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Il potere ai bacini idrografici

di Giorgio Nebbia* - 21/12/2005

Fonte: ecologiapolitica.it


La  scarsità di acqua di buona qualità in quantità sufficiente per un adeguato sviluppo civile e sociale, e il dissesto idrogeologico hanno le loro comuni radici nella mancanza di una politica unitaria del territorio.

Dai tempi dell'alluvione del Polesine (1951) a quelli dell'alluvione di Firenze (1966) e di tutte le  altre frane e alluvioni, in occasione di tutti i gravi episodi di mancanza di acqua e di inquinamento, gli studiosi hanno chiaramente indicato che la gestione del territorio poteva essere affrontata in modo corretto soltanto riconoscendo che il bacino idrografico è l'unica unità di riferimento ecologicamente sensata. Le parole degli studiosi sono rimaste inascoltate: infatti ben pochi bacini idrografici hanno confini che coincidono con quelli amministrativi per cui la gestione per bacini idrografici avrebbe richiesto un coordinamento, una solidarietà fra regioni vicine, il confronto fra linee politiche ideologicamente anche diverse, la spartizione di poteri amministrativi e di finanziamenti.

Soltanto nel 1989 il Parlamento ha emanato una "legge per il riassetto organizzativo e funzionale  della difesa del suolo" che di fatto riscrive la geografia politica e amministrativa del nostro paese. La "centottantatré", riconosce che la difesa del suolo e delle acque richiede azioni di "pianificazione" (è proprio usato questo termine di suono "bolscevico") da svolgere nell'ambito dei bacini idrografici, suddivisi in nazionali, interregionali e regionali.

La pianificazione deve avvenire sulla base di "piani di bacino" elaborati da "autorità di bacino", in cui sono presenti i rappresentanti delle amministrazioni locali ma che, secondo lo spirito e la lettera della legge, dovrebbero coordinare e mediare interessi contrapposti, anche politicamente  contrapposti. Nei quindici anni trascorsi sono state costituite le autorità di bacino, raramente sono stati fatti piani di bacino che rispettassero le indicazioni della legge (l'art. 17 è molto preciso a questo proposito), raramente sono state fatte le indagini che pure la legge prescrive e che dovrebbero indicare i flussi di acqua, le presenze umane, produttive, agricole e zootecniche, i flussi di rifiuti che finiscono negli affluenti e nei fiumi principali di ciascun bacino, lo stato delle coste che pure sono influenzate dal trasporto solido delle acque di ciascun bacino.

Per lo più lo spirito della legge è rimasto sulla carta: sono stati fatti dei finti "piani di bacino" limitati ad elenchi di fabbisogni finanziari; spesso stralci per spendere i soldi che arrivavano ad ogni emergenza, di siccità o alluvioni, e molti soldi sono stati anche spesi, ma in molti casi sono stati "spartiti" fra le Regioni vicine, fra le zone vicine, al di fuori di un piano e di un coordinamento.

La  soluzione dei problemi idrici, idrogeologici ed ecologici di ciascuna parte d'Italia dipende dalla volontà degli amministratori, delle forze produttive (lavoratori e imprenditori) e delle forze intellettuali, di affrontare radicalmente la gestione del territorio per bacini idrografici secondo lo spirito della legge 183.

L'approvvigionamento idrico per le città, le industrie, l'agricoltura, potrà essere assicurato con lo sguardo rivolto alle generazioni future, non solo depurando le acque usate, ma modificando i cicli produttivi agricoli, industriali e zootecnici, realizzando bacini di raccolta e opere di trasporto dell'acqua, attraverso interventi di difesa del suolo con il rimboschimento e la ricostruzione della copertura vegetale, attraverso il  ricupero delle terre marginali e la difesa degli alvei, delle golene e degli argini dei fiumi, attraverso una politica di coordinamento degli enti preposti alla distribuzione dell'acqua ---- da quelli acquedottistici ai consorzi di bonifica ---- attraverso interventi tecnici e una politica tariffaria che scoraggino gli sprechi. Tutte queste e altre iniziative sono ben chiaramente indicate fra i compiti di pianificazione assegnati alle autorità di bacino dalla legge 183.

