euskal Herria. A Donostia (San Sebastian) sono arrivati anche i falangisti, scontrandosi con gli abertzales.

Italia. Sulle contaminazioni da uranio impoverito (10).

Bulgaria. Il senso dell’Unione Europea nelle scelte di un governo per conto di Washington-Bruxelles (4).

Bielorussia / Russia. Minsk difende la sua indipendenza (anche energetica) da Mosca (12). Intanto in Lituania (11) ci si riunisce, contro Mosca, sull’energia.

USA. Bush: “Sì” alle spese militari, “no” a quelle sociali (4). Intanto si continua a torturare: lo scrive il New York Times (5), lo dicono Nancy Pelosi,  presidentessa del Congresso (8) e l’ex presidente USA Jimmy Carter (13).

America Latina:

      -Costa Rica. Trattato di Libero Commercio: la spunta il “sì” tra accuse di brogli e riconteggio. Per il “Movimento Patriottico No al TLC” la sovranità alimentare del paese verrebbe spazzata via (9).

      -Colombia. Piattaforma patriottica delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia) per una Nuova Colombia (1). Uribe punta al terzo mandato (12).

      -Ecuador. Dopo le elezioni per la Costituente (2). Un decerto sul petrolio, contro le multinazionali e per la sovranità del paese (5).

      -Bolivia. Polemiche in memoria del “Che” (11). Una campagna perché la sede ONU lasci gli Stati Uniti (2).

      -Argentina. Ergastolo al prete torturatore che per ora continua ad esercitare le sue funzioni (11).

Tra l’altro:

Irlanda del Nord (12 ottobre).

Germania (11 ottobre).

Croazia (2 ottobre).

Palestina (1, 8, 9, 11 ottobre).

Israele (3, 15 ottobre).

Qatar (3 ottobre).

Iraq (1, 4, 7, 8, 10, 12, 13 ottobre).

Repubblica Ceca (8 ottobre).

Siria (1, 3, 12 ottobre).

Russia (2 ottobre).

Russia / Siria (3 ottobre).

Russia / Ucraina (3 ottobre).

Ucraina (5 ottobre).

Pakistan (7 ottobre).

USA (4 ottobre).

Cina (15 ottobre).

Turchia (12 ottobre).

Somalia (11 ottobre).

Sahara occidentale (3 ottobre).

Sudan (3 ottobre).

Polonia (9 ottobre).

Palestina. 1 ottobre. Crimini e devastazioni made in Israele. Secondo quanto divulgato dal centro palestinese per i diritti umani al-Mizan, dal settembre del 2000 a oggi l’esercito israeliano ha massacrato 2.691 palestinesi, tra cui 535 bambini e 170 donne e ragazze; demolito 7.335 case; assaltato vaste aree agricole; distrutto 361 centri pubblici, 876 centri industriali e commerciali e 637 veicoli. In questi mesi, Israele ha deciso di limitare l’entrata di alimenti e rifornimenti umanitari nella Striscia di Gaza. Soltanto 9 prodotti base sono autorizzati: farina, olio, sale, zucchero, riso, latte e derivati, cibo congelato e medicine. La chiusura delle frontiere è un attacco contro l’economia di Gaza, perché i prodotti grezzi necessari alle industrie non sono contemplati nell’elenco, ed impedisce infine agli abitanti di Gaza di accedere a servizi sanitari, scolastici e a impieghi al di fuori del confine.

 

  • Libano. 1 ottobre. Saad Hariri prossimamente negli USA. George Bush riceverà la prossima settimana alla Casa Bianca Saad Hariri, leader del blocco filo USA al governo in Libano. La visita di Hariri è collegata alle prossime elezioni presidenziali libanesi. La coalizione filo USA è in trattative con l’opposizione libanese per trovare un accordo su un possibile candidato da eleggere insieme il 23 ottobre prossimo, data della convocazione dell’assemblea parlamentare. Hariri, che sembra più disponibile al compromesso, potrà farlo accettare ai restii alleati Samir Geagea e Walid Joumblatt solo se otterrà l’assenso statunitense. Appena alcuni giorni fa, gli USA annunciavano che avrebbero contribuito con 5 milioni di dollari alle spese del Tribunale internazionale creato sotto egida ONU per giudicare i presunti responsabili dell’attentato a Rafic Hariri, padre di Saad Hariri, avvenuto nel febbraio 2005. La comunicazione è stata fatta dall’ambasciatore statunitense all’ONU, Zalmay Khalilzad.

 

  • Siria. 1 ottobre. Israele sta creando pretesti per future avventure militari. Così il vice presidente siriano Farouk al Sharaa ha commentato alla Reuters le voci fatte circolare da USA e israeliani a proposito del raid aereo israeliano contro il nord della Siria, nella prima decade di settembre, che avrebbe preso di mira un possibile sito nucleare creato dai nord coreani. «Stanno gonfiando le cose per giustificare un’aggressione in futuro. Stanno giocando con l’opinione pubblica per ingannarla», ha detto al Sharaa.

 

  • Iraq. 1 ottobre. Esercito USA ammette uccisione di civili. Il comando USA in Iraq ha espresso «rammarico» per l’assassinio ad opera delle forze USA (il 29 settembre) di civili iracheni, in un quartiere meridionale di Baghdad. Elicotteri hanno colpito un edificio provocando almeno dieci morti, tra cui anche dei bambini.

 

  • Iraq. 1 ottobre. Proteste contro piano di smembramento del Paese. Critiche da Iraq, mondo arabo e islamico al documento approvato dal Senato USA per la divisione dell’Iraq in tre entità federate. Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki ha sollecitato una rapida convocazione del Parlamento per respingere ufficialmente il piano. Il responsabile esteri del cosiddetto governo regionale kurdo iracheno, Falah Mustafa, ha però dichiarato: «Non c’è altra soluzione per il Paese che accettare e attuare questa risoluzione».

 

  • Iraq. 1 ottobre. 62 i militari statunitensi morti nel mese di settembre secondo dati dell’Associated Press. Secondo dati forniti dai ministeri della sanità, della difesa e degli interni iracheni, nel corso del mese di settembre sono stati uccisi nel Paese anche 884 civili.

