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The Planet, un mondo bello e impossibile

di Karima Isd - 23/10/2007

 

 

Alla decima edizione del festival Cinemambiente (www.cinemambiente.it) di Torino, i giurati che discutevano sul premio da assegnare al miglior documentario internazionale si sono accorti di una foglia secca miracolosamente e per poco appesa a un invisibile filo di ragno sceso da un albero: «Ecco, siamo alla frutta, anzi alle foglie secche», hanno scherzato. Quella sospensione, nella sua bellezza e fragilità, si ritrova ingigantita a scala mondiale nel documentario vincitore: The Planet (Il pianeta) realizzato dagli autori svedesi Linus Torell, Michael Stenberg, Johan Soderberg. Un affresco intelligente dei cambiamenti globali e non solo climatici in atto sul nostro pianeta, della situazione di totale crisi ecologica e (dunque) diffusissima ingiustizia sociale. Il film, con immagini stupende da tante aree, fa apprezzare la bellezza della biodiversità umana, animale, vegetale, minerale, e paventa il rischio di scenari da giorno del giudizio, con «un'estinzione di massa per espansione della massa umana», nelle parole dell'ambientalista Norma Meyers.
In modo veloce ma non caotico gli autori filmano quasi onnicomprensivamente il mondo, con le cause e gli effetti delle crisi climatica, idrica, sociale, sanitaria, di risorse, commentando con l'aiuto di esperti. Come il geografo Jared Diamond, il quale ci ricorda che dietro il mistero dei giganti di pietra sull'isola di Pasqua si cela un disastro ecologico poi sfociato in guerra e morte: arrivati in quel luogo pieno di foreste, i polinesiani - autori dei giganti - lo deforestarono fino all'ultimo albero e da lì iniziò la crisi alimentare e idrica, il cannibalismo, la morte, perché così isolati non potevano andare altrove. Anche noi non abbiamo un'altra Terra su cui emigrare. Pasqua, metafora di un futuro da incubo: la stessa civiltà umana si può disgregare.
Il film mostra con evidenza l'ingiustizia climatica: per ora ricadono soprattutto sui luoghi più poveri gli effetti delle emissioni di gas serra provocate dai ricchi (in fondo anche la crescita della CO2 prodotta dalla Cina è in buona parte da imputarsi al nostro importare quel che là si fabbrica). Con ironia, e senza mai annoiare (le sequenze sono imprevedibili), gli autori sono molto chiari nel mostrare agli spettatori occidentali che tutta l'insistenza sulla crescita di Cina e India è «indecente»: non possiamo dare lezioni, almeno finché non ci sarà un cambiamento drastico dalle nostre parti, spiega il giornalista e saggista inglese George Monbiot: «Un europeo consuma 50 tonnellate di risorse all'anno».
La crescita economica è insostenibile e perfino antieconomica, perché finisce per produrre più mali (inquinamento, esaurimento, distruzione della base di sopravvivenza) che beni. Occorrono cambiamenti radicali dei modelli, ma chi li deve mettere in atto? E' sbagliato aspettare passivamente che lo facciano i governi. Ancora Monbiot: «I politici ragionano sul breve periodo, non prendono misure impopolari per non perdere voti; procederanno solo se i cittadini diranno loro 'siamo pronti, anzi esigiamo un cambiamento o non vi votiamo più'».
Eppure si ha l'impressione che governanti e cittadini continuino a ballare sulla tolda del Titanic. Se è vero che ci vuole una crisi per ispirare l'azione, adesso che la crisi è manifesta, e che è finalmente oggetto di comunicazione attraverso i grandi media, come convertirla in fatti? Perché non ci si riesce? Una risposta viene da una psicologa interpellata dagli autori, secondo la quale se si crea troppo allarme, i meccanismi di difesa delle persone tendono a rimuovere il problema. Le intimidazioni non paiono funzionare, fanno scattare il riflesso «non può essere così grave; altri scienziati dicono di non preoccuparsi, che la tecnologia risolverà tutto; preferisco credere a loro». Forse è per questo che il messaggio finale di The Planet è all'insegna del protagonismo: «Tu puoi fare qualcosa, ciascuno può, c'è ancora un po' di tempo». Forse meno di quel che credono gli autori... Ecco un film di cui si raccomanda la visione nelle scuole.