Flavio Claudio Giuliano, Cesare dell'occidente
di Francesco Lamendola - 21/10/2007
In un precedente lavoro abbiamo trattato i due anni (361-363 d. C.) nei quali Flavio Claudio Giuliano fu imperatore dell'Impero Romano riunificato, dopo la morte improvvisa di Costanzo II, che scongiurò i disastri di una guerra civile. Ora ci occuperemo del periodo in cui egli era stato nominato Cesare per le province occidentali e aveva condotto una vittoriosa serie di campagne militari in Gallia, riconquistando le province che erano state occupate da numerosi gruppi di Germani migrati al di qua del Reno. Proprio l'esito brillante di tali operazioni indusse i suoi soldati ad acclamarlo Augusto, a Parigi, nel 360, mettendo in moto il meccanismo per cui il giovane filosofo neoplatonico, che già aveva stupito il mondo con il coraggio e l'abilità mostrati sui campi di battaglia, si vide proiettato verso la signoria dell'Impero Romano.
Giuliano era nato a Costantinopoli nel 331 ed era figlio di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino. Insieme al fratello Gallo era scampato alle stragi del 337, di cui furono vittime il padre e la maggior parte dei parenti, ricevette una pia educazione cristiana, in parte sotto la guida del vescovo Eusebio di Nicomedia. Più tardi, a Efeso e ad Atene, Giuliano entrò in contatto con gli ambienti culturali della seconda sofistica imbevuti di platonismo; e, a Costantinopoli, subì l'influsso (indiretto) di Libanio e quello, diretto, del filosofo neoplatonico e taumaturgo Massimo. In seguito a ciò, e ai suoi personali, intensi studi di filosofia e religione, maturò una concezione ispirata all'antico politeismo e al misticismo neoplatonico.
Nel 355 Costanzo II, che pure - l'anno prima - aveva fatto condannare a morte suo fratello Gallo, lo innalzò alla dignità di Cesare, gli diede in moglie sua sorella Elena, e gli affidò il governo della Gallia, minacciata dalle invasioni dei Franchi e degli Alemanni. Nel 358 Giuliano riportò una decisiva vittoria sugli Alemanni, a Strasburgo, coronando una serie di campagne condotte con maestria pari soltanto all'audacia, e imponendo sovente il suo volere ai propri titubanti generali. Da questa vittoria ebbe inizio la breve ma gloriosa e affascinante parabola dell'ultimo imperatore pagano di Roma antica.
SOMMARIO
I. Gallo è nominato Cesare per l'Oriente.
II. Sua personalità.
III. Repressione di una rivolta di Ebrei in Galilea.
IV. Violenze del governo di Gallo.
V. Richiamo, arresto ed esecuzione di Gallo.
VI. Critica situazione delle Galle.
VII. Usurpazione di Silvano a Colonia.
VIII. Eliminazione di Silvano.
IX. Invasioni barbariche in Gallia.
X. Carattere di queste invasioni.
XI. Impotenza di Costanzo e respingerle.
XII. Giuliano.
XIII. Sua infelice adolescenza.
XIV. Sua difesa a Milano.
XV. Suo ritiro ad Atene e suoi studi.
XVI. Progetti di Costanzo.
XVII. Giuliano è proclamato Cesare.
XVIII. Si reca a Vienne.
XIX. Disordine del governo gallico.
XX. Scoraggiamento delle popolazioni e necessità di un rinnovamento.
XXI. Assedio di Autun.
XXII. I barbari si ritirano.
XXIII. Avanzata di Giuliano.
XXIV. Ritorno delle legioni sul Reno.
XXV. Sosta nelle operazioni.
XXVI. Assedio di Giuliano in Sens.
XXVII. Nuovo insuccesso dei barbari.
XXVIII. Fallito attacco degli Alamanni contro Lione.
XXIX. Oltrepassano il Reno in forze.
XXX. Battaglia di Strasburgo.
XXXI. Avanzata di Giuliano in Germania.
XXXII. Trattato di pace con gli Alamanni.
XXXIII. Attacco dei Camavi in Batavia.
XXXIV. Loro guerriglia.
XXXV. I barbari contro i barbari.
XXXVI. Cariettone.
XXXVII. Sua collaborazione con Giuliano.
XXXVIII. Repressione e resa dei Camavi.
XXXIX. Attacco proditorio contro Camavi e Salii.
XL. Ragioni dell'azione di Giuliano.
XLI. Le guerre tra l'«uomo civile» e il «selvaggio».
XLII. La figura di Cariettone.
XLIII. Problemi della ricostruzione in Gallia.
XLIV. Rifornimenti granari dalla Britannia.
XLV. Sospetti di Costanzo II.
XLVI. Carattere del governo di Giuliano.
XLVII. Riscuote le tasse nella II Belgica.
XLVIII. Riduzione della «capitatio» a meno di un terzo.
XLIX. Ripresa economica e civile della Gallia.
L. Disegni politici di Costanzo.
LI. Il concilio di Arles.
LII. Concilio di Milano.
LIII. Terza cacciata di Atanasio da Alessandria.
LIV. Esilio di papa Liberio.
LV. Trionfo di Costanzo.
LVI. Suo ingresso a Roma.
LVII. Abbellisce la città.
LVIII. Fa togliere l'altare della Vittoria in Senato.
LIX. Combatte sul Danubio Quadi, Sarmatie Limiganti.
LX. Le ragioni del suo filo-arianesimo.
LXI. Ritorno di Liberio a Roma.
LXII. Concilio di Rimini.
LXIII. Concili di Seleucia e di Costantinopoli.
LXIV. Rinnovata minaccia persiana.
LXV. Fallite trattative, assedio e distruzione di Amida.
LXVI. Modesti risultati conseguiti da Shapur.
LXVII. Caduta di Singara e Bezabde; inconcludente controffensiva romana.
LXVIII. Richieste di rinforzi a Giuliano.
LXIX. Giuliano acclamato Augusto.
LXX. Respinge gli Alamanni.
LXXI. Rafforza la sua posizione in Gallia.
LXXII. Sua fulminea avanzata fino a Sirmio.
LXXIII. Morte di Costanzo in Cilicia; Giuliano unico imperatore.
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I
Sconfitto nella battaglia di Mons Seleucus, coraggiosamente come aveva lottato, il 10 agosto del 353 l'usurpatore Magnenzio morì suicida, gettandosi sulla propria spada; giusto in tempo per prevenire i suoi soldati che intendevano consegnarlo a Costanzo II in cambio del perdono e della vita. Una settimana più tardi, il 18 agosto, suo cugino Decenzio, saputa la notizia, circondato anch'egli d'ogni parte dai nemici, si inpiccò a Senone ( Sens ) per non cadere nelle mani del vincitore.
La tragica figura di Magnenzio si staglia con forza plastica sul corrusco tramonto del mondo antico. Precursore dei patrizi germanici della seconda metà del IV e del V secolo, di Arbogaste, Stilicone, Ricimero, pagò con la vita la sconfinata audacia e l'immaturità dei tempi. Con lui precipitò al suolo la speranza di far risorgere il morente paganesimo, anche se questo sogno non morì del tutto. Ci sarebbero voluti il breve remo di Giuliano l'Apostata e l'estremo tentativo di Eugenio e Arbogaste, sul cadere ormai del secolo, per fare la prova provata dell'incapacità del paganesimo a opporre una efficace resistenza, sia culturale sia militare, al dilagare della religione di Gesù Cristo. La strada iniziatasi al Ponte Milvio e snodatasi attraverso Scutari, Grisppoli e Mursa doveva concludersi in quella fatale, ventosa giornata di settembre del 394, lassù nella valle del fiume Frigido, uno sconosciuto affluente dell'Isonzo.
Per la prima volta dai tempi di Costantino il Grande, l'Impero Romano era nuovamente unito nelle mani di un unico sovrano. Presto, però, si sarebbe dimostrato troppo esteso per poter essere governato da un uomo solo in un momento simile, tanto più che Costanzo II non possedeva quelle eccezionali qualità politiche che le circostanze richiedevano.
Prima di mettersi in movimento contro Magnenzio, Costanzo aveva richiamato suo cugino Gallo e gli aveva affidato, col titolo di Cesare, il governo dell'Oriente. Costanzo diede prova di un certo qual coraggio morale nel chiamare a un posto di tanta importanza un uomo che aveva parecchi motivi per odiarlo. Insieme al suo fratello minore, Giuliano, Gallo aveva assistito alla strage di tutti i suoi parenti, nonché di suo padre, dopo la morte di Costantino il Grande, e si era poi visto confinato in uno splendido ma rigoroso esilio in vari luoghi dell'Asia Minore. La rivolta di Magnenzio in Occidente segnò l'inizio della sua breve fortuna. Costanzo, al momento di partire da Costantiopoli per la guerra contro l'usurpature, si avvide di non avere nemmeno un ministro del quale potersi fidare per affidargli il governo dell'Oriente. Richiamò allora dall'esilio il cugino Gallo, lo sposò con sua sorella Costantina e lo mandò ad Antiochia quale suo Cesare per governare le province orientali e fronteggiare la minaccia persiana durante la sua assenza.
II
Il compito non sembrava presentare particolari difficoltà per il venticinquenne Cesare. Nonostante la notoria irrequietezza delle popolazioni orientali, aggravata in quegli anni da roventi dispute religiose (il ritorno di Atanasio ad Alessandria non aveva certo riportato la tranquillità ), in compenso l'unica grave minaccia esterna, quella persiana, si era proprio allora improvvisamente<