 

  • Iraq. 1 ottobre. Si muore anche di colera nell’Iraq occupato. Il dott. Amir al-Khuzai, rappresentante del ministero della Sanità, ha annunciato che i malati di colera a Kirkuk aumentano al ritmo di 100 al giorno. Al-Khuzai ha inoltre precisato che le persone che hanno contratto l’infezione in città sarebbero passati dai 1671 di inizio settimana a 2069. Dalla comparsa del colera nel paese, alla fine di agosto, i morti confermati tra Sulaimaniyah, Baghdad, Nineveh e Kirkuk sono già 12, e gli infettati registrati nelle statistiche ministeriali quasi 3000.

 

  • Iran. 1 ottobre. «Aiuto» in cambio del ritiro. Teheran è pronto ad aiutare gli Stati Uniti nel processo di stabilizzazione dell’Iraq se Washington presenterà un calendario «chiaro» per il ritiro delle sue truppe dal paese arabo occupato. Ad affermarlo è il segretario del Supremo Consiglio iraniano per la Sicurezza Nazionale, Ali Larijani, in un’intervista al Financial Times. Larijani ha inoltre respinto le accuse secondo le quali Teheran fornirebbe armi alle milizie irachene.

 

  • Colombia. 1 ottobre. «Un governo che assuma il controllo dei settori strategici, che rinegozi con le transnazionali i contratti lesivi per la nazione, che annulli patti militari, trattati e accordi che intaccano la sovranità e che si opponga al pagamento del debito estero». È l’essenza della Piattaforma per la Nuova Colombia, proposta dalle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia) attraverso il loro sito Internet. Secondo il gruppo guerrigliero, il governo Uribe, «mafia narco-paramilitare di latifondisti e grandi allevatori, trafficanti di droga e imprenditori che, con l’appoggio militare del governo USA e la grancassa dei mezzi di informazione, ha trasformato il paese in un inferno di guerra». Intanto, nuovi sviluppi nel cosiddetto «scandalo della parapolitica». Quasi a conferma delle accuse delle FARC, a fine settembre la Corte Suprema ha messo sotto inchiesta, per sospetti legami con i paramilitari narcotrafficanti (estrema destra), quattro parlamentari tra cui il cugino del capo dello Stato, Mario Uribe. Alvaro Uribe non ha potuto sottrarsi, durante la sua visita a New York, intervenendo all’Assemblea Generale dell’ONU, alle domande dei giornalisti. Si è limitato a esprimere preoccupazione per il parente indagato e ad assicurare che non interferirà nell’inchiesta.

 

  • Italia / Iran. 2 ottobre. Italia di fatto in guerra contro l’Iran sul fronte afghano. Lo afferma l’edizione odierna de L’Espresso. «L’Italia sta già combattendo su uno dei fronti del conflitto iraniano. Perché è difficile non collegare l’intensificazione degli scontri nella regione di Herat, la zona afghana affidata al controllo del nostro contingente, con l’escalation del confronto tra Occidente e Iran. Quella che era la regione più tranquilla dell’Afghanistan liberato dai talebani, in poco più di un anno si è trasformata in una terra insidiosa». L’esistenza di tali manovre è emersa nella vicenda della cattura dei due agenti del Sismi. «Gli uomini del servizio segreto militare erano in missione nell’area non lontano dalla frontiera iraniana diventata un cardine nei rifornimenti della guerriglia. Lì nuclei tribali finora neutrali verso la presenza delle truppe della NATO hanno potenziato i propri arsenali e raddoppiato i legami con i guerriglieri islamici. Dietro, secondo i sospetti del governo statunitense, ci sarebbe una pressione politica e militare crescente da parte di Teheran, testimoniata anche dai carichi di armi che vengono sempre più frequentemente intercettati dal contingente atlantico assieme al via vai di profughi e rifugiati afghani dall’Iran: ordigni sofisticati per gli agguati».

 

  • Italia / Iran. 2 ottobre. Il distretto di Shindad, quello dove sono stati catturati i due agenti, è diventato una base strategica per spiare Teheran. «Nel 2001 gli americani si sono impossessati delle grandi basi costruite dai sovietici proprio per sorvegliare il confine iraniano: le hanno trasformate in centrali di ascolto e osservazione, tornate adesso di rilevanza strategica». La regione ricade però sotto la responsabilità del comando italiano di Herat. «E se i pattugliamenti dei ‘normali’ soldati sono diminuiti negli ultimi mesi, parà del Col Moschin e incursori del Comsubin hanno invece messo sempre più spesso il naso nella zona a ridosso della frontiera. Molto attivi anche gli agenti del Ris, il servizio di informazioni dell’Esercito che agisce spesso in Afghanistan come braccio operativo del Sismi. Come i due sottufficiali catturati assieme a due loro collaboratori afghani sabato 22 settembre».

 

  • Italia / Iran. 2 ottobre. Sulla dinamica che ha portato alla liberazione dei due agenti, questa la versione de L’espresso: «Il blitz lanciato prima dell’alba del lunedì successivo dai commandos britannici dello Special Boat Squadron si è concluso in un bagno di sangue. L’azione a sorpresa contro la prigione degli ostaggi è fallita, forse a causa del rumore dei velivoli da ricognizione teleguidati: l’attacco dagli elicotteri contro i mezzi in movimento degli afghani ha determinato una sparatoria pesante. Anche i due militari italiani sono stati feriti, forse dal fuoco amico dei liberatori: uno,colpito da due pallottole, è in condizioni disperate». Coinvolgimenti che, in caso di guerra all’Iran ed estensione del conflitto, potrebbero riguardare, secondo il settimanale italiano, anche i militari italiani nel Libano meridionale, «presidiato da un massiccio contingente di caschi blu italiani. In caso di azioni contro l’Iran, i nostri soldati si troverebbero a fare da cuscinetto tra Israele e le milizie sciite di Hezbollah. Una trappola che potrebbe coinvolgere tutti i 2.400 militari italiani lì impegnati».

