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Premio Nobel per l'economia: paradossi e metafore

di Alejandro Nadal - 22/10/2007


 


Povero Adam Smith. Ora si che deve essere rimasto confuso nella sua tomba nella piccola chiesa di Canongate, Edimburgo. Occorre chiedersi, se quelli del comintato del Nobel sono stanto conservatori, perché quest'anno hanno premiato un economista (Leonid Hurwicz) che ha tanto contribuito a sotterrare per sempre la teoria del mercato?

Per capire questo paradosso, occorre tirar fuori il vecchio Smith dal cassetto, dargli una spolverata, e raccontargli qualcosa sull'evoluzione della teoria economica, cominciando col Nobel di quest'anno a tre economisti che hanno sviluppato la teoria del progetto dei meccanismi. Sebbene la stampa abbia cercato di spiegare al pubblico cos'è questa faccenda del "progetto dei meccanismi", le spiegazioni non sono andate oltre una serie di pietose citazioni dal comunicato del comitato del Nobel che non dicono nulla. Occorrerà spiegare a Smith la relazione tra la bella e potente metafora della "mano invisibile" e il progetto di meccanismi.

La allegoria della mano invisibile intende rispondere ad una domanda inquietante: se gli individui che compongono una società sono egoisti, perchè non si ammazzano l'uno con l'altro? Secondo Adam Smith la soluzione dell'enigma sta nel meccanismo della mano invisibile: il mercato è un dispositivo sociale che permette di coordinare le mire degli individui egoisti senza la necessità di un intervento dello stato. In questa metafora, il mercato non solo rende compatibili le mire degli operatori egoisti senza che questi se ne accorgano (dunque il carattere "invisibile" del meccanismo), ma permette anche il raggiungimento della prosperità. Ma, anche se Smith tentò, non riuscì a fornire la prova scientifica che questo era ciò che effettivamente accadeva sui mercati.

Nel 1948 Samuelson potè offrire una dimostrazione che la posizione di equilibrio è associata ad un criterio di efficienza. E' sempre qualcosa, anche se il criterio di efficienza (l'ottimo di Pareto) lascia molto a desiderare. Ma mancava sempre la cosa più importante: la dimostrazione che le forze del mercato conducono al punto di equilibrio. Per questo era necessario costruire un modello che rappresentasse in maniera dinamica il processo di formazione dei prezzi di equilibrio.

Al termine di un lungo percorso, con il lavoro di Kenneth Arrow e Leonid Hurwicz sulla "stabilità dell'equilibrio competitivo" (1958-59) la comunità accademica pensò che si era arrivati alla dimostrazione definitiva che le forze di mercato conducono all'equilibrio. Che avevano fatto questi autori? Avevano costruito un ingegnoso modello di equazioni differenziali nel quale le forze della competizione permettono la formazione dei prezzi di equilibrio per tutte le merci simultaneamente (a questi prezzi l'offerta è uguale alla domanda in tutti i mercati nello stesso tempo). L'uso di uno strumento matematico poderoso (le funzioni di Lyapunov) permetteva loro di "dimostrare" il convergere verso la posizione di equilibrio.

Per la prima volta si era costruito un meccanismo che apparentemente permetteva di dimostrare che in effetti, come suggeriva la metafora di Smith, le forze del libero mercato conducevano ai prezzi delle mercanzie verso la posizione di equilibrio ed efficienza.

Disgraziatamente per il meccanismo pensato da Hurwicz, in questo modello la formazione dei prezzi di equilibrio si poteva garantire solo mediante l'intervento di presupposti molto restrittivi (ben noti tra gli esperti: beni sostituto grezzi o l'assioma debole delle preferenze rivelate a livello di mercato). Ma, anche se questo risultato era insoddisfacente, Arrow e Hurwicz azzardarono una congettura. Affermarono che sebbene riconoscessero che il risultato raggiunto dipendeva in maniera cruciale dall'introduzione di presupposti restrittivi, pensavano che in genere (cioè senza l'aiuto dei presupposti arbitrari) era possibile dimostrare che il meccanismo di mercato conduceva ad una posizione di equilibrio.

Grosso errore. Nel 1960, in un articolo famoso, Herbert Scarf dimostrò che questa congettura non era valida: con un controesempio riuscì a provare che se si abbandonavano i presupposti restrittivi, il modello non riusciva più a dimostrare che la mano invisibile rendeva compatibili le mire individuali (nell'equilibrio). Per quanto famoso, questo articolo non è stato recepito neanche dai diletti allievi di Scarf.

Questo dibattito fu uno spartiacque. Quattordici anni dopo, Debreu, Mantel e Sonneschein dimostrarono che per raggiungere il risultato di Arrow-Hurwicz, era sempre necessario ricorrere a presupposti restrittivi. Conclusione: questo fu l'ultimo chiodo nella bara della teoria dell'equilibrio generale.

Da allora, Leonid e i suoi amici passano il tempo a disegnare meccanismi per la teoria dei giochi. La realtà è che 230 anni dopo la pubblicazione de La Ricchezza delle Nazioni, la teoria economica ancora non riesce a uscire dalla sua metafora sulla mano invisibile. I padri della teoria dell'equilibrio generale lo hanno riconosciuto, nonostante che questo non si insegni nelle scuole di economia (né qui, né negli Stati Uniti). L'unica base dell'idea che il mercato sia un meccanismo efficiente per allocare le risorse è la fede, non la scienza. E questo risultato non può essere cambiato neanche da 10 premi Nobel.



Originale da: La Jornada

Pubblicato anche da: Rebelion

Articolo originale pubblicato il 17 ottobre 2007

L’autore

Gianluca Bifolchi è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística, e del blog collettivo Acthung Banditen. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

URL di questo articolo su Tlaxcala: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=3942&lg=it

 

Tradotto da  Gianluca Bifolchi