Nel tinello di Santoro irrompe la figura colossale del metallurgico
di redazionale - 20/10/2007
La classe operaia esiste, vuole le case popolari ed è “incazzata” con i comunisti che difendono i precari del centro storico
A far strepitare in tv i precari del
centro storico son buoni tutti, e così i sottopagati
di buona famiglia con lo spleen o gli
autoproclamati bamboccioni assunti a tempo
indeterminato. Devono essercene a quintali
freschi davanti agli studi Rai. Avesse
aperto Annozero soltanto a loro, l’altroieri,
Michele Santoro, sarebbero stati sbadigli.
Ma siccome Santoro nel suo infimo è un genio
del mestiere, è riuscito tra tanta fuffa a
ricordarci che la classe operaia esiste ed è
“incazzata”, come ha detto lui. Nella puntata
di giovedì è andata in scena la consueta
celebrazione manipolatoria, il cui titolo era
“I perdenti”. Vittima settimanale il ministro
di Rifondazione Paolo Ferrero (Solidarietà),
circondato dagli “esternalizzati” di Vodafone
(sempre col contratto a tempo indeterminato),
dal cassintegrato senza prospettive
pensionistiche e dalla cattiva coscienza di
una sinistra che oggi andrà in piazza contro
il protocollo sul welfare ma non può dirlo a
cielo aperto. Soprattutto non può agire secondo
la coerenza del proprio comunismo
operaio, altrimenti avrebbe già tirato giù il
governo di Romano Prodi e TPS. Con Ferrero
c’erano Claudio Lotito nella veste dell’imprenditore
nuovo (un po’ rude un po’ gentiluomo,
per una volta non sgrammaticato e
convincente nel proprio amore per il capitalismo
“di famiglia e simbiotico”), poi il giuslavorista
Michele Tiraboschi e Vincenzo
Galasso che ha scritto un libro d’attualità:
“Contro i giovani” (Mondadori, con Tito Boeri
de lavoce.it) Fin qui ancora poco.
C’era però un elemento mirabile nel santorismo
di due giorni fa, di là dalla sua giusta
retorica sull’operaio impiccatosi in fabbrica
per via d’un mutuo eccessivo che gli ha
strappato l’anima dal corpo; di là dalla furbizia
sciatta con la quale Santoro ha arruolato
le parole di Benedetto XVI sul precariato; di
là dal solito travaglismo ambulante. Ecco, la
cosa bella di Annozero è stata l’inchiesta sulla
fabbrica bergamasca dove hanno vinto gli
oppositori all’accordo sul mercato del lavoro,
dove il referendum che ha incorniciato il
pasticcio fra sindacati confederali e governo
è stato respinto coi fischi e coi fiocchi rossi
del metallurgico che non ricordavamo più.
Loro, gli operai, seguiti in tempo reale con le
telecamere dall’alfa dell’assemblea autoconvocata
all’omega della vittoria inutile nelle
urne locali, hanno fatto una figura colossale.
Perché erano come apparivano: deideologizzati,
basiti, impoveriti e urlanti con un’educazione
valligiana che è il sano residuo di
un’identità. Urlavano contro i dirigenti sindacali
che, senza dire come e perché, gli hanno
fatto consegnare il Tfr alle banche e alle
finanziarie berlusconiane. Urlavano contro
la sinistra massimalista che ha tradito l’essenza
del mandato ricevuto dagli operai. Urlavano
contro Prodi dicendo che “Berlusconi
certe cose a noi non le ha mai fatte”. Facevano
tutto con la faccia dei cinquantenni
usurati anche se per l’anagrafe ne dovrebbero
avere trentacinque. Ferrero li guardava e
a momenti piangeva di dolore, smarrito nell’astrazione
di una lotta di classe inesistente
(nelle periferie oggi si vota più a destra). Eppure
quelli, gli operai, che saranno anche
una minoranza rispetto ai pensionati, agli
studenti parassitari e ai trentenni in carne,
esistono con prepotenza e se sono incazzati
significa che l’Italia sta andando incontro a
un problema. Santoro è comunista e affronta
il tema sperando in chissà quale rivoluzione
fisica e morale. Ma gli operai sono quanto di
meno comunista esista oggi in Italia, vogliono
una casa popolare e meno immigrazione
sleale sul mercato dei salari. Vederli presi in
giro dai comunisti fa venire voglia di tornare
corporativisti impazienti.