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Guerrre civili e usurpazione dopo Costantino il grande

di Francesco Lamendola - 23/10/2007

 

 

Vengono qui rievocate le drammatiche vicende che scossero l'Impero Romano subito dopo la morte di Costatino il Grande e che si protrassero per sedici anni, dal 337 al 353: le guerre civili scoppiate tra i suoi tre figli Costantino II, Costante e Costanzo II; le usurpazioni di Magnenzio in Gallia e di Nepoziano a Roma; le guerre incessanti sulla frontiera persiana e la temporanea riunificazione dell'Impero stesso nelle mani dell'unico figlio superstite, Costanzo II.

Seguono i due articoli-saggi dello stesso Autore: «Flavio Claudio Giuliano, Cesare dell'Occidente(355-361)» e «L'imperatore Giuliano (361-363)», che completano il quadro delle vicende tra la morte di Costantino e l'estinzione della sua dinastia.

 

 

SOMMARIO

 

 

I.                            Situazione alla morte di Costantino il Grande.

II.                         Intrighi a Costantinopoli.

III.                      Testamento politico di Costantino.

IV.                      Motivi di attrito tra i suoi figli.

V.                         Massacro di Dalmazio, Annibaliano e degli altri parenti di Costantino.

VI.                      Nuova spartizione dell'Impero tra Costantino II, Costante e Costanzo II:

VII.                   Persistere delle loro inimicizie.

VIII.                Tentativi di ingerenza di Costantino II nei riguardi di Costante.

IX.                      Reazione di Costante.

X.                         Invasione di Costantino II in Italia e sua morte improvvisa.

XI.                      Annessione dei suoi territori da parte di Costante.

XII.                   Stato delle fonti.

XIII.                Trionfo dell'arianesimo negli ultimi anni di Costantino il Grande.

XIV.                Costantino II rimanda ad Alessandria l'esule Atanasio.

XV.                   Cacciata di Atanasio da parte di Costanzo II.

XVI.                La Chiesa orientale respinge le pretese ecumeniche del papa.

XVII.             Sentimenti della Chiesa occidentale.

XVIII.          Concilio di Roma e riabilitazione di Atanasio.

XIX.                Difficoltà di Costanzo, impegnato dai Persiani.

XX.                   Posizioni teologiche dei cristiani d'Oriente.

XXI.                Insofferenza verso il vescovo di Roma.

XXII.             Costante impone a Costanzo un concilio ecumenico.

XXIII.          Scissione del concilio di Sardica; il concilio di Filippopoli.

XXIV.          Opposte conclusioni dei due concili.

XXV.             Disordini a Costantinopoli per l'insediamento del vescovo Macedonio.

XXVI.          Nuove cause di tensione fra Costante e Costanzo.

XXVII.       Ultimatum di Costante a Costanzo.

XXVIII.                      Costanzo cede; suo carattere e personalità.

XXIX.          Rientro trionfale di Atanasio in Alessandria.

XXX.             Posizione di forza di Costante all'interno e all'esterno.

XXXI.          Carattere dei conflitti romano-persinai nel IV secolo.

XXXII.       Offensiva di Shapur in Mesopotamia e suo insuccesso davanti a Nisibis.

XXXIII.                      Breve controffensiva romana nell'Adiabene.

XXXIV.                      Nuovo assedio di Nisibis e battaglia di Singara.

XXXV.       Terzo e ultimo tentativo persiano contro Nisibis.

XXXVI.                      Persecuzione anticristiana dei Sassanidi.

XXXVII.   Stato caotico della provincia d'Africa.

XXXVIII. Sanguinosa repressione dei circumcellioni.

XXXIX.       Improvvisa usurpazione di Magnenzio in Gallia.

XL.                      Morte di Costante; cause della sua rovina.

XLI.                   Usurpazione di Vetranione in Illiria.

XLII.                Costanzo respinge gli ambasciatori di Magnenzio.

XLIII.             Ambasceria di Vetranione presso Costanzo.

XLIV.             Usurpazione di Nepoziano a Roma.

XLV.                Composizione del suo movimento.

XLVI.             Suo brevissimo regno.

XLVII.          Sua morte e sacco di Roma.

XLVIII.       Incontro fra Costanzo e Vetranione e abdicazione di quest'ultimo.

XLIX.             Preparativi di guerra.

L.                            Avanzata di Magnenzio nella regione danubiana.

LI.                         Inconcludenti trattative.

LII.                      Fortunate incursioni di Magnenzio.

LIII.                   Incontro dei due eserciti a Mursa.

LIV.                   Battaglia di Mursa e disfatta di Magnenzio.

LV.                      Sua ritirata in Italia.

LVI.                   Declino delle sue forze.

LVII.                Sbarco delle forze orientali in Italia e battaglia di Ticinum.

LVIII.             Ultima resistenza di Magnenzio in Gallia e battaglia di Mons Seleucus.

LIX.                   Suo suicidio e fine di Decenzio.

 