 

  • Croazia. 2 ottobre. Manovre in Croazia per preparare il suo ingresso nella NATO. La NATO ha iniziato ieri manovre militari nell’Adriatico con la partecipazione di 12 eserciti, 40 navi e 8mila militari. A questa esercitazione, la più imponente della NATO in Croazia, hanno preso parte anche 6 sottomarini, 3 dei quali nucleari, 29 aerei da combattimento, 23 elicotteri, e 9 aerei di diverso tipo. il comandante aggiunto dello Stato Maggiore delle Forze Armate croate, generale Slavko Baric, ha assicurato che questa manovra è «un’ultima prova prima dell’ammissione della Croazia nella NATO». La Croazia, dal 2002 membro del programma “Soci per la pace”, spera di ricevere al prossimo vertice NATO dell’aprile 2008 in Romania, l’invito come membro di pieno diritto.

 

  • Iran. 2 ottobre. Tutto è pronto per la guerra in Iran. E l’offensiva non colpirà soltanto gli impianti nucleari. Lo afferma su l’Espresso Fabio Mini, generale, ex comandante delle forze della NATO in Kosovo. Mini parte dalla laconica dichiarazione del neo ministro degli Esteri francese Kouchner, «ci dobbiamo preparare al peggio», per concludere che l’Iran rientra in una casistica di “emergenza politica”. «In queste condizioni sono necessarie alcune forzature che garantiscano la realizzazione dell’emergenza (…) deve succedere qualcosa (…) che determini l’emergenza politica, deve essere in immediato pericolo la sicurezza collettiva e si deve prevedere una catastrofe umanitaria (più grande è, meglio è). Si deve in sostanza possedere un apparato gestibile capace di ‘inventare’ l’emergenza (…) L’attacco all’Iran rientra perfettamente in questo quadro e, a ben vedere, è un quadro ormai quasi completo».

 

  • Iran. 2 ottobre. Fabio Mini rileva infatti che «la disponibilità di pretesti per l’attacco è molteplice. L’idea che l’Iran voglia sviluppare un ordigno nucleare e che voglia distruggere Israele è ormai largamente ammessa da tutti. Mancano i riscontri e le prove oltre alle fanfaronate, ma siamo stati testimoni di fanfaronate terroristiche che si sono comunque materializzate e nessuno vuole più rischiare, neppure per amore della verità. Un attacco iraniano o sostenuto dagli iraniani alle forze americane in Iraq, anche questo senza prove, sta convincendo persino i più scettici. Prima o poi, a forza di parlarne ed evocarlo, sarà preso come un invito o una sfida e sarà fatto sul serio». Il vero obiettivo della guerra è comunque la demolizione dell’influenza iraniana in Medioriente ed Asia. Fabio Mini ritiene che «la politica estera dei maggiori paesi, Europa inclusa, si è ormai abituata all’idea che un intervento armato sia in grado di ricacciare l’Iran sulle posizioni di vent’anni fa. Sta anche passando l’idea che lo scopo non è tanto e soltanto quello di impedire la formazione di una potenza nucleare, ma quello di eliminare il paese come attore regionale portatore d’interessi petroliferi e strategici in tutta l’Asia centro-meridionale».

 

  • Iran. 2 ottobre. «Sul piano militare tutto è ormai pronto da tempo». Mini rivela che piani d’attacco all’Iran «sono in vigore dal 1979, all’epoca della crisi dell’ambasciata USA, e sono stati aggiornati con nuove tecnologie e strategie». Il generale ridicolizza la tesi che l’attacco miri “soltanto” alle strutture atomiche senza coinvolgere la popolazione civile: «una pietosa fantasia di chi si è ormai abituato a mentire». Ma come se ciò non bastasse Mini afferma che la tesi che l’attacco possa essere limitato al territorio iraniano «è quanto meno sospetta, perché lo scopo dell’ostinazione e dell’ostentazione degli ayatollah da una parte e di quella israelo-americana dall’altra riguarda interessi e ambizioni che vanno ben al di là del Golfo Persico».

 

  • Iran. 2 ottobre. Partiamo dal primo elemento. Bombardare l’Iran «produrrà ingenti perdite di militari e civili a prescindere che s’inneschi una emergenza nucleare di fall out o una fuga di radiazioni. Qualsiasi attacco non potrà che avere come premessa la distruzione delle strutture difensive: basi aeree e missilistiche, depositi, rampe mobili, porti militari, unità in navigazione, difese contraeree e radar, reparti terrestri mobili e corazzati, centri di comunicazione e di comando e controllo dovranno essere eliminati prima o contemporaneamente all’attacco alle installazioni nucleari. Molte di queste strutture coincidono con i maggiori centri abitati. Facendo la tara ai più sofisticati missili da crociera, alle bombe intelligenti guidate sugli obiettivi da parte dei commandos israeliani e statunitensi, già da tempo all’opera in Iran, rimane un margine abbastanza elevato di danni collaterali. Se dovessero essere usati al posto delle bombe ad esplosivo convenzionale ‘bunker busting’ i mini ordigni nucleari a fissione o le bombe a neutroni, la percentuale di danni potrebbe aumentare (…)». Anche la tesi che si possano fare “attacchi chirurgici” ricorrendo alla sola componente aerea e missilistica, «è uno specchio per le allodole. Un’azione complessa che miri, come si dice di voler fare, a rispedire il potenziale bellico iraniano all’età della pietra, presuppone azioni di attacco multiple, con forze multiple, da direzioni multiple in tempi ristretti in modo da impedire all’avversario, come diceva il colonnello Boyd, ogni capacità di decisione, risposta e controstrategia».

 

  • Iran. 2 ottobre. Passiamo ora al secondo punto: la possibile estensione del teatro di guerra. «L’azione multipla deve anche prevenire la ritorsione diretta da parte delle forze aeree e navali iraniane contro le installazioni e i trasporti petroliferi nel Golfo Persico e in quello di Oman. Deve neutralizzare le minacce missilistiche alle basi militari americane in Asia Centrale e nel medio Oriente. Deve impedire azioni iraniane di strategia indiretta in Afghanistan, in Pakistan, in Iraq, in Libano, a Gaza, nel Caucaso e in ogni altro posto dove uno sciita può creare un fastidio. Teheran inoltre controlla la costa settentrionale dello stretto di Hormuz e la chiusura di questa via d’acqua al traffico delle petroliere potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio a livelli oscillanti tra i 200 e i 400 dollari al barile. Lo stesso risultato si otterrebbe se l’Iran ritorcesse le azioni di sabotaggio e bombardamento sugli impianti petroliferi di altri paesi dell’area».

