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Ernesto Che Guevara. Un mito vive per sempre nella lotta dei popoli

di Nando de Angelis - 21/10/2007

Lotta di popoli: Ernesto Che Guevara. Un mito vive per sempre


L’immagine del “Che”, a quarant’anni dalla sua morte, è ancora ben viva e non solo negli occhi di chi con lui ha condiviso sogni e battaglie, ma nell’immaginario collettivo di intere generazioni che si sono identificate nei suoi ideali rivoluzionari. Il “guerrigliero eroico”, immortalato nella famosa foto di Alberto Diaz “Korda”, intransigente ed estremista prima con se stesso e poi con gli altri, è diventato un mito adorato in tutto il mondo. Il suo fascino ha destato la gioventù della sonnolenta Europa spingendola sulle barricate del maggio ’68. La sua figura si è trasformata in un mito che, al di là delle ideologie, rappresenta l’inquietudine, il coraggio e la romantica sfortunata disperazione di chi, per rendere immortali i suoi principi, si trova ad affrontare una morte precoce e violenta. E’ l’eroe ideale incapace di compromessi, l’eterno ribelle, il sognatore poco incline alla mediazione in un mondo pieno di ingiustizie. L’emblema della lotta per la libertà e la dignità dei popoli oppressi. La sua figura, nel tempo, giganteggia ancora; era uno di noi, forse, il migliore di noi: un esempio di moralità, spirito di sacrificio, e disinteresse.
Quella foto ha rivestito e riveste tuttora un profondo significato ideologico ed è per noi inaccettabile la mercificazione che di essa si è fatta, trasformandola in un semplice gadget, in una icona da stampare sulle magliette. Una vergognosa mercificazione che ha assunto tutte le dimensioni da “marketing” di puro stampo capitalista. Dopo gli iniziali canti di vittoria, il nemico di sempre, l’imperialismo americano, ha cercato di omologarlo ai suoi standard, prendendo atto che si può eliminare fisicamente un uomo, ma un esempio, come quello del Che, niente e nessuno può eliminarlo. L’ormai defunto ed anziano padre, Ernesto Guevara Lynch, in tempi non sospetti si addolorava della speculazione sull’immagine del figlio, apposta su qualunque cosa. Ed altra stortura e incongruenza sono le bandiere con la sua effige sventolate dai cosiddetti “pacifisti”, dai sostenitori della “non violenza”. Il Che Guevara, “El Guerrillero Heroico”, avrebbe potuto essere tutto, fuori che un pacifista. Era sicuramente un uomo straordinario e capace di tanto amore, ma il suo profondo umanesimo l’aveva condotto a lottare e a dare la morte per affermare le sue profonde convinzioni. Per lui il terrorismo era una forma negativa che non produce in alcun modo gli effetti desiderati e che può incitare un popolo a reagire contro un movimento rivoluzionario, ma era altrettanto convinto che la lotta armata contro i padroni del mondo ed i loro burattini fosse l’unica strada percorribile per conseguire la vittoria, che la libertà non è quella di coloro che si mettono i ceppi, ma di quelli che impugnano le armi contro i ceppi della schiavitù. Il Che non era un avventuriero anarchico, come spesso è stato descritto dai suoi detrattori, ma l’incarnazione del rivoluzionario da imitare, un uomo che ha agito coerentemente con il proprio pensiero. Con la sua azione ed il suo sacrificio fu testimone di una nuova morale a cui chiunque aspiri a lottare per un mondo migliore, senza sfruttamento, né oppressione, né miseria capitalista e dove tutti gli esseri umani siamo realmente fratelli, dovrebbe fare riferimento.
Ma come la vita ed il pensiero del Che possono tornare utili a quanti nel XXI secolo lottano per “un altro mondo possibile”? Il mondo di oggi ha poco in comune coi tempi che gli toccò vivere, l’URSS ed il “campo socialista” sono spariti, il Vietnam, che tanto ammirò, è ora amico degli Stati Uniti, la Cuba socialista e rivoluzionaria, a cui dedicò gli anni migliori della sua breve vita, appena sopravvive strangolata da embarghi ed ostracismi, la “guerra di guerriglia” è fallita quasi del tutto dove è stata sperimentata. Si, tutto questo è vero, il quadro geopolitico è cambiato, ma non è mutata le causa che è alla base di tutte le ingiustizie del mondo in cui viviamo. Il problema continua ad essere lo stesso che, nel lontano 1967, il Che segnalò: “In definitiva, bisogna tenere in conto che l’imperialismo è un sistema mondiale, l’ultima tappa del capitalismo, e che bisogna batterlo in un gran confronto mondiale. La finalità strategica di questa lotta è la distruzione dell’imperialismo. Il nostro compito è quello di eliminarne le basi di sostentamento: i nostri paesi oppressi, derubati dei propri capitali, delle materie prime, da dove traggono manodopera a basso costo e dove importano nuovi capitali - strumenti di dominazione-, armamenti, guerre e merci di vario genere, a volte inutili, ridotti ad uno stato di dipendenza assoluta. L’elemento fondamentale di questa finalità strategica sarà, allora, la liberazione reale dei popoli oppressi; liberazione che avverrà, nella maggioranza dei casi, attraverso la lotta armata e che avrà, in America Latina, quasi inevitabilmente, la proprietà di trasformarsi in una rivoluzione socialista. La distruzione dell’imperialismo passa attraverso l’identificazione della sua testa gli Stati Uniti d’America”. Le sue parole, la sua analisi non solo sono di una lucidità sconcertante, ma, alla luce della globalizzazione neoliberale, appaiono ancor più attuali. Il saccheggio del mondo da parte dell’imperialismo è arrivato al parossismo, la polarizzazione della ricchezza nelle mani di pochi e della miseria crescente dell’umanità è sotto gli occhi di tutti. La guerra, come metodo predatorio, non è più quella del Vietnam, ma quella dell’Iraq, dell’Afghanistan, della minaccia di una guerra nucleare contro l’Iran, delle sofferenze indicibili del popolo palestinese.
L’imposizione degli stessi piani economici neoliberali, fotocopiati da Washington per l’intero globo, evidenziano come il governo nordamericano sia la testa di ponte dell’imperialismo globale e, quindi, il nemico da abbattere.
Oggi, come ieri, il problema centrale per la sopravvivenza del genere umano, è l’imperialismo. Come combatterlo? Il Che amava proporre ovunque l’esempio dell’eroico popolo vietnamita. “Creare due, tre, molti Vietnam, è la consegna!”. Oggi potremmo dire, creare due, tre, molti Iraq, o, perché no, due, tre, molti Venezuela o Bolivia… è la consegna.