Mi  rendo conto della difficoltà del lavoro da fare; molti enti locali dovranno rinunciare ad una parte del proprio potere, dovranno imparare a lavorare con altri soggetti amministrativi,  economici e sociali. Ci sono stati quindici anni di tempo, finora sprecato, per arrivare al coordinamento fra i bacini idrografici, geograficamente ben definiti, anche se la legge prevede accorpamenti al fine di non dispiacere regioni vicine, e a bacini di utenza ai fini della raccolta e della distribuzione dell'acqua  potabile. Ma l'efficacia delle opere di approvvigionamento e distribuzione dell'acqua potabile rischia di essere vanificata se tali opere non tengono conto delle dimensioni ed estensioni dei bacini idrografici.
 
La pianificazione per bacini idrografici offre l'occasione anche per attuare una diversa maniera di valutare costi e investimenti. Se si misurasse il costo, per la collettività italiana, delle distruzioni di beni --- fertilità dei campi, abitazioni, strade e fabbriche, per non parlare del costo delle vite  umane e del patrimonio storico-culturale distrutto, che non ha prezzo --- dovute a frane, alluvioni  e siccità,  si vedrebbe che il costo delle opere di attuazione di quanto disposto per la difesa del suolo risulterebbe di gran lunga minore. Però manca ancora una cultura amministrativa capace di confrontare i costi evitati futuri con i costi da affrontare oggi.

Il  successo della nuova maniera di amministrare il territorio dipende anche da una azione  educativa da fare nelle scuole e nelle Università; non basta raccomandare il risparmio dell'acqua ---- alcuni, pochi enti acquedottistici lo fanno --- o fare dell'"ecologia". Occorre diffondere una  "cultura" dell'acqua e dei bacini idrografici, capace di aiutare le nuove generazioni a ragionare in termini di moto delle acque, di erosione del suolo, di uso razionale e parsimonioso dell'acqua  nelle città, nelle fabbriche, nei campi, capace di sollecitare una domanda di processi di  depurazione delle acque contaminate. A mio parere sarebbe di grande importanza la diffusione e la crescita di uno spirito di solidarietà e appartenenza non ad una regione amministrativa, ma ad un bacino idrografico; un abitante di Cremona non "appartiene" alla Lombardia, ma al bacino idrografico del Po, essendo inquinato dagli scarichi che avvengono a Torino ed essendo fonte di inquinamento per gli abitanti del Polesine; un abitante di Barletta non "appartiene" alla Puglia, ma al bacino idrografico dell'Ofanto che si stende in Campania e Basilicata oltre che in Puglia. Ho sempre sognato che nelle scuole venisse distribuita una cartina geografica d'Italia in cui al posto dei confini regionali fossero segnati i confini dei bacini idrografici.
 

Il  premio per chi vorrà affrontare questo compito sarà da una parte la possibilità di evitare i  costi dovuti alla riparazione dei danni delle future --- certe --- frane e alluvioni, dei danni dovuti alla scarsità di acqua (si pensi alla perdita di presenze turistiche e di raccolti agricoli), dei danni dovuti all'inquinamento del suolo e dei fiumi; dall'altra parte la possibilità di creare nuovi posti di lavoro e maggiore ricchezza grazie al ricupero proprio delle terre oggi esposte ad erosioni e frane.


Dai bacini idrografici passa, forse, un "New Deal" economico (anche Roosevelt nel 1933 basò il suo programma  politico su una serie di opere di regolazione del corso dei fiumi e di difesa del suolo contro l'erosione) e una nuova voglia di solidarietà e di fare politica nel senso nobile della parola.

 


*(articolo tratto da “Beni comuni  fra tradizione e futuro”  (Emi, Bologna  2005), Quaderno della rivista «CNS-Ecologia Politica»)