 

  • Iran. 2 ottobre. Che cosa ne deduce Mini dalla mappa di guerra disegnata sopra? Che la strategia militare dell’attacco all’Iran non può essere affidata ad un “attacco chirurgico” o alla sola componente aerea. «Non può che essere quella della ‘Swarm Warfare’, la guerra dello sciame o dell’orda, riesumata da Arquilla e Ronfeld dopo l’insuperabile applicazione di Gengis Khan. In termini moderni questa strategia attiva tutte le dimensioni della guerra –terrestre, navale, aerea, missilistica, spaziale, virtuale e dell’informazione– su teatri e livelli multipli. Per far questo occorre che lo ‘sciame’ delle varie componenti e delle azioni che si sviluppano concentrandosi in un luogo e in una dimensione per poi trasferirsi su altri luoghi e altre dimensioni sia comunque sufficiente ad impedire qualsiasi reazione». Mini parla di «orde incaricate della distruzione fisica degli obiettivi, che devono integrarsi e concentrarsi sui bersagli con le orde virtuali delle azioni diplomatiche, della guerra psicologica e con quelle della manipolazione dell’informazione. Le azioni militari devono poi essere finalizzate a creare una emergenza umanitaria che consenta l’intervento di organizzazioni internazionali in territorio iraniano. Ovviamente la catastrofe deve essere attribuita alla responsabilità degli stessi iraniani». Anche in questo campo, sostiene Mini, «tutto è ormai pronto o quasi, soprattutto dopo l’esortazione di Kouchner. Agenzie internazionali e organizzazioni non governative stanno già scalpitando per andare in Iran a togliere il velo alle donne. Se si dà loro la possibilità d’intervenire per raccogliere i rifugiati, curare i feriti, fare la conta dei morti ed indire una tornata di elezioni al mese, ci sarà la gara per portare la democrazia in Iran».

 

  • Iran. 2 ottobre. Conclude Mini: «la complessità di questo scenario non deve indurre a credere che si debbano mobilitare quantità enormi di forze. Le capacità di bombardamento degli stormi israeliani e statunitensi sono talmente elevate da essere in grado di battere obiettivi multipli con un numero limitato di velivoli. I missili da crociera che possono essere lanciati dal mare sono ormai armi tecnologiche che non hanno bisogno di interventi di massa per realizzare distruzioni mirate o su larga scala. Semmai la molteplicità dei piani e dei livelli d’intervento porrà problemi di coordinamento, comando e controllo, ma nulla di eccezionale. Stati Uniti e Israele collaborano da mezzo secolo e i problemi di pseudo autorizzazioni da parte di paesi terzi ai sorvoli o al transito di truppe sono ormai superati sia dagli accordi politici con i paesi interessati sia dalla predisposizione delle due potenze a ignorare le obiezioni». Per Mini rimane però un fondamentale interrogativo: la gestione del “dopo”. «L’incognita sul futuro di uno Stato di origine e mentalità imperiale che si vede transitato dal ruolo di Stato canaglia a quello di Stato fallito e da aspirante al ruolo di potenza regionale a quello di buco nero politico e strategico. Rimane forte l’incognita della reazione non tanto alla sconfitta o al ridimensionamento delle aspirazioni ma all’umiliazione. Non è escluso che quello che si vuole evitare, la nuclearizzazione dell’Iran, tutta da dimostrare e tutta da realizzare, non sia invece favorita con l’aiuto di potenze esterne proprio dall’umiliazione».

 

  • Russia. 2 ottobre. Putin si ipoteca come futuro primo ministro. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha confermato che guiderà la lista del suo partito, Russia Unita, alle legislative di dicembre. Al congresso -a Mosca- della sua formazione, ha evocato la possibilità di divenire primo ministro dopo le presidenziali del marzo del prossimo anno. Putin ha posto due condizioni: la prima, che Russia Unita vinca le elezioni (il che è dato per scontato dagli osservatori); la seconda, quella di eleggere «come presidente un uomo onesto, capace, efficace e moderno con il quale si possa lavorare fianco a fianco» (già Putin ha lasciato intendere che, per il suo «dettato di virtù», l’attuale primo ministro, il fedele Viktor Zubkov, incarnerebbe il profilo indicato). Secondo la Costituzione, Putin non può aspirare ad un terzo mandato consecutivo, mentre potrebbe diventare primo ministro, riservandosi grandi poteri, e con un presidente dello Stato di fiducia. Nonostante si accinga a divenirne capolista, Putin ha detto che non ha intenzione di iscriversi al partito di cui è stato il principale fondatore (tre mesi prima delle legislative del 1999). «Non sono iscritto ad alcun partito, come l’immensa maggioranza dei cittadini di questo paese, e non intendo cambiare questa situazione», ha assicurato. Le inchieste danno Russia Unita tra il 45 ed i l 55% dei voti, ma non è sicuro che possa mantenere la sua attuale maggioranza assoluta alla Duma (303 dei 450 seggi). Di qui il tentativo di giocare a fondo la carta Putin e la sua popolarità tra l’elettorato.

 

  • Ecuador. 2 ottobre. «In Ecuador è nato il correismo». Così scrive il quotidiano argentino Página/12, commentando la schiacciante vittoria del movimento del presidente Correa alle elezioni per la Costituente. Gli elettori hanno appoggiato la proposta di Correa di modificare profondamente le strutture politiche ed economiche dello Stato secondo i principi del «socialismo del XXI secolo». La giornata di domenica ha segnato un trionfo personale di Rafael Correa, eletto capo dello Stato senza l’appoggio di alcun partito e che in meno di un anno è riuscito a consolidare l’appoggio popolare e a battere l’opposizione. Ora l’Assemblea eletta domenica scorsa ha otto mesi di tempo per redigere la nuova Costituzione. Davanti alla stampa estera Correa ha annunciato che, quando la Costituente inizierà i suoi lavori, il Congresso dovrà sciogliersi e -una volta approvata la nuova Carta Magna- dovranno essere convocate elezioni anticipate. Affrontando il problema economico, ha spiegato: «Si stanno rivedendo i contratti petroliferi; alcuni sono molto svantaggiosi per lo Stato. Però la trattativa è amichevole. Stiamo già discutendo con quattro compagnie. Sono perfettamente consapevoli dei profitti straordinari che stanno ottenendo con una risorsa di proprietà dello Stato». Quanto agli investimenti esteri, ha detto, sono i benvenuti se rispettano gli impegni con i lavoratori, i clienti, lo Stato, l’ambiente. «Ma quegli investitori che ci ritengono ancora una colonia, che offendono i principi legali, non sono i benvenuti e avranno una risposta chiara da un paese sovrano e da un governo sovrano».

 

  • Ecuador. 2 ottobre. «L’Assemblea Costituente va a rivendicare i desideri più sentiti del popolo ecuadoriano e sarà un trionfo della cittadinanza, giacché rappresenta il meccanismo dell’opposizione alle oligarchie e al clero, costituendosi nella forma attraverso la quale il popolo esprime la sua volontà». Lo ha detto, alla televisione Telesur, il vicepresidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, che ha precisato che il governo intende dialogare con tutte le forze politiche e sociali, inclusa l’opposizione.

 

  • Bolivia / USA. 2 ottobre. Una campagna internazionale per il trasferimento della sede dell’ONU fuori dagli Stati Uniti. «Le Nazioni Unite devono trasferirsi in un paese dove si possa dare a tutti i paesi del mondo lo stesso status di cittadino e non come fanno con tanta arroganza gli Stati Uniti», ha detto il ministro della Presidenza, Juan Ramón Quintana. Ha aggiunto che a lui, in rappresentanza della Bolivia, gli è stato dato a Washington un visto di pochi giorni per assistere alla 62^ Assemblea dell’ONU, ragion per cui si è visto costretto a tornare rapidamente. Altri paesi dell’Africa, i cui nomi non ha precisato, hanno la stessa posizione del governo boliviano e si è alla ricerca -ha concluso- di altri Stati che si aggreghino alla campagna.

 

  • Sudan. 3 ottobre. UE ed USA responsabili morali dell’uccisione dei soldati dell’UA. Il ministro della Giustizia Ali al Mardi ha dichiarato alla Reuters che se le grandi potenze occidentali, in particolare Stati Uniti e Unione Europea, avessero avuto il coraggio di sanzionare alcuni gruppi ribelli del Darfur che si sono rifiutati di siglare l’accordo di pace con il governo sudanese, il massacro dei soldati dell’Unione Africana (UA), chiamati a mantenere la pace nella provincia, non sarebbe avvenuta. Uomini armati hanno assaltato alcuni giorni fa la base di Haskanita, nel Darfur meridionale, dei “caschi blu” dell’UA, uccidendo dieci militari, ferendone altrettanti, mentre tre soldati mancano tuttora all’appello. Mentre esercito sudanese e ribelli del Darfur si accusano a vicenda, l’ambasciatore del Ghana Leslie Kojo Christian, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha letto ieri una dichiarazione approvata dai quindici membri in cui si condanna «l’inaccettabile attacco» avvenuto «alla vigilia dei prossimi negoziati di pace che inizieranno il 27 ottobre in Libia». La dichiarazione non è stata approvata immediatamente a ridosso dell’attacco per divisioni all’interno del Consiglio sull’attribuzione delle responsabilità. Il rappresentante permanente della Russia alle Nazioni Unite, Vitaly Ciurkin, ha detto che Mosca avrebbe preferito una condanna più dura, ma altri membri non avevano intenzione di «citare nella dichiarazione i gruppi di ribelli». L’anno prossimo dovrebbe intervenire sul terreno una forza mista di 26mila uomini composta da caschi blu delle Nazioni Unite e caschi verdi dell’Unione Africana.

 

  • Sahara Occidentale. 3 ottobre. Abdelaziz chiede a Ban d’intervenire per porre fine alla repressione del Marocco nel territorio occupato saharawi. Il presidente della Repubblica Araba Saharawi Democratica e segretario generale del Fronte Polisario, Mohamed Abdelaziz, ha in particolare denunciato, nella sua lettera al segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, quanto accaduto il 20 settembre nella città di Zak (saccheggio di decine di case e arresto di diverse persone). «È una prova tangibile della pratica sistematica della repressione del governo marocchino contro tutti i saharawi per la semplice ragione di avere questa nazionalità e difendere con mezzi pacifici la legalità». Secondo il Fronte, allo stato ci sono 500 civili desaparecidos (“scomparsi”) e più di un centinaio di prigionieri.

 

  • Israele. 3 ottobre. Ammissione di Tel Aviv sul raid aereo in territorio siriano del 6 settembre scorso. A quasi un mese di distanza, per la prima volta le autorità confermano ufficialmente di aver organizzato l’incursione in territorio siriano per colpire un presunto deposito di materiale nucleare. La decisione giunge dopo che la censura militare ha autorizzato tale comunicazione evitando tuttavia di fornire ulteriori dettagli sull’operazione. Fino ad oggi Israele si era rifiutato di confermare o di smentire qualunque raid aereo, sebbene il fatto fosse stato pubblicamente confermato da funzionari siriani e occidentali.

 

  • Siria. 3 ottobre. Damasco si riserva il diritto di rispondere al raid aereo israeliano compiuto il 6 settembre. Così ieri, in un’intervista concessa alla BBC, il presidente siriano Bashar Assad. «Hanno bombardato edifici e strutture militari in costruzione; non ci sono state vittime perché non c’era nessuno, ma è stata un’azione che ha dimostrato la fondamentale antipatia israeliana verso il concetto di pace. Damasco si riserva il diritto di rispondere a quell’attacco». Il presidente siriano non ha però specificato in che modo la Siria avrebbe intenzione di reagire.

 

  • Siria. 3 ottobre. Assad ribadisce la propria estraneità agli assassinii politici in Libano. Nella succitata intervista alla BBC, il presidente siriano Bashar Assad respinge con forza le accuse secondo cui ci sarebbe la mano di Damasco dietro l’ondata di assassini politici in Libano, l’ultimo dei quali commesso il 19 settembre scorso, di cui è stato vittima un deputato della maggioranza antisiriana, Antoine Ghanem. «Naturalmente abbiamo influenza (sul Libano, ndr). È normale. Ma avere influenza è diverso dal commettere crimini», ha dichiarato Assad.

 

  • Qatar. 3 ottobre. Washington deve parlare con Hamas. L’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al-Thani, capo dello Stato, in un’intervista all’emittente statunitense PBS, ripresa dal quotidiano Gulf News, sulla conferenza per il Medioriente, ha dichiarato che non intende «partecipare per scattare una foto ricordo», sostenendo piuttosto la partecipazione di Hamas, «perché rappresenta la maggioranza dei palestinesi». L’emiro così puntualizza la delegazione palestinese che dovrebbe presenziare: «Che i palestinesi siano rappresentati da una delegazione forte, vale a dire composta da membri di al-Fatah e di Hamas (...) Gli USA e i Paesi occidentali devono dirlo agli israeliani, al presidente palestinese, e a qualche altro Paese arabo: devono parlare con Hamas, perché rappresenta la maggioranza dei palestinesi».

 

  • Russia / Ucraina. 3 ottobre. Dopo le elezioni ucraine, Mosca alza la voce: Gazprom minaccia di ridurre la fornitura di metano se Kiev non paga i debiti. Mentre in Ucraina, dopo le elezioni, si prospetta un’intesa tra i blocchi della Tymoshenko e di Yushenko, Gazprom, l’azienda di Stato russa che monopolizza il gas, ha già annunciato la riduzione della fornitura di gas metano nel caso l’Ucraina non paghi tutto il suo miliardo e trecento milioni di dollari di debiti entro ottobre. I tempi ed i modi della richiesta lasciano l’impressione che si tratti di una manovra di pressione innanzitutto nei confronti del presidente ucraino Yushenko, che si appresta a iniziare le trattative per la formazione di un nuovo governo. In caso di interruzione delle forniture di gas all’Ucraina, sono presumibili ripercussioni anche in Europa, visto che l’80% del gas russo destinato agli Stati europei passa dal territorio ucraino. Dal gas russo la Germania dipende per il 40% del proprio fabbrisogno, l’Italia per il 30%. Gli Stati ex sovietici (grazie all’economia di “interdipendenza” creata da Stalin) sono quasi totalmente dipendenti dalle forniture energetiche di Mosca.

 

  • Russia / Siria. 3 ottobre. Tecnici russi a Damasco. Stando al britannico The Times, tecnici russi sono stati inviati in Siria per compiere degli interventi migliorativi sul sistema di difesa aerea siriana, dopo l’attacco aereo israeliano del mese scorso, che ha provocato dei disturbi al sistema di comunicazione delle forze armate siriane, di fabbricazione russa.

 

  • USA / Iran. 3 ottobre. Non esistono alternative alla guerra all’Iran. Intervenuto al raduno dei conservatori britannici a Blackpool, l’ex ambasciatore USA all’ONU, il neoconservatore John Bolton, ha dichiarato: «La vita è fatta di scelte e noi siamo molto vicini al punto di dover fare una scelta (...) questa non è un’opzione attraente, ma dopo oltre quattro anni frustranti, trascorsi a osservare il fallimento della diplomazia europea (...) non so che alternativa ci sia. Perché se la scelta è tra un Iran con le armi nucleari e l’uso della forza per prevenirlo (...) penso che dobbiamo considerare un attacco limitato alle loro installazioni nucleari». Alla domanda di un giornalista che gli chiedeva «quanto manca all’attacco contro l’Iran?», Bolton ha risposto che di un attacco aereo, sufficiente a suo dire a distruggere più impianti nucleari iraniani, gli USA hanno parlato con Gran Bretagna, Francia e Germania. Bolton ha inoltre espresso la propria soddisfazione per le affermazioni del ministro degli Esteri francese Kouchner su un’imminente opzione militare contro l’Iran («sono lieto che Kouchner ne abbia parlato pubblicamente. È un riflesso dell’arrivo di Sarkozy»).

 

  • Bulgaria. 4 ottobre. Scioperi di massa contro il neoliberismo. Il governo prosegue nell’applicazione delle ricette fondomonetariste in nome della «stabilità» e del «miglioramento della competitività» del paese, il più impoverito dell’Unione Europea (UE). Si susseguono le mobilitazioni e rivendicazioni sociali. Le scuole sono paralizzate da dieci giorni per uno sciopero dei professori. Guardie forestali, professori dell’università e medici si preparano a fare altrettanto per migliorare il livello scandalosamente basso delle loro retribuzioni mensili. Anche i pensionati, che ricevono in media 95 euro al mese, sono sul piede di guerra. Il salario medio ufficiale non raggiunge i 200 euro. Il primo ministro, Serguei Stanichev, ha detto che «i sacrifici della transizione sono finora in ragione della necessità di entrare nella UE» ed ha aggiunto che il governo applicherà un regime di austerità fino all’adesione alla zona euro. Ha quindi insistito sulla necessità di licenziamenti nel campo dell’educazione e della sanità. Ha inoltre respinto la richiesta di utilizzare le eccedenze finanziarie di cassa per lenire queste carenze sociali, in nome della necessità di realizzare investimenti privati, non ancora ultimati, come quello relativo al ponte sul Danubio che collega la Bulgaria con la Romania. Il governo ha ridotto al 10% le imposte alle imprese, il livello più basso della UE ed introdotto un’imposta unica sulla rendita finanziaria del 10%. La Banca Mondiale ha espresso apprezzamenti e definito la Bulgaria come uno dei «dieci migliori paesi riformatori», in una lista guidata dalla Croazia.

 

  • Libano. 4 ottobre. Avevamo elaborato una strategia comune anti-sciiti assieme al partito dell’ex premier assassinato. Detto in altri termini: «al Qaeda aiutata dagli Hariri (cioè da una delle famiglie più importanti nella politica libanese, ndr)». A confessarlo ai magistrati è Abu Salim Taha (un comandante del misterioso gruppo qaedista Fatah al-Islam). Un fronte comune di Fatah al-Islam con il movimento di Hariri con l’obiettivo di creare disordini nel Paese dei Cedri. Secondo le confessioni di Taha (divulgate dal quotidiano libanese al Akhbar) arrestato dall’esercito libanese dopo la presa del campo profughi di Nahr el-Bared, il gruppo aveva collegamenti con la rete di al-Qaeda (creata con il fondamentale sostengo della CIA all’inizio della guerra sovietico-afgana combattuta tra 1979 e 1989), era in contatto con mercenari operanti in Iraq e ai fondi del gruppo provvedeva un saudita di nome Abu Yussef al-Jazrawi, direttamente collegato alla rete di al-Qaeda. Taha ha rivelato che il gruppo aveva deciso di compiere operazioni a difesa della comunità sunnita libanese, dopo che a dicembre l’opposizione libanese (formata prevalentemente da sciiti e cristiani) ha deciso di ricorrere all’arma del sit in per protestare contro il governo di Fouad Sinora, auspicandone la sostituzione con uno di unità nazionale. A questo scopo ci furono anche incontri tra rappresentanti di Fatah al-Islam e attivisti del movimento Future di Saad Hariri. Il portavoce di Fatah al-Islam ha affermato che diversi attentati degli ultimi mesi, avvenuti in Libano, sono stati compiuti dal gruppo con l’obiettivo di spingere il Paese verso il caos.

 

  • Libano. 4 ottobre.  Le confessioni di Taha accreditano le rivelazioni fatte dal giornalista investigativo nordamericano Seymour Hersh che tempo fa aveva scritto di contatti tra la componente sunnita del governo libanese e gruppi jihadisti allo scopo di contrastare il partito sciita Hezbollah. Il tutto con la benedizione di Washington. Secondo altre indiscrezioni la stessa Bahia Hariri, zia di Saad e sorella dell’ex premier assassinato Rafiq Hariri, ha finanziato centri di carità islamica legati a jihadisti sunniti. Taha ha avvalorato tesi che circolano da mesi sui contatti tra elementi del partito Mustaqbal (Futuro), guidato dal capo della maggioranza filo-governativa, il sunnita Saad Hariri -ieri a colloquio con il suo sponsor statunitense, George W. Bush- con la formazione islamica snidata da Nahr al Bared (Tripoli) all’inizio di settembre, dopo quattro mesi di combattimenti costati la vita di circa 400 persone (tra cui 166 soldati) e la distruzione del campo profughi palestinese. Le confessioni di Taha, rese ai magistrati e ai servizi segreti libanesi «riformati», quindi non più controllati dalla Siria, non sono state smentite dalla magistratura che si è limitata a precisazioni sull’articolo pubblicato dal quotidiano. In ogni caso questo nuovo capitolo alleggerisce ulteriormente le presunte «responsabilità» dei profughi palestinesi di Nahr al Bared (40mila abitanti, ora in gran parte senza casa), accusati da molti libanesi di aver ospitato e sostenuto Fatah al Islam.

 

  • Libano. 4 ottobre.  «Per ricostruire Nahr al Bared occorreranno tre-quattro anni». Così il direttore dell’Unrwa in Libano Richard Cook, che ha lamentato la mancanza dei fondi necessari per quello che, prima della distruzione, era uno dei campi palestinesi meno poveri: «USA, Italia e altri paesi ci hanno promesso milioni di dollari ma non abbiamo visto un centesimo».

 

  • Libano. 4 ottobre. Bush insiste nell’alimentare tensioni in Medio Oriente e ora torna a minacciare la Siria per la crisi libanese. Il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, si è detto ieri «profondamente inquieto» per quel che ha definito «ingerenze straniere» nell’elezione del presidente del Libano ed ha puntato l’indice direttamente su Damasco. «Questo messaggio è diretto a paesi come la Siria», ha assicurato il tenutario della Casa Bianca dopo aver ricevuto il leader della maggioranza filo-francese e filo-statunitense, Saad Hariri.

 

  • Iraq. 4 ottobre. Al Sistani si rifiuta di incontrare Bush. La massima autorità religiosa sciita irachena, l’Ayatollah Alì al Sistani, ha respinto per la terza volta consecutiva la richiesta di colloquio avanzata dal presidente statunitense George Bush. Secondo quanto dichiarato da uno dei responsabili dell’ufficio del leader religioso a Najaf, l’Ayatollah al Sistani ha deciso di respingere le richieste del presidente USA in segno di protesta per le sue politiche, da lui considerate come il principale motivo delle sofferenze del popolo iracheno. Al Sistani, nel frattempo, ha lanciato un appello ai suoi connazionali, invitandoli a dimenticare le divisioni. «Il nostro Paese è ricco e pieno di risorse, vi chiedo di dimenticare le divisioni tra voi e con i vostri fratelli sunniti», si legge nell’appello diffuso. Il comunicato precisa che il grande ayatollah ha pronunciato queste parole ai capi tribali nella città santa sciita di Najaf, 150 chilometri a sud di Baghdad. «Siate come una grande montagna, di fronte ai tentativi di certi media di attaccare la nostra unità, esagerando il numero delle vittime e parlando di guerra confessionale».

 

  • Iraq. 4 ottobre. La Blackwater deve lasciare l’Iraq. Il premier iracheno Nouri al-Maliki ha ribadito che l’esercito di mercenari della società USA Blackwater debba lasciare l’Iraq di fronte alle prove che emergono dall’inchiesta in corso sulla responsabilità di suoi agenti nell’assassinio di diversi civili iracheni qualche settimana fa a Baghdad. Il The New York Times ha rivelato che secondo le indagini in corso sulla sparatoria del 16 settembre scorso nel quartiere di al-Mansour sono caduti sotto le pallottole degli agenti della Blackwater ben 17 persone e 24 i feriti. Secondo inchieste anche governative, le guardie di sicurezza private hanno sparato senza essere state prese di mira da nessuno, cosa che attribuisce loro una responsabilità sia morale che giuridica. Negli USA, intanto, un cittadino iracheno sopravvissuto alla sparatoria del 16 settembre scorso a Baghdad, in cui è rimasto ferito, e i parenti di tre delle vittime della strage hanno fatto causa alla Blackwater. Lo ha annunciato il Centro per i Diritti Costituzionali, un’organizzazione umanitaria USA, i legali della quale hanno materialmente presentato la denuncia a carico della società, per conto dei ricorrenti, davanti a una corte federale di Washington. Nella citazione si richiede il risarcimento dei danni morali e materiali, attuali e potenziali, derivanti dal massacro; l’ammontare esatto sarà precisato in seguito. Lo stesso governo dell’Iraq intende reclamare dalla Blackwater l’astronomico indennizzo complessivo di 136 milioni di dollari, vale a dire 8 milioni di dollari per la famiglia di ciascuno tra coloro che hanno perso la vita. Al riguardo sono stati adottati i medesimi criteri, e dunque è stato chiesto un «ammontare analogo» a quello versato a suo tempo dalla Libia per i morti nell’attentato dell’88 a Lockerbie contro un aereo della compagnia di linea ‘PanAm’, esploso in volo sulla cittadina scozzese.

 

  • Iran. 4 ottobre. L’Iran non rappresenta un pericolo. Lo afferma il direttore generale dell’AIEA, Mohammed el-Baradei, che ha invitato la comunità internazionale ad abbassare i toni per evitare un’escalation con il paese di Ahmadinejad: «L’Iran non rappresenta un pericolo chiaro e immediato. Spero che tutti abbiano imparato la lezione dell’Iraq, dove 70mila civili innocenti hanno perso la vita a causa del sospetto che un Paese fosse in possesso di armi nucleari». Dopo essere stato sommerso dalle critiche, lo stesso ministro degli Esteri francese Kouchner è stato costretto a tornare sui suoi passi. Parzialmente: «non voglio che si dica che sono un guerrafondaio. Il mio messaggio era di pace, serio e determinato (...) è necessario prepararsi al peggio, e il peggio è la guerra», ha ribadito Kouchner, pur aggiungendo -quasi a voler indorare la pillola- che «la posizione della Francia è quella di negoziare, negoziare e negoziare fino alla fine».

 

  • Iran. 4 ottobre. «La giornata mondiale di Quds (Gerusalemme, ndr) è il giorno del grido e della resistenza islamica dinanzi alle politiche scissionistiche degli USA e del Sionismo». Sono parole del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, alla vigilia delle manifestazioni pro-palestinesi dell’ultimo venerdì del Ramadan, un’iniziativa istituita dall’imam Khomeini nel 1979. «Domani, come ogni anno, la grande nazione iraniana, così come gli altri musulmani di tutto il mondo commemorano questa giornata», ha detto il presidente elogiando la resistenza del popolo palestinese contro l’occupazione del regime sionista. «Grazie all’imam Khomeini il giorno di Quds è diventato il simbolo della lotta dei popoli oppressi contro le potenze arroganti e le superpotenze», ha aggiunto. Per il capo di Stato iraniano le azioni del nemico sionista, che sempre insegue il sogno di una grande Israele estesa dal Nilo all’Eufrate, sono neutralizzati grazie alla resistenza del popolo palestinese. «Oggi siamo testimoni che il regime sionista e i suoi sostenitori occidentali si sono ritirati dalle loro posizioni precedenti, accettando persino la creazione di uno Stato palestinese». Ahmadinejad ha poi confermato che il popolo iraniano ha «una missione internazionale» da compiere, che è quella di bloccare l’egemonia israeliana in Medio Oriente. «Chi ritiene che sia necessario concentrarci solo sulle questioni interne si sbaglia; è necessario impegnarsi anche per riforme delle questioni internazionali».

 

  • USA. 4 ottobre. SI alle spese militari, NO alla spesa sociale per l’infanzia. Il presidente degli Stati Uniti George Bush ha posto il veto sulla decisione del congresso di ampliare un programma per la tutela della salute dei bambini più bisognosi. Secondo l’agenzia Reuters, la legge avrebbe stanziato 35 miliardi di dollari aggiuntivi per più di cinque anni per un programma di sanità pubblica amministrato dagli Stati. Le risorse aggiuntive sarebbero state coperte dall’aumento delle tasse sui prodotti derivati dal tabacco. La decisione di estendere la copertura ad altri 4 milioni di bambini, aumentando la spesa da 5 a 12 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni, godeva di un appoggio bipartisan all’interno del Congresso e per questo la decisione di Bush potrebbe inasprire i suoi rapporti con i parlamentari repubblicani, preoccupati per le prossime elezioni politiche.

 

  • USA. 4 ottobre. Bambino negli USA contro Bush. Graeme Frost, 12 anni, ancora sofferente per i postumi di un grave incidente stradale di tre anni fa, è il nome del bambino che ha sfidato il presidente Bush sull’assistenza sanitaria per i poveri. È dai tempi di Franklin Roosevelt e delle sue chiaccherate al caminetto che gli statunitensi sono abituati ad ascoltare il presidente alla radio di sabato. Da tempo, al messaggio presidenziale si accompagna una replica del partito d’opposizione e con il piccolo Frost i democratici hanno introdotto un’innovazione: il primo bambino a cui è stato dato il compito di rispondere al consueto messaggio della Casa Bianca. Lo scorso fine settimana Graeme ha parlato alla radio contro Bush e la sua minaccia di veto a una legge che rifinanzia ed estende l’assistenza sanitaria ai bimbi che vivono in famiglie con redditi bassi: «Firmi la legge, presidente», ha detto Graeme, esortando Bush a non usare i soldi della sanità per finanziare la guerra in Iraq. Graeme e la sorellina nel 2004 rimasero gravemente feriti in un incidente stradale. Il bambino per una settimana rimase in coma e ancora ha bisogno di terapie. La famiglia Frost, sei persone, guadagna in tutto 45.000 dollari l’anno e Graeme si è salvato e si è potuto curare grazie al programma Children’s Health Insurance Program (Chip), che garantisce l’assistenza ai bambini figli di famiglie con redditi bassi e che ora è finto nel mirino di Bush. Nel messaggio radiofonico Graeme ha spiegato che senza il programma Chip i genitori non avrebbero potuto affrontare le enormi spese mediche.

 

  • USA. 4 ottobre. 2006, un caso di violenza ogni 22 secondi. Il quotidiano La Stampa informa di un rapporto dell’FBI secondo cui i crimini violenti sono aumentati dell’1,9% nel Paese. Nel 2006 sono stati più di 1,4 milioni gli episodi di omicidio, rapine, ag