 

 

I

 

La morte improvvisa di  Costantino il Grande era destinata ad avere  le  più gravi ripercussioni   sul meccanismo della vita politica e  dello Stato.  Come  sempre  avviene e  sempre  è avvenuto,  la scomparsa repentina del  capo assoluto di  un governo paternalistico recò seco in rapidissimo volger di  tempo una autentica disgregazione interna dell'edificio statale.  Nessuno dei  suoi figli e nipoti possedeva le  sue  doti politiche,   la sua scaltrezza e la sua lungimiranza;   in compenso    possedevano  tutti,  e  in sommo grado,   la sua spietatezza,  il  suo autoritarismo e  la sua brama inestinguibile  di potere. Era praticamente  impossibile  che  cinque  sovrani  di questa fatta potessero ripartirsi pacificamente  il governo

del mondo romano.    

Dopo la morte  di Costantino si videro le perniciose  conseguenze del  ritorno al  sistema di  successione ereditario. Distruggendo l'opera costituzionale di Diocleziano, Costantino aveva bensì assicurato il potere  alla propria famiglia, ma non aveva saputo prevedere  e  lotte  feroci e implacabili che  sarebbero esplose  proprio in seno ad essa,   sull'esempio di quanto egli  stesso aveva fatto fra il 302 e il 324.

Quell'esempio non era destinato  a passare invano,  così come invano Costantino non aveva dato l'esempio del massacro dei propri  congiunti,   allorché aveva messo a morte  la moglie. Il figlio,  il nipote,   oltre  al suocero e  al  cognato,  Specialmente il figlio Costanzo, che più di  tutti rassomigliava al padre per astuzia e mancanza di  scrupoli,  pare  abbia fatto tesoro di simili  ammaestramenti. Me l'occasione di metterli in pratica tardò a presentarsi.   

 

 

II

 

Allorché Costantino il Grande venne  a morte, nel maggio del 337,  durante la marcia verso la Persia,  nessuno dei  suoi eredi era presente.  Il  cadavere  del grande estinto venne  trasportato nella sfarzosa città che  da lui  aveva ricevuto il nome ed era stata innalzata al rango di nuova capitale dell'Impero Romano. Ma,  anche questa volta,  la distanza o qualche  altra grave necessità impedì ai  suoi  figli e nipoti di giungervi in tempo per assistere  al grandioso funerale,  ad eccezione  dell'astuto Costanzo,   allora in età di   soli vent'anni.  Costanzo,  con tutta probabilità,  non era accorso per pietà religiosa e  filiale  a Costantinopoli,  ma bensì perché aveva    subito intuito come  la morte  di  suo padre avesse  aperto una vera e  propria competizione  per il potere, basata su una gara di velocità:   il primo ad arrivare  sulle  rive  del Bosforo,   con ogni verosimiglianza,  avrebbe  avuto l'opportunità  di impadronirsi delle  carte migliori.

E così fu.

Non era passato molto  tempo  dai  funerali  di  Costantino il Grande,  che una viva agitazione  cominciò a serpeggiare per le  strade  e le  piazze  di Costantinopoli,   si  fece   strada sino al palazzo imperiale,  penetrò a corte.   Soprattutto nervosi e scontenti  apparivano gli ufficiali  palatini,  nei  quali  il ricordo dei molti benefici  ricevuti  dal  defunto tiranno era ancor vivo e  recente.  Si   sospetta che  qualcuno,   ancora più in alto di  loro,   soffiasse   sul  fuoco del malcontento e  lo attizzasse  ad ogni  momento,  badando a che esso non venisse mai meno. E,   dal momento  che  né Costantino il giovane,  né Costante  avevano fatto ancora il  loro ingresso nella capitale,  i   sospetti   si   appuntano quasi inevitabilmente   sull'unico che  fosse  presente;   e  che,  per inclinazione personale e  per astuzia di  uomo politico,  non era certo uomo da rimanere  all'oscuro di un simile movimento: Costanzo, appunto.

 

 

 

III

 

 

La tragedia della famiglia di  Costantino il Grande   scoppiò all'improvviso in quell'estate  del 337.  non salpiamo esattamente quando,   certo pochissimi mesi  dopo la sua morte repentina,  e  fu come un temporale  estivo che  scoppia inaspettato nel mezzo della calura e  della quiete.  In città scoppiò una vera e  propria sedizione militare e  tutti,   come  in preda ad una febbre  violenta,   correvano  ad armarsi. Nel generale  trambusto una sola frase  si udiva chiaramente pronunciata dai   soldati  e   dai  loro ufficiali:   «Noi non accetteremo altri imperatori   che  i  figli  del grande Costantino!» ( cfr.  Zos.,  lib.  II, 40,  3 )  Costanzo, mantenendosi  abilmente nell'ombra,   cavalcava la tigre.  Egli era tornato in città dalla Mesopotamia,   ove   si  trovava nell'imminenza della guerra contro la Persia,  in veste  quasi  di vero  autentico erede  del padre  suo.  Tale  doveva apparire  ai  soldati, che alle guerra s'erano già apparecchiati,  tale  alle  truppe palatine,  e  specialmente   agli ufficiali,   che   tanto avevano amato suo padre,   il loro benefattore magnifico e  generoso. D'altra parte,  in quel momento,   si  trovavano  anche i nipoti del defunto, Dalmazio  ( o Delmazio )  e Annibaliano, mentre pare  fossero  tuttora assenti,  nel lontano occidente,  i  figli Costantino e  Costante.  Si ricorderà che  Costantino il Grande,  la vigilia della sua ultima spedizione, aveva disposto a favore  di  quei  due nipoti,   traendoli  fuori  da una oscura condizione privata e  assegnando loro,  al primo,  la Tracia,  la Macedonia e  l'Acaia,  e,   al  secondo,  il  troni di Armenia (  ancora da conquistare   ) nonché il Ponto e  la Cappadocia.  Ora, bisogna anche  ricordare   che  Costantino,  negli ultimi  tempi, aveva praticamente  già ripartito il governo dell'Impero fra i   suoi  tre  figli,   assegnando al maggiore,  Costantino,  i paesi  transalpini,   al minore,  Costante,  l'Italia e l'Africa  ( ossia le  diocesi più sicure e  tranquille   ),  e  a Costanzo le  diocesi  orientali e  la sorveglianza del confine  persiano.  

Ora,  la sua decisone  di  creare   suoi  eredi nel  governo anche i nipoti  aveva gravemente   scontentato,   secondo tutte le apparenze, i figli di Fausta. Ma più di  tutti doveva aver scontentato,  per non dire  irritato,   il figlio ventenne Costanzo. Ed è facile immaginarne  il motivo. Egli  doveva adesso,  dopo la morte  del padre,   sobbarcarsi  l'onere  della guerra persiana,   a molto probabilmente né Costantino il giovane ne Costante  sarebbero stati  disposti   a prestargli la benché minima assistenza,   dal momento che non esisteva un primo Augusto legale.  Come  ricompensa per tale  guerra,   che si  prospettava,   come   sempre,  incerta e difficile,  Costanzo si vedeva privato,  la vigilia d'intraprenderla,  dell'agognata Costantinopoli,  la nuova capitale,  la città più prestigiosa di   tutto l'Oriente.  Infatti  occorre  tener presente  che la Tracia  ( con Costantinopoli ),  insieme  alla Macedonia e all'Acaia,  era stata per l'appunto conservata da Costantino il Grande   sotto il proprio governo diretto  sino alla morte, talché l'ambizioso Costanzo  si  era certo lusingato che, alla di  lui morte,   la Tracia almeno,   con la metropoli   sul Bosforo,  glie sarebbe  stata ceduta e   unita agli  altri  suoi possedimenti.  Ora invece   si vedeva scavalcare  da un oscuro cugino,   da un Dalmazio,   cui   sarebbe  andata,   fra l'altro,   anche la perla del Bosforo,  l'ambitissima Costantinopoli. Ma non era ancora tutto.  Se  questo era il premio che  a Costanzo sarebbe  toccato per la pericolosa guerra persiana,  lo scopo dichiarato di essa,   almeno apparentemente,  era quello di porre  sul  trono dell'Armenia,  che il  sovrano sassanide  aveva invasa,  l'altro cugino, Annibaliano;  e,  peggio ancora, Costanzo